RECENSIONE DELL’ALBUM
Mi sono imbattuto in questo artista, Iratauri, tipo davvero strambo che va in giro con una maschera sarda da toro. Recentemente ha realizzato il suo album d’esordio, ‘Nova Era’, uscito precisamente il 21 Dicembre 2023, al solstizio d’inverno. Registrato e mixato negli Abbey Rut Studios di Roma, masterizzato presso il consorzio ZdB’s di Latina, il disco si può trovare al momento in formato digitale su tutte le piattaforme streaming. E’ un album molto particolare, che unisce il rock duro a sonorità elettroniche, beat spasmodici a chitarre psichedeliche, passando anche per vere e proprie ‘cantate’. Cantate affidate ai diversi strumenti però, perché l’intero disco non presenta tracce vocali, eccezion fatta per una parte corale nella traccia N. 5 (come Chanel), dal titolo ‘Lontano’.
‘Nova Era’ ha un suono molto interessante, incisivo nei pezzi di maggior tiro e delicato nelle tracce più evocative, tutto guarnito da un uso sapiente dell’elettronica, delle batterie programmate e dei suoni spaziali che intervengo in tutti i brani. Ogni cosa è ben calibrata ed equilibrata, il disco suona bene, nonostante l’utilizzo di molti strumenti, suonati o campionati. La chitarra sale in cattedra, e si esprime in modo molto versatile: arpeggi in acustico, assoli psichedelici, riff megalitici, contrappunti, slide, bending, un lavoro davvero diversificato e accurato. Si respira un’atmosfera cosmica, che ha a che fare con stelle e pianeti, mitologia e fantascienza. La grafica della copertina ricorda qualcosa del genere, ed è una cover art realizzata dall’Illustratore Solomacello. Un uomo mantellato di spalle, quasi un cavaliere errante, osserva uno strano fenomeno: un cerchio dorato al centro del cielo limpido, che si apre e mostra la notte al suo interno, mentre una nuvola bianca attraversa questo miracolo. Un portale dimensionale? Davanti all’uomo, montagne in fiamme. Ci sono tutti gli Elementi nell’immagine, con l’Uomo al centro: ha un sapore eroico, epico.
Il disco ha una durata di circa trenta minuti e presenta una track list di sette brani:
1 Pineal
2 Sistema
3 Lost in a Picture
4 Nevrous
5 Lontano
6 Per Nebula
7 Ether
In generale è un disco molto piacevole, scorre davvero bene e invita certamente a nuovi ascolti.
Andiamolo a sbirciare più da vicino, brano per brano.
- L’album si apre con Pineal e Pineal si apre con un loop di corde in eco, che sembrano già suggerire il riff. Un solo giro e parte lo strumentale, un basso megalitico su una batteria programmata, con fill elettrificati che lanciano le battute, e intorno una serie di suoni, suoni laser, come l’attacco di una flotta di ricognitori spaziali. La chitarra agguanta il riff principale e non lo lascia più fino alla chiusura del brano: lo alza di tono, cambia l’ordine degli addendi, ci gioca per tutto il tempo, ma lo tiene sempre lì, sempre stretto per la coda. Perché questo è un riff che sguazza via, cambia l’accento costantemente girando il brano e rendendolo dinamico, è una scossa elettrica lungo il filo, un dragone che avanza sinuoso attraversando i bastioni possenti della base. E’ il basso dal suono ferroso a mantenere l’unità nucleare del brano, scandendo pesantemente ogni battuta, come fossero tante barricate che il riff prova a mandare in frantumi. Poi tutto si interrompe di colpo, e la chitarra srotola un gomitolo di note laser che echeggiano nel silenzio. Siamo entrati nello specchio, tutto si ribalta in un bridge che vede il basso protagonista armonico, mentre la chitarra mette i suoi echi a disposizione della ritmica. E il basso vola via, canta una melodia astrale, scaglia il brano dalla Terra all’Universo. Ma il viaggio finisce in schianto. Si alza di nuovo il muro dei synth, delle battute scandite, mentre la chitarra si riprende scuotendo la testa e tutto riparte daccapo. Dopo lo schianto rimane il ricordo della visione, e il brano sfuma nel silenzio, entra in un buco nero continuando ad attorcigliarsi su se stesso per sempre.
