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Ad HoraFelix – la “FantaScienza del XX Secolo”

AD HORAFELIX,  “LA FANTASCIENZA DEL XX SECOLO“,
0gni lunedì, dal 12 Luglio, h. 19
UN INQUIETANTE FUTURO CHE STIAMO SUBENDO IN QUESTO NOSTRO PRESENTE,
GIA’ PREANNUNCIATO CON UNA SERIE DI FILM DAL MILLENOVECENTO 

 

PROGRAMMA
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1)12 luglio  // ‘Pensiero Unico e Grande Fratello’   
NEL DUEMILA NON SORGE IL SOLE (1956) – tratto dal racconto di G.Orwell 1984

2) – 19 luglio  // ‘Scienza e scientismo, limiti ed ossessioni’ 
L’INVENZIONE DI MOREL  (1974) – dal romanzo di A.B. Casares

3) – 26 luglio  // ‘Massificazione ed annichilimento dell’individuo’ 
ROLLERBALL (1975) – Un mondo senza Stati con la dittatura ferrea di  “Corporation”

4) – 2 agosto  // ‘La Terra senza più Natura’ 
 2022: I  SOPRAVVISSUTI  (1973) dal racconto di H.Harrison “Largo!Largo!”

 

prenotazioni al 0645618749  > contributo alla serata €.5 
all’ingresso, come omaggio di benvenuto, un gelato cremino!  

HORAFELIX Libreria – via Reggio Emilia 89 /ROMA

Gambling, tra Film e Letteratura

GAMBLING e prodotti culturali: 
film e non solo sul tema del gioco d’azzardo

 

Il gioco d’azzardo è da sempre un tema che ha ispirato artisti, scrittori e registi nella composizione delle loro opere. Tra le più celebri, guardando indietro nel passato, è da citare sicuramente “Il Giocatore” di Fëdor Dostoevskij del 1866, dove l’autore russo analizza e studia il mondo del gioco d’azzardo attraverso i suoi partecipanti. Questa tendenza non si è mai fermata, portando il tema del gambling anche all’interno di diversi media, tra cui il cinema e il fumetto giapponese.

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Titanic – la curiosa storia dell’ultima fotografia

Anteprima per un “Nuovo Turismo Musicale”:
conferenza stampa a Palazzo Montecitorio a Roma con la Samnium University of Music

“NUOVO TURISMO MUSICALE“: IL DIRETTORE ARTISTICO  MARCELLO CORVINO ALL’ INCONTRO IN PARLAMENTO 

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Marcello Corvino, Direttore Artistico della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, come ospite a Palazzo Montecitorio in Roma – lunedì 10 Maggio –  per illustrare la nascita di un “Nuovo Turismo Musicale”. L’incontro – già preannunciato dalla Consul Press venerdì 7 – è stato organizzato presso la sala delle conferenze stampa della Camera dei Deputati, da Samnium University of Music, che sostiene i musicisti di tutto il mondo, nella loro formazione artistica e professionale. 

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Johanna Van Gogh-Bonger – la donna che ha reso famoso Van Gogh

Penso che sarebbe terribile dover dire alla fine della mia vita: “In realtà ho vissuto per niente, non ho ottenuto nulla di grande o nobile”.

Queste sono alcune delle prime parole che Johanna van Gogh-Bonger ha scritto nel suo diario, e che oggi possiamo osare smentire, affermando che invece ha sicuramente raggiunto il suo obiettivo di vita nell’avere così tanto da condividere verso la fine della sua vita.

Il suo nome è rimasto nell’ombra per troppo tempo. Jo – come era conosciuta all’epoca e come anche Hans Luijten, ricercatore senior del Van Gogh Museum, si riferisce a lei in questo articolo approfondito pubblicato sul New York Times Magazine – era forte, audace e dedita alla sua missione di vita, ossia ottenere il riconoscimento mondiale per le opere di suo cognato, Vincent van Gogh, e ha fatto un ottimo lavoro.

