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“Ezra in gabbia”: …… alla Sala Umberto in Roma,
un grande Mariano Rigillo è il poeta Ezra Pound

MARIANO RIGILLO IN SIMBIOSI CON EZRA POUND 

di FABRIZIO FEDERICI

Sul palco della storica “Sala Umberto” nel centro di Roma, Mariano Rigillo, attore “di lungo corso” in teatro, cinema e fiction tv, dal 2016 direttore della scuola di recitazione del Teatro stabile di Napoli, nella pièce “Ezra in gabbia” (scritta e diretta da Leonardo Petrillo, prodotta dal Teatro stabile del Veneto, nell’ambito del progetto “VenEzra”), si è calato anima e corpo nel personaggio di Ezra Pound. Il poeta, saggista, giornalista e traduttore statunitense (1885-1972), che troppo a lungo è stato sbrigativamente etichettato come icona della destra neofascista: e che oggi, invece, per la critica piu’ aperta e consapevole, appare sempre più  come esempio di uomo intellettualmente libero, disposto a pagare anche duramente per le sue idee, senza mai rinunciare a un “bisogno assoluto” (diremmo con Silone) di battersi per loro. 

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MOSTRA “DA MATERA A POMPEI”: UN VIAGGIO NELLA BELLEZZA

Un viaggio nella bellezza tra Pompei e la Basilicata, per raccontare il ruolo della donna nel mondo antico, attraverso ornamenti e gioielli, espressione del gusto estetico di epoche e contesti differenti, ma anche simbolo di uno status sociale.

Così la mostra “Da Matera a Pompei. Viaggio nella bellezza” allestita presso il Museo archeologico Domenico Ridola dal 18 novembre 2021 al 30 giugno 2022,  a cura di Annamaria Mauro, Massimo Osanna, Gabriel Zuchtriegel.

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A colloquio con Giuliano Giacomelli sul fascino del genere horror e gli stimoli del cinema d’autore

L’AMPIA GAMMA D’INPUT CREATIVI ED EMOTIVI D’UN REGISTA UNDERGROUND A TUTTO TONDO

Una conversazione con Massimiliano Serriello

È davvero un regista underground a tutto tondo Giuliano Giacomelli (nella foto): nell’età verde, quando la passione per la fabbrica dei sogni divampava sotto la cenere dell’avventizia sete di sapere ed emozioni forti, ha scoperto dapprincipio l’amato genere horror – con Il mostro della laguna nera (Creature from the Black Lagoon) di Jack Arnold nelle vesti dell’archetipo per antonomasia dei motivi d’inquietudine legati alla fantascienza frammisti ai canonici scenari da brivido – per poi imparare ad apprezzare a trecento sessanta gradi la Settima Arte. Ivi compresi gli Autori con la “A” maiuscola votati all’aura contemplativa. Comunque il primo amore, come si dice, non si scorda mai. 

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È STATA “LA MANO DI DIO”, TRA SOGNI ED ECHI

IL FILM SCELTO PER RAPPRESENTARE L’ITALIA AGLI OSCAR UNISCE I PROSELITI E DIVIDE I CINEFILI

Il cinema unisce dove la politica divide. Questa almeno è l’opinione dei cinefili intenti ad anteporre l’autonomia di giudizio e la sete di cultura – ed ergo di nuove visioni in grado di riflettere il rapporto tra immagine e immaginazione lontano dall’accidia delle idee prese in prestito – alle opinioni di schieramento. Alle discipline di fazione. Agli elogi rivolti al regista eletto ad autore. E quindi a una sorta di demiurgo alternativo in terra agli occhi degli atei. Che non credono nel Dio dei cieli («hai visto mai: se poi esiste?» amava ripetere Alberto Sordi al dotto ma miscredente Vittorio Gassman) ma sono ligi alle ragioni di partito (che non esistono). E aprioristicamente agli autori-registi che la pensano come loro. 

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A colloquio con Giulio Base su Pessoa, Pasolini e Poliziotti

I MODELLI DELL’ATTORE-REGISTA LEGATO ALL’UNICITÀ DEGLI ECHI CHE CEMENTANO ESTRO ED EMOZIONI

Una conversazione con Massimiliano Serriello

Letteralmente stregato all’epoca dell’età verde dalla lettura di Un grande avvenire dietro le spalle redatto dal compianto Vittorio Gassman sulla scorta della proverbiale arguzia, estranea alle banalità scintillanti dell’insulsa propaganda dei biopic tutto fumo e niente arrosto, Giulio Base (nella foto) parte dalla natìa Torino in direzione Firenze. 

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EFFETTI SPECIALI ED ECHI CORDIALI E PARADOSSALI DI FREAKS OUT

I REIETTI CON I SUPERPOTERI DI MAINETTI

Freaks Out di Gabriele Mainetti (nella foto) è il film italiano che va, come si dice, per la maggiore. In virtù dei coefficienti spettacolari, lontani dal tedioso standard del cinema d’impegno civile. Che condanna lo Stivale al ruolo di comprimario nel panorama internazionale della fabbrica dei sogni. A dispetto della decisione dell’ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Digitali), che ha scelto  È stata la mano di Dio dell’involuto Paolo Sorrentino per rappresentare il Bel Paese agli Oscar, preferendo alla capacità di corrispondere all’immaginazione delle masse l’amarcord dell’età verde sedotta dai numeri di magia del Pibe de oro e segnata dal lutto, l’imminente campione d’incassi mantiene buona parte delle promesse fatte nell’esordio con Lo chiamavano Jeeg Robot.

Mentre Sorrentino ha disperso strada facendo l’ingegno dell’opera prima L’uomo in più col passaggio dall’orgoglio del cantante confidenziale Antonio Pisapia, stretto parente dell’amorale Franco Califano, ai segni d’ammicco dei radical chic, avvezzi ad atterrire gli interlocutori avversari scimmiottando la foga delle nerborute icone degli action d’oltreoceano, Gabriele Mainetti è riuscito all’atto pratico a conciliare stilemi in teoria inconciliabili.

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