A sensazione e dopo aver letto sommariamente la storia del film, sono andato al cinema convintissimo si trattasse di una grande pellicola. Sbagliato. Si tratta di un Capolavoro. Due ore e un quarto di intimismo psicologico e affettivo, di costante istinto riflessivo, di un pretestuoso seppur riuscitissimo contorno fantascientifico.
LA DINAMICA REALE DELLE COSE: L’EGEMONIA DELL’UMANITÀSULLA NOTORIETÀ
Una conversazione con Massimiliano Serriello
La fabbrica dei sogni del cinema innesca nell’animo di chi vuole lasciare il segno, vincendo l’angoscia acuita dall’anonimato, l’intima speranza di mettere così a punto una sorta di miracoloso rimedio contro l’incubo dell’insuccesso. L’incognita peggiore, al pari della noia di piombo, che può inficiare la magia nel buio della sala ed estromettere l’indispensabile sospensione dell’incredulità dai requisiti più carezzevoli della Settima Arte.
Gli economisti contemplano anche tra le strategie di riduzione del rischio del temutissimo insuccesso il jolly dello star system. Agli occhi del pubblico allergico ai dispendi di fosforo, cari invece ai presunti esperti avvezzi a un concetto d’autorialità condizionato dall’arma a doppio taglio del deleterio tedio, lo spettacolo di secondo piano della recitazione prevale sulle scelte espressive dei registi eletti al rango di discutibili guru. Tuttavia, in fondo, i due eccessi, seppure agli antipodi come punto di partenza, finiscono per somigliarsi. I cinefili intenti a riverire la tenuta stilistica esibita dietro la macchina da presa da fior di professionisti, scambiati però per guru dagli atei allo sbaraglio intenti pure a collezionare inutili cimeli appartenuti ai maestri di celluloide, risultano ridicoli tanto quanto i fan sedotti dalla popolarità degli interpreti.
Ogni giorno vediamo pubblicità di ogni tipo, ma non riusciamo a ricordarci di tutte. Secondo Red Crown Marketing pubblicizzare un prodotto o un’azienda non è affatto semplice. Trent’anni fa le persone vedevano circa 2 mila messaggi pubblicitari al giorno, oggi, invece, ne vediamo circa 400 mila Domanda da porci è la seguente: Quali sono le pubblicità che ci colpiscono e che ricordiamo? Sono quelle intelligenti, semplici e, soprattutto, originali.
L’EGEMONIA DELL’ AMORE SULL’ ODIO.
NEL RICORDO DEI NOSTRI COMPATRIOTI ISTRIANI
Una conversazione con Massimiliano Serriello
Ad Andrea Manco sta realmente a cuore la cifra dell’amore. Perché può sconfiggere l’odio lontano dalle secche della retorica. Il carattere d’autenticità dei legami di sangue e di suolo deraglia dalle banalità scintillanti dell’inane propaganda in virtù del senso di appartenenza trasmessogli dalla saggia ed energica Mamma (con lui nella foto), originaria di Pola.
La chiarezza cristallina e l’irrinunciabile onestà, legate, a filo doppio, al rapporto con la terra natìa, resa rossa dalle cave di bauxite e disseminata dagli inghiottitoi conosciuti oggi, dopo oltre mezzo secolo di deplorevole negazionismo, con il nome di foibe, mandano a carte quarantotto qualunque, discutibile ragione di partito. Indicando la rotta giusta. La rimozione che ha messo altresì in discussione il nesso tra le atroci esecuzioni sommarie compiute dai titini e il mesto esodo giuliano dalmata trova ancor oggi l’approvazione degli ostinati seguaci dei partiti presi avvezzi a battere i pugni sul tavolo blaterando sulla libertà. Per poi incatenarne l’anelito vitale alle implicazioni politiche esacerbate dalla malafede.
I VINCOLI DI SANGUE E DI SUOLO DEGLI ISTRIANI: TRA INGHIOTTITOI ATROCI ED ESODI DOLOROSI
«Chi si appoggia al parapetto di quello spiazzo, vede un precipizio ampio e profondo, le cui impervie pareti, tappezzate di fogliame intricato, scendono a picco. Nessuna sporgenza in quella muraglia. Non un gradino per salire o per discendere. Non una cengia per sostare. Nessun punto d’appoggio. Soltanto scanalature, qua e là, lisce, logorate, poco profonde che fendono le rocce. In una parola, un abisso che attira, che affascina e che non restituirebbe nulla di quanto vi si facesse piombare.(…)
Quell’abisso è detto nel paese Foiba, e serve da serbatoio al soverchio delle acque del torrente. Questo torrente non ha altro sfogo se non una caverna, che si è formata a poco a poco fra le rocce, e nella quale esso precipita con furia indescrivibile. Dove va il corso d’acqua che passa sotto la città? Chi può dirlo? Ove ricompare? Anche questo è un mistero. Di quella caverna, o piuttosto di quel canale che solca lo schisto e l’argilla, non si conosce né la lunghezza, né l’altezza, né la direzione.
Forse le acque urtano in tumulto contro innumerevoli spigoli contro la foresta di piloni, che sostengono la fortezza e la città intera. Arditi esploratori, quando il livello delle acque, né troppo alto né troppo basso, consentì loro d’avventuratisi con una leggera imbarcazione, tentarono di discendere il torrente attraversando quella tetra apertura, ma le vòlte ad un certo punto si abbassano e costituiscono un ostacolo insuperabile. Ecco perché non si sa nulla di quel corso d’acqua sotterraneo. Forse s’inabissa in qualche «perdita» sotto il livello dell’Adriatico».
I PUNTI FERMI DI UN REGISTA AFFEZIONATO
ALL’ASSURDO POETICO DEI FILM DI PRESA IMMEDIATA
Una conversazione con Massimiliano Serriello
Sembra una contraddizione in termine per chi usa le scorciatoie del cervello. Invece non lo è. Lo sa bene Igor Maltagliati. Fiorentino doc, dall’impertinenza perenne, da bravo toscano brioso, innamorato però, senza ‘se’ né ‘ma’, della Città Eterna. Che conosce angolo per angolo. Lontano dagli scorci cartolineschi cari ai turisti. Nel film La banalità del crimine (nella foto) le modalità di presenza delle location romane hanno dato prova della sua predilezione per la geografia emozionale. In grado di garantire ai territori eletti a location la virtù di riflettere gli stati d’animo e condizionare i modi d’agire (da quelli empi ad audaci inversioni di tendenza). Basti pensare allo sfogo nei confronti dell’Altissimo da parte del manovale della malavita impersonato da Mauro Meconi mentre scava l’ennesima fossa per un rivale freddato.
L’esperienza gli ha suggerito l’idea di mostrare il tran tran giornaliero dei losers chiamati a svolgere le mansioni più umili nell’ambito del banditismo. Il richiamo all’umor nero e alla cultura postmoderna celebrata da Tarantino, che continua a mettere sullo stesso piano Jean-Luc Godard ed Enzo Girolamo Castellari, sarebbe caduto nell’infecondo déjà-vu se già nell’incipit un morbido movimento di macchina all’indietro, degno dei maestri del lavoro di sottrazione, non avesse svelato l’arcano sulla scorta del valore terapeutico dell’umorismo. Con i personaggi interpretati da Marco Leonardi e Alessandro Parrello seduti su un cadavere in attesa dell’indegna sepoltura fintanto che la propensione allo small talk funge da bislacco tono dominante.