Ma la nostra eroina non ha solo reso famoso van Gogh e la sua opera, ci ha anche tramandato un’eredità artistica, un concetto che ancora oggi vediamo, ammiriamo e celebriamo quando contempliamo opere d’arte di qualsiasi tipo. Come dice Emilie Gordenker, storica dell’arte olandese-americana e direttrice generale del Van Gogh Museum di Amsterdam. Il suo successo dà forma e contenuto all’immagine che abbiamo ancora oggi di ciò che un artista dovrebbe fare: essere un individuo; soffrire per l’arte, se necessario. Quando studiavo storia dell’arte, mi è stato detto di non pensare a quell’idea dell’artista che muore di fame in una soffitta. Non funziona per la prima età moderna, quando c’era qualcuno come Rembrandt, che era un maestro, lavorava con gli apprendisti e aveva molti clienti facoltosi. In un certo senso, Jo ha contribuito a dare forma a quell’immagine che è ancora con noi.

Ma chi era Johanna van Gogh-Bonger e come ha reso famosi i dipinti di Vincent van Gogh quando il mondo intero sembrava essere contro di loro?

Johanna Gezina Bonger nasce il 4 ottobre 1862 ad Amsterdam, nei Paesi Bassi. È la quinta di sette figli, figlia di un broker assicurativo. A differenza delle sue sorelle maggiori, Johanna porta avanti la sua istruzione e studia inglese, conseguendo una laurea. Subito dopo rimane alcuni mesi a Londra, dove lavora presso la biblioteca del British Museum.

All’età di 17 anni inizia il suo minuzioso diario (quello citato in apertura), che è stato nascosto dalla famiglia fino al 2009, e grazie al quale ora possiamo comprendere il ruolo enorme, se non cruciale, che lei ha avuto nella fama mondiale dei dipinti di Vincent van Gogh. Ma è poi a 22 anni che diventa un’insegnante di inglese e che, cosa più importante per quello che stiamo per approfondire, viene presentata al mercante d’arte olandese Theo van Gogh.

All’inizio non è convinta dalla proposta di matrimonio di Theo, ma in seguito sviluppa una grande affezione per lui, che poi si trasforma in un amore profondo. Si sposano felicemente, hanno un figlio – Vincent Willem van Gogh – e passano un certo tempo a godersi la vita tra intellettuali, artisti e mercanti d’arte nella vivace Parigi. Nonostante l’amore per suo fratello Vincent, però, Theo non riesce ad avere grande successo nel vendere i suoi dipinti, che iniziano ad accumularsi nella casa della novella coppia di sposi.

Inoltre, Jo e tutta la famiglia sono tutti preoccupati per la salute mentale del pittore, che molto spesso si ubriaca, finisce a dormire per strada, diventa violento o si fa del male, come quella famosa volta dell’orecchio. Lui gliene parla anche, scrivendo loro lettere sulla sua paura e inquietudine. Nel frattempo, Johanna resta al fianco di Theo, ascoltando e provando empatia per i due fratelli.

Non molto tempo dopo, non uno ma entrambi i fratelli lasciano tragicamente la vita di Johanna, uno dopo l’altro. Vincent muore per un colpo di pistola all’età di 37 anni, nel 1890, e Theo muore di sifilide poco prima di compiere 34 anni, nel 1891. Inutile dire che Johanna, rimasta sola con suo figlio Vincent in una casa brulicante dei dipinti di suo cognato, soffre terribilmente.

Ma, dopo essersi presa del tempo per guarire il suo cuore spezzato, Johanna ritorna in Olanda portando con sé tutti i dipinti che ora ammiriamoI girasoli, La notte stellata o I mangiatori di patate per citarne alcuni -, ed è ormai pronta per la sua missione. Raccoglie quanti più scambi di lettere dei due fratelli riesce a trovare e li studia, per comprendere meglio ed empatizzare con l’eredità artistica di Vincent. Queste, insieme alle opere d’arte, la commuovo e rafforzano i suoi valori personali sulla giustizia sociale:

Mi sentivo così desolata – che per la prima volta ho capito quello che doveva aver provato, in quei tempi in cui tutti si allontanavano da lui.

Quindi, Johanna van Gogh-Bonger inizia la carriera di una vita, diventando quella che oggigiorno sarebbe considerata l’agente di Vincent van Gogh. Il panorama però non è affatto favorevole, tutti sono contrari allo stile dei suoi dipinti, considerati violenti, oltraggiosi e semplicemente inquietanti per via la loro tecnica a impasto: erano troppo lontani da quello che i critici dell’epoca consideravano un’opera d’arte, dalla loro concezione di perfezione della natura, l’uso delle linee al posto dei colori, nonché l’approccio realistico ai soggetti, per non parlare del fatto che una donna stava cercando di entrare nel mondo e nel mercato dell’arte.

