Retrovisione: Carl Schimtt, l’individuo e lo Stato, l’etica e la lealtà nel XX secolo
In “Etica dello Stato e Stato pluralistico”
(Staatsethik und pluralistischer Staat, in Kantstudien, Band XXXV, Heft 1, 1930)
a cura di Raffaele Panico
Carl Schmitt filosofo e giurista tedesco, nato nel 1888, è una figura emblematica della cultura politica tedesca ed europea del XX secolo. Alla fine del secondo conflitto, a guerra finita, gli Alleati lo arrestano per i suoi legami col nazismo quindi processato e alla fine venne assolto per un “non luogo a procedere”.
Scrive Schmitt nel 1930: “Anche in Germania, dopo il crollo dell’impero bismarckiano, dottrine sullo Stato e sul Governo che si ritenevano stabilissime hanno subito una crisi; né ciò reca meraviglia se si pensi che, scuotendo lo Stato, si scuote anche la concezione etica dello Stato. In particolare, se non si concepisce lo Stato come unità e potenza superiore, tutti i dati dell’etica kantiana dello Stato, diventano contraddittori e fallaci”. […] “Una concezione anglosassone dello Stato, che ha tentato di insinuarsi in Germania, è la così detta pluralistica, sostenuta da G.D.H. Cole e da Harold Laski, per questi autori lo Stato è un gruppo sociale da juxtaporsi e non da sovrapporsi agli altri gruppi sociali. E come ogni gruppo sociale ha la sua etica, così anche lo Stato ha la sua. Vi è una etica della Chiesa, della classe, della famiglia, dell’azienda, del club, etc. Tutte queste etiche importano una pluralità di lealtà. Non vi è una gerarchia di doveri; ma un vario complesso di doveri che coesistono e si sommano. La lealtà verso lo Stato non ha alcuna preminenza sulle altre”.
E, continua Schmitt: “Nella concezione pluralistica lo Stato appare come il risultato di un compromesso fra vari conglomerati sociali ed economici. L’individuo che appartiene a parecchi di questi conglomerati deve sapere a chi ha l’obbligo di prestare la sua lealtà, in caso di divergenza o di conflitto. Mancando un generale e superiore principio etico che risolva la questione, l’individuo si trova innanzi a parecchie lealtà verso persone o gruppi reali, che si esigono da lui, e queste persone e questi gruppi valgono quanto la loro rispettiva forza effettiva li fa valere. In pratica il pluralismo altro non significa che la perpetuazione degli antagonismi fra i vari gruppi sociali senza possibilità di composizione definitiva. L’individuo nella società pluralistica non ha una garanzia efficace della sua libertà. L’arbitra dei suoi è l’umanità, secondo il Laski, o, che val lo stesso, la società umana, secondo il Cole. Ciò non di meno il pluralismo fa dipendere dal consenso degli individui l’obbedienza ai vari gruppi sociali. Se non che il consenso è sempre motivato. La forza può essere uno dei motivi del consenso; spesso lo è senza che perciò il consenso sia meno razionalmente ed eticamente giustificato. Viceversa il così detto libero consenso delle masse può non avere alcun motivo o contenuto etico.
I pluralisti, quando parlano dello Stato, hanno di mira le monarchie assolute del XVII e del XVIII secolo. Ma allora non si poneva il problema della unità politica di un popolo. Religione, economia, cultura e anche diritto stavano in gran parte fuori dello Stato. E quindi anche della politica, perché una politica separata dalla economia e dal diritto, dalla religione e dalla cultura, si riduce a nulla. L’unità politica è unità di forze per sé non politiche e ha per scopo di creare un ordine, una situazione normale, in cui quelle forze possano agire senza urtarsi. Se non che di situazioni normali non ve ne può essere che una, e il pluralismo è inammissibile.
Escluso il pluralismo politico nello Stato, non si intende certo eliminato ogni altro pluralismo. Disse S.Tommaso che maxima unitas destruit civitatem. Lo Spirito obbiettivo è ricco di pluralismi: di razze, di lingue, di religioni, di culture, di sistemi giuridici. Una forma di pluralismo è la pluralità degli Stati; essa è la sola che si possa ammettere nel mondo politico. Ciascuno Stato è parte di un’unica società umana; ma, mentre questa non costituisce politicamente un tutto unitario e si risolve in una molteplicità di gruppi etnici, religiosi, culturali, etc., ogni Stato ha un suo proprio ordinamento e quindi una vera ed effettiva realtà politica.
Anche lo Stato ha i suoi doveri morali. Esso non va confuso col legislatore attuale. Praticamente il controllo etico sullo Stato si esercita da quegli uomini e da quei gruppi sociali che hanno la coscienza della norma etica e la volontà di farla valere anche contro il rappresentante di fatto dello Stato; non sono i custodi di un’astratta e vuota etica costituzionale; non si presentano allo Stato come creditori e non esigono dallo Stato una certa condotta sulla base del principio: pacta servanda. Non vi è contratto dello Stato con altra forza politica; vi è diritto dei cittadini di pretendere che la realtà dello Stato si adegui alla sua idea etica. Non si può dunque ammettere come principio etico assoluto la non resistenza. Ma la rivoluzione, nei casi in cui è lecita o necessaria, non può avere altro scopo che di instaurare o restaurare il regno dell’Etica dello Stato nello Stato sempre politicamente unitario”.