- Sistema, il secondo brano, si apre con una voce femminile, ma non c’è niente di sensuale o femminile in quella voce. E’ una voce quasi robotica, da segreteria telefonica, da venditore piazzista: dice di averci ‘contattato per’… ma la musica le toglie le parole di bocca. Il brano parte megalitico, ed è un metal-hard rock- stoner, pesante come un pachiderma d’acciaio. Piatti in levare che rilanciano la battuta, basso marmoreo, suoni spaziali, fughe d’aria, e un unico riff, lento e potente, che avanza come un carro armato. Il primo stop è affidato al basso, mentre la voce della segreteria torna per indicarci che documenti portare. Ma che vuole ‘sta tipa? Di cosa sta parlando? Forse è lei il ‘sistema’, il sistema tecnologico che non riesce più a comunicare con l’umano, rappresentato dalla musica possente, che intanto riparte inarrestabile, ricacciando di nuovo alla voce le parole in gola. Il riff gioca con la tonalità, una breve pausa e poi sale in cattedra la chitarra, con una parte di slide guitar. Rende tutta l’atmosfera più scivolosa e pericolosa, finché non impazzisce sulle note alte, portando del sano caos in un brano così quadrato e compatto. Chiusura secca, e poi resta solo la voce a ringraziarci tanto e ad augurarci una ‘buona giò, una buona giò, una buona giò’.
Sì vabbé, vattela a pesca…
- Segue al terzo posto (medaglia di bronzo per lui) il brano Lost in a Picture. Si tratta davvero di un piccolo miracolo di delicatezza, soprattutto nell’introduzione. Il suono sembra uscire da un vecchio vinile: un alito di vento soffia in sottofondo, mentre un trillo come di campanelli angelici rimbalza tra due note. I synth entrano silenziosi e sembra il risveglio del mattino, mentre si accenna quello che è il tema del brano. In leggero ritardo entra una base tecno, anch’essa delicata, mentre in sottofondo i synth irraggiano con un suono di risacca marina. Pianoforte e chitarra si cimentano in botte e risposte durante l’evoluzione del pezzo. Mirabile il tema finale che, mentre tutto sfuma nel silenzio, sembra la coda di una stella cadente che va a spegnersi. Lost in a Picture è un esempio delle capacità evocative dell’elettronica, che in questo caso la fa davvero da padrona. Resta un pezzo ambient, cool. chill out, delicato e ispirato, che mostra la grande dimestichezza dell’artista nel riuscire a rendere determinate atmosfere così piacevoli e commoventi.
- Il quarto brano si intitola Nevrous, e a mio avviso è il brano che racchiude più di ogni altro lo spirito musicale di Iratauri, per quello che c’ho capito io, almeno. Ha dentro di sé tutti gli elementi che gli altri pezzi esprimono singolarmente: la potenza e la delicatezza in questo brano si legano in aderenza perfetta, l’alto e il basso, il ritmico e l’armonico, il rock e l’elettronica. Nell’intro un suono inquietante di percussioni sembra chiamare a raccolta, come in un’adunata tribale. Battono un ritmo frenetico, ipnotico, mentre un organo epico dà fiato alle sue canne, inaugurando il cerimoniale. La chitarra viene a disturbare con degli strappi sulle corde minacciosi e rabbiosi. La tensione sale, e il pezzo scatta, parte a razzo a cavallo di un beat schizzato, instabile, psicotico. L’organo e il basso dettano la linea armonica, fondendosi in un riff aereo e martellante allo stesso tempo, in bilico sul beat paranoico. C’è un atmosfera inquietante, metropolitana, fuori controllo, del tipo Marylin Manson + Prodigy. Ma ecco che sorge dalla notte l’altra anima di Iratauri, quella che punta alle stelle. La chitarra si apre come l’ala di un albatros, e lancia una parte armonica brillante, dorata. E allora voliamo sopra la metropoli, siamo nel cielo, ci lasciamo tutto sotto, con gli arpeggi che ci sorreggono mentre galleggiamo. La chiusura finale, secca e decisa, è davvero mirabile, tutta da ascoltare.