A ogni modo, questa donna straordinaria non ha accettato un “no” come risposta: “Non mi fermerò finché non gli piaceranno”. Essendo intelligente e motivata, Johanna si rende conto che, senza le lettere e le descrizioni dell’artista stesso, i dipinti non sarebbero stati compresi. È stata sua l’idea di metterli insieme, come un unico pacchetto, una mossa che ha convinto il critico d’arte Jan Veth, in prima linea nel circolo noto come New Guide.

Johanna ha una laurea e ha studiato lingue, non parla solo inglese e la sua lingua madre olandese, ma sa anche il francese e il tedesco. Così, grazie anche al suo approccio brillante e rapido nell’apprendimento del mestiere, riesce a vendere 192 dipinti di Van Gogh nel corso della sua vita. Viaggia in tutta Europa con più di 100 mostre, si scrive e intrattiene rapporti con persone di tutti i tipi e arriva ovunque, sempre con il figlio al suo fianco. Dimostra una forza inarrestabile e insiste sempre per fare tutto da sola.

Dopo anni passati a far conoscere e riconoscere il talento di Vincent van Gogh, il 1905 è il suo grande anno: decide di organizzare quella che sarebbe diventata la più grande mostra di van Gogh mai realizzata – con 484 dipinti allo Stedelijk Museum, ad Amsterdam. La sua gioia deve aver dato luce all’evento stesso, dato che numerosi personaggi illustri arrivano da ogni parte del continente europeo per ammirare l’arte che ha conquistato tutto il suo cuore e la sua anima.

La sua determinazione e, diciamo pure, l’ossessione di una vita rispetto a far sì che il mondo riconoscesse l’arte di Vincent van Gogh, fa sì che questa donna, sebbene sempre più debole e malata, riesca a continuare la traduzione delle lettere dell’artista in inglese, perché la sua arte conquistasse ammiratori anche negli Stati Uniti. Sfortunatamente, però, Johanna muore all’età di 62 anni, prima che potesse raggiungere il suo ultimo obiettivo.

Johanna è la persona che ha portato La notte stellata nelle nostre vite, ma è stata anche madre, moglie e nonna, insegnante e traduttrice, membro del Partito socialdemocratico olandese dei lavoratori e co-fondatrice di un’organizzazione dedita ai diritti dei lavoratori e delle donne.

Sebbene, come spesso l’ha descritta Hans Luijten, fosse una persona piena di dubbi e insicurezze, la sua vicenda mostra la sua volontà di lottare fermamente per i suoi ideali e le sue convinzioni. Quel che possiamo trarre dalla sua storia di vita è che, quando il mondo sembra andare contro di noi e noi stessi non siamo sicuri delle nostre aspirazioni perché potrebbero risultare sgradite o non venire accolte, l’esempio di donne coraggiose e determinate come Johanna possono darci la forza per andare avanti. Celebriamo e ammiriamo tutte le donne come lei, anche quelle di cui forse non conosceremo mai i nomi, ma sulle cui spalle ci appoggiamo.

Chloé Zhao- la prima donna asiatica a vincere l’Oscar come miglior regista

Nel corso di quella che rappresenta di certo la cerimonia degli Oscar più insolita fino a oggi, segnata dalla crisi post-pandemia, realizzata in modo scarno, con poco glamor, meno star e un set che ricordava i primi gala organizzati dall’Academy di Hollywood negli anni ‘30, abbiamo goduto di qualcosa di insolito e decisamente nuovo: una vera rivoluzione in termini di diversità e integrazione razziale, molto in linea con lo spirito del movimento Black Lives Matter.

Tra le altre cose, infatti, dopo aver superato i Golden Globe e i BAFTA, ieri sera Chloé Zhao è diventata la seconda donna nella storia degli Oscar a ricevere il premio per la migliore regia, oltre a essere la prima donna di un’etnia diversa, nello specifico la prima donna asiatica, a raggiungere il traguardo. Il suo terzo film, Nomadland, acclamato road movie con Frances McDormand – che per questa interpretazione ha peraltro vinto l’Oscar come migliore attrice – aveva già assicurato a Zhao un posto nei libri di storia del cinema, come riporta The Guardian, quando era stata nominata per competere in ben quattro categorie (oltre alla miglior regia, anche migliore sceneggiatura non originale, miglior montaggio e miglior film) di questa 93esima edizione degli Academy Awards.

