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Niger: nuovo confine per l’Italia e l’umanità

Nell’Africa Subsahariana si gioca il futuro sociale e di sicurezza del nostro Paese: dopo un lungo periodo di scarso interesse per un territorio, il Niger, grande quattro volte l’Italia, l’insediamento a Niamey dell’Ambasciatore Marco Prencipe ha determinato l’attesa e necessaria svolta nei rapporti fra lo Stato africano e Roma. L’apertura della nuova Cancelleria nella capitale del Niger è non solo il coronamento delle tradizionali relazioni di amicizia e cooperazione, ma segna l’improcrastinabile esigenza di un più stretto e proficuo rafforzamento dei rapporti bilaterali: il Niger, che figura fra gli ultimi stati del mondo per PIL pro capite, è una delle vie obbligate per raggiungere la Libia, e, verso Nord, arrivare al mare e quindi, all’Italia.

E’ proprio lì, nel Niger, che Roma si giocherà una carta importante per la gestione dei flussi migratori, garantendo oltre ad una non effimera stabilità della regione, quella sicurezza, molte volte invocata, capace di dissuadere gli interessi fondati sull’illecita tratta degli esseri umani.

L’ambasciatore Prencipe, insediatosi da pochi mesi, ha già dato impulso a tutte quelle iniziative tese a migliorare, oltre al contrasto del terrorismo, la sicurezza in campo alimentare, promuovendo ogni possibile azione per superare l’attuale malnutrizione infantile.

Una grande occasione, dunque, per l’Italia e per il Niger, sostenendo insieme una lotta alla desertificazione e per il generale miglioramento delle condizioni di vita delle locali comunità. Un lavoro che dovrà essere costante per salvare una grande regione africana dalla demolizione quotidianamente operata da quelle formazioni terroristiche che infestano tanta parte dell’area del lago Ciad.

Alessandro P. Benini  

ambmarcoprencipe

Le “M” forti dell’Europa… Macron, Merkel, Minniti

La pantomima dei …. MUSCOLI FINTI

Oltre una settimana fa è andato in onda nel telegiornale della sera uno spezzone di intervento del Ministro dell’Interno Minniti, elogiato nella presentazione per aver osato decidere una cosa mai fatta prima, e cioè aver ordinato l’inversione di rotta del volo che lo portava a Washington, per tornare in Italia allarmato dall’aggravamento della crisi delle ondate di immigrati (quasi 11.000 in un solo giorno).

Chi abbia avuto l’occasione di vedere quei 30 secondi di trasmissione in cui Minniti, faceva la voce grossa, avrà creduto di trovarsi finalmente di fronte ad un ministro molto più competente rispetto alla nullità di Alfano, che si faceva rapire sotto il naso la Shalabayeva, un ministro tosto che sa farsi rispettare, che intende salvare l’onore del paese, garantire la pace sociale e disinnescare qualsiasi rigurgito razziale.

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Due parole ancora su Don Milani

“Italia Oggi” dello scorso 9 giugno, tramite la penna di Sergio Bianchini, stigmatizza la lentissima evoluzione della scuola e per questo fa riferimento al fatto che l’ ottimo Don Milani viene spesso citato a sproposito o addirittura mal interpretato per fini politici o semplicemente per incompetenza dei responsabili dell’educazione nazionale.

Qualche giorno prima una riedizione di Polistampa, dal titolo: La scuola di Don Milani, di Mario Lancisi, esponeva le particolarità della Scuola di Barbiana, chiedendosi cosa sia rimasto della creazione del Sacerdote, con interviste a personaggi che hanno avuto mano nella guida dell’istruzione, come Veltroni, Berlinguer,Casini,Berlusconi ed altri ancora, che hanno offerto una visione personale e diversa dell’opera del controverso religioso.