- Proseguiamo con il brano Lontano, il quinto in track list. Un pezzo distensivo, una ballad leggera ed esile. La chitarra slide esegue il tema, appoggiandosi lasciva sugli altri strumenti, e rendendo tutto calmo, sicuro, beato. Il giro di accordi accoglie a volte note in minore, e l’atmosfera si colora di toni malinconici, dando profondità al brano. Lontano è un pezzo importante, perché al suo interno si trova l’unico contributo della voce nel disco: il tema nella seconda parte infatti, è affidato al canto corale, che si intreccia con gli altri strumenti e regala al pezzo (e all’album) il calore della voce umana. Gli arpeggi di chitarra e mandolino, che cullano l’ascoltatore per tutta la durata della canzone, ricordano il suono dell’acqua, ed è come fare un giro negli abissi, in contesti sottomarini.
- Per Nebula, sesto brano, riequilibra decisamente le due anime di Iratuari dopo la ballad precedente. Torna la potenza dei riff e la crudezza del sound. L’introduzione è davvero epica, spaziale, con una serie di suoni in avvicinamento, una tempesta di meteoriti sibilanti. E tutti questi suoni piano piano si compongono finché all’apertura della chitarra, tutti gli strumenti si schierano compatti nel riff. Il basso rimbalza, i suoni spaziali compongono una ritmica spigolosa, mentre la chitarra alterna alle aperture, arpeggi e bending di contrappunto, che definiscono e concretizzano il riff. Il pezzo procede con un’attitudine da rock-acido-psichedelico, e ogni tanto si riposa su delle pause in cui restano alternativamente il basso, i suoni spaziali, gli arpeggi, i fill elettronici, i raggi fotonici. E’ un volo lento, come quello di una ammiraglia spaziale, con la chitarra al timone e il basso che pulsa nella cambusa. Nel finale, tutti gli strumenti si danno appuntamento sul ponte, e da lì lanciano un riff che è una locomotiva, ci sfreccia accanto e si allontana, sfumando nel silenzio, sparata verso il mistero buio del cosmo.
- Il settimo e ultimo pezzo dell’album è Ether. Alla fine di una track list che aveva già convinto, ecco la pepita d’oro, la perla lucente. Un pezzo di una bellezza davvero rara, che dimostra tutta la maturità di questo artista nella composizione. Ether è un brano ‘già storicizzato’, fa già parte del patrimonio musicale italiano. E’ un brano evidentemente ispirato, che parla all’ascoltatore e lo connette a qualcosa di grande, di superiore, che tutto accoglie e tutto riunisce in una calma sovrumana. E’ la colonna sonora dell’esistenza, ha in sé gli elementi e la loro potenza. La quiete che pervade il brano, racchiude in sé un’inquietudine rassegnata. Un piano iniziale che batte su una nota, come una goccia d’acqua che cade da grandi altezze. E poi il tema che serpeggia tra le corde della chitarra, e piano si mostra uscendo dal silenzio verso la brillantezza di un suono acustico. Da lì la chitarra elettrica entra in gioco, e a questo punto è proprio il caso di spendere due parole sul valore dell’artista come chitarrista. Qui tiene con grande maestria, delicatezza e gusto, un assolo che è un serpente urlante, al limite del feedback, che contrappunta il tema e lo rende supplichevole come una preghiera. É la chitarra che si dispera, che maledice, impazzisce tra le lacrime e poi si spegne, mentre il tema torna come un’onda e l’annega, la ingoia, e continua il suo moto perpetuo, finché tutto non sfuma nel silenzio, mentre il tempo divora le generazioni.
Buio, fine.
Chapeau a un brano del genere, correte tutti ad ascoltarlo nel più breve tempo possibile!
E correte ad ascoltare questo album, ‘Nova Era’, perché merita davvero l’ascolto. E’ un disco piacevole, che esprime diverse anime di questo particolare artista: quella più pesante che arriva dallo stoner rock, l’hard rock e il metal; quella elettronica, con i beat tecno, tribal; quella melodica, che riesce a essere sempre ispirata ed evocativa. Un disco realizzato con estremo gusto da un musicista di grande preparazione, e questo si sente in ogni traccia.
E quindi ascoltatevelo, scaricatevelo, strimmatevelo…
Il Vostro affezionatissimo si è divertito e spero così di voi.
I miei saluti.
Danilo Pette
https://www.youtube.com/@Iratauri
https://www.youtube.com/watch?v=FhTU0yog9N8 —