Si dice che a sinistra si legge e si studia di più. Poi, però, nei confronti della destra anche autorevoli giornalisti incappano nei soliti luoghi comuni a dimostrazione che non leggono e non studiano perché i libri sulla storia della Destra ci sono, a partire da quelli di Adalberto Baldoni che ha scritto vari saggi a partire da “Noi rivoluzionari” del 1986 (Settimo Sigillo) e di cui i lavori più completi sono “La Destra in Italia 1945-1969” (Pantheon, 1999) e soprattutto il più recente “Destra senza veli 1946-2018” (Fergen, 2018), mentre c’è anche un sintetico “Storia della Destra. Dal postfascismo al Popolo della Libertà” (Vallecchi, 2009).
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La sagra dei luoghi comuni sulla Fiamma
Così in questi primi giorni di campagna elettorale abbiamo assistito da parte di “Repubblica” e di politici vari di centrosinistra alla sagra dei luoghi comuni, aventi per oggetto F.d’I. e soprattutto il M.S.I. per il simbolo della Fiamma. Così ecco Ezio Mauro e poi Emanuele Fiano parlare di “Fiamma mussoliniana” con Carlo Calenda, Andrea Orlando che rilanciano la tesi della Fiamma che uscirebbe dalla tomba di Mussolini e Laura Boldrini che la definisce “raffigurazione del regime che risorge dalla tomba del dittatore”.
Un luogo comune, una “leggenda nera” se vogliamo (ci manca solo che rispolverino pure MSI come sigla di Mussolini Sempre Immortale), ma la realtà è ben diversa per una serie di motivi: la fiamma è ripresa dal simbolo degli Arditi e soprattutto nel 1947 quando il Msi presenta il simbolo alle elezioni amministrative di Caserta (e poi di Roma), non esiste una bara e nemmeno una tomba di Mussolini.
Quell’incontro di Almirante con un mutilato di guerra
ed il bozzetto di Emilio Maria Avitabile
Il suo corpo è stato infatti trafugato da Domenico Leccisi nell’aprile 1946 e quando le autorità lo recuperano (era stato affidato a due frati) poi non viene comunicato nemmeno alla famiglia il luogo dove viene conservato. Sarà restituito alla vedova solo nel 1957.
Scrive Baldoni: «Il simbolo del nuovo partito viene ideato nel settembre 1947, prima delle elezioni comunali di Caserta e di Roma, in modo casuale e singolare. Un giorno, scendendo le scale della sede centrale di Corso Vittorio, Giorgio Almirante incontra un mutilato di guerra che gli dice: “Segretario, ce l’hai il simbolo? Scegli la fiamma tricolore che è il simbolo dei combattenti”.
Almirante rimane perplesso. Risale le scale, entra nel suo studio e traccia su un foglio la bozza di una fiamma… Antonio Mazzone ricorda che, per il simbolo, Roberti coinvolse un suo amico, il pittore Emilio Maria Avitabile (poi autore anche del simbolo della Cisnal), chiedendogli di immaginarne uno.
L’artista preparò un bozzetto, raffigurante una fiamma e una persona, che venne inviato al direttorio chiamato a scegliere il simbolo. «Il direttorio scelse la fiamma. Allora Tonelli inviò una lettera a Roberti per comunicargli che avevano scelto la fiamma come simbolo del partito. Roberti diede la lettera al pittore. Quando poi uscì fuori la versione di Almirante, scrissi al segretario del partito e mia moglie, figlia di Avitabile, diede la lettera di Roberti ad Almirante che avrebbe dovuto correggere la sua iniziale versione…».
Ora tocca anche alla “Fiaccola”
Ieri su Repubblica un docente universitario di studi italiani all’università di Grenoble ha aggiunto anche la fiaccola di Azione Giovani, ereditata dal Fronte della Gioventù che a sua volta la ereditò dalla Giovane Italia, l’organizzazione studentesca promossa dal Msi ma indipendente dal partito (sulla Giovane Italia lo stesso Adalberto Baldoni ha scritto recentemente un libro assieme ad Alessandro Amorese).
Chissà cos’altro si inventeranno nei prossimi giorni dopo l’attacco della Aspesi e poi di Mirella Serri (oggi si è aggiunta Michela Murgia), cui ha risposto giustamente Annalisa Terranova.
Chi critica il Msi non conosce la sua storia
Tanti sono i luoghi comuni sul Msi. Viene giudicato come un partito neofascista, quando sin dalla sua nascita è stato un partito post-fascista voluto da Pino Romualdi proprio per reinserire nel gioco politico i reduci della Rsi, gli epurati e coloro che avevano creduto nel fascismo (il Msi nei confronti del fascismo ha fissato il suo atteggiamento dal primo congresso del 1948 nello slogan “non rinnegare, non restaurare”), e la politica dell’inserimento è stato l’obiettivo perseguito e quasi raggiunto da Arturo Michelini nel 1960 con il sostegno al Governo Tambroni e sfumato per l’errore del congresso a Genova.
Studiare la storia della destra e quella del Pci
Chissà se a “Repubblica” lo sanno. Bisogna studiare la storia della Destra e anche quella del Pci che nei confronti del Msi ha sempre avuto un comportamento altalenante per un antifascismo a intermittenza: ora strizzava l’occhio (fino a governarci insieme in Sicilia con la Giunta Milazzo), ora lo riteneva neofascista e ne chiedeva lo scioglimento…