Nata a Pechino nel 1982, la regista, produttrice e sceneggiatrice cinese-americana, Chloé Zhao si è formata tra il Regno Unito – dove ha studiato scienze politiche al Mount Holyoke College – e gli Stati Uniti, dove si è trasferita stabilmente per studiare cinema all’università. Dopo aver debuttato con Songs My Brothers Taught Me nel 2015, presentato in anteprima al Sundance Film Festival dello stesso anno, e aver realizzato The Rider, uscito nel 2017, quest’anno con Nomadland Zhao ha ottenuto il riconoscimento internazionale, e sappiamo già che alla fine del 2021 dirigerà Eternals, un film di supereroi Marvel con Angelina Jolie e Richard Madden.

Fino a oggi, nei quasi 100 anni di storia degli Oscar, solo sette donne erano state nominate per la categoria di miglior regista (Kathryn Bigelow, Lina Wertmüller, Jane Campion, Sofia Coppola e Greta Gerwig) e unicamente Bigelow e Zhao hanno ottenuto il premio, aprendo le porte a molte donne che potevano solo sognare di essere riconosciute per il loro lavoro. Certamente però, il trionfo di Zhao va oltre: questo riconoscimento alla regista asiatica da parte della mecca del cinema arriva in un momento particolarmente fragile per la comunità cinese negli Stati Uniti e in tutto il mondo. La sua vittoria pionieristica agli Academy Awards di quest’anno avrebbe potuto essere un momento di orgoglio per la Cina, una nazione che negli ultimi mesi è stata oggetto di continue critiche e di incitamento all’odio da parte dell’ex-presidente statunitense Donald Trump, retorica – legata alla ricerca di un nemico responsabile per la crisi pandemica e quindi presente anche in altri paesi – che, come abbiamo già riferito, ha avuto un notevole impatto in termini di aumento dei pregiudizi, della xenofobia e del razzismo contro il popolo cinese e, per estensione, contro altri popoli dell’Asia, sia dentro che fuori i nostri confini, e con particolare virulenza negli Stati Uniti.

Tuttavia, poche ore dopo l’annuncio della sua vittoria, la notizia non è stata riportata sul sito web dell’agenzia di stampa statale Xinhua o sull’emittente statale CCTV, e i post sui social media che celebravano il risultato sono stati censurati, come riferisce la CNN. Il silenzio ufficiale delle autorità cinesi contrasta con quello di marzo, quando Zhao ha vinto il premio come miglior regista ai Golden Globe, e i media statali della Repubblica Popolare si sono precipitati a congratularsi con lei, definendola appunto “l’orgoglio della Cina”.

A ogni modo, alla sua vittoria si aggiunge anche quella dell’interprete sudcoreana Youn Yuh-Jung, che ieri sera a 73 anni è stata insignita dell’Oscar 2021 alla migliore attrice non protagonista per la sua interpretazione nel film Minari, battendo star della statura di Glenn Close (per Elegia Americana), Olivia Colman (The Father – Nulla è come sembra) e Amanda Seyfried (Mank), e soddisfacendo i pronostici che la davano come favorita nella categoria, dopo aver vinto il BAFTFA e lo Screen Actors Guild Award (SAG Awards), come informa The Guardian.

In definitiva, quindi, nonostante si sia dimostrata lontana da livello di performance cui ci ha abituati l’Academy, questa edizione della cerimonia è stata memorabile per la rappresentanza delle donne, per il riconoscimento della diversità etnica nel cinema – un altro dei grandi vincitori della serata infatti è stato Daniel Kaluuya, insignito del premio come miglior attore non protagonista per il ruolo del Black Panther Fred Hampton in Judas and the Black Messiah, che ha fatto di lui il primo attore nero britannico a vincere un Oscare per i film indipendenti in particolare, che finalmente hanno trovato il loro spazio e ottenuto il riconoscimento dall’industria cinematografica americana. Speriamo che questo sia un preludio di ciò che deve ancora venire, e non semplicemente qualcosa di temporaneo, scaturito dalla mancanza di anteprime in questo ultimo anno da parte dei grandi produttori.