La ragione e l’esito di questi testi in esame sono sicuri: nessuno, oggi, è in grado di gestire l’educazione alla cultura per inadeguatezza di preparazione: il Ministro attuale, (e si sottolinea che il buon italiano non usa il femminile per una carica istituzionale) è un’ ex sindacalista, che confessa di “non avere specifiche competenze in materia”, e dunque una figura indefinibile che non può tenere le redini di questo importantissimo Ministero. Sappiamo tutti che la cultura è un’arma di difesa dall’estremismo violento, che è soprattutto una via certa per trovarsi, conoscere, costruire, e, cosa basilare, per comunicare. Non si riesce tuttora a comprendere, data la misera condizione sociale attuale, perchè cultura è ancora, marxianamente, vista come privilegio malvagio di classe, e non si riconosce che chi ne è privo – sia essa umanistica o scientifica – è destinato a trascinare un futuro da mezzo uomo, da pitocco spirituale, da sbandato.

Il testo e l’articolo citati vogliono evidenziare che è ora di smettere di cibarsi solo di giochini informatici, spesso pericolosi, o bearsi di figure di piccolo e grande schermo. Accettarli è giusto, adeguarsi al proprio tempo, sacrosanto, ma non ci sono unicamente questi, e si chiede ad alta voce che i genitori lo riconoscano, e che riconoscano che il docente non è un negriero, ma una persona che è demandata a formare ed a selezionare chi ha talento per questo o quel settore dello scibile umano. Non è vero, cari Marxisti immaginari, cari zii d’America, che “tutti siamo capaci di fare tutto”. Non si chiama il meccanico della propria auto se un figlio ha gli orecchioni, e nel contempo lui ed il medico sono entrambi indispensabili. Una selezione prelude a vie diverse ed eguali, non è antidemocratica, non è una pena capitale.

Non è valida l’idealizzazione dell”ultimo”, è invece una buona scusa per fare “egualitarismo verso il basso” e formare il gregge grigio di elettori, che, come dimostra l’evidenza degli afflussi bassissimi alle urne, annullano sia il seguace dell’appiattimento, che uno Stato. Appiattendo il livello dei cittadini si uccidono i talenti, si ha malasanità, mala gestione, nessuna scelta, si ha unicamente degrado. Un capitolo di un bel libro: “Meglio di Niente”, dell’economista, giornalista, docente, Danilo Breschi ( Ed.Pagliai), esamina l’opera di “decrescita” di un Segretario di Partito, il “dolce Enrico” di Antonello Venditti, e punto per punto ne dimostra l’azione livellatrice (che Totò riservava alla morte) e distruttiva di tutte le attività professionali e no d’ Italia, per un distorto timore di egemonia politica di qualcuno, ma che lascia vedere in filigrana l’adesione – pagata – alla volontà di potere sovietica.

Chi si informa, chi segue un docente che crede in ciò che fa, resta libero, diviene esperto, e giorno per giorno si felicita con se stesso perchè dimostra alla propria coscienza di essere un buon cittadino del mondo. Don Milani ha gettato una grande base per permettere di salire la scala della crescita secondo attitudine. Crescita, e non il contrario, voluto da un malinteso cristianesimo: Francesco era ricco e colto, si è fatto povero ma colto, poeta e musicista, italiano, santo, non apostolo della decrescita e non argentino e populista.

Marilù Giannone

 

“Il Generale nel Bunker”

 

UN GENERALE SCONFITTO RINTANATO NEL BUNKER

 _____________________un intervento di Torquato Cardilli  

Tito Livio nella monumentale opera “ab urbe condita” ha lasciato ai posteri la descrizione dell’umiliazione subita dai Romani a Caudio nella seconda guerra sannitica del 321 a.C. sostenendo che gli elementi che hanno maggior peso in una guerra sono il talento dei generali,  la fiducia che in essi ripongono i soldati, il loro numero non disgiunto dal loro valore, e la sorte, in cui confidava persino Napoleone.

Poco meno di 120 anni fa l’Italia subì una cocente sconfitta militare ad Adua, seconda per infamia solo a quella patita sul suolo patrio a Caporetto, di cui ricorre tra tre mesi il centenario.

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Bella Italia

Un articolo lieto nel tono e felice per l’argomento ha occupato una pagina buona del “Giorno” dell’8 giugno scorso, a firma di Giovanni Bogani. Il soggetto dello scritto è un documentario che mette in rilievo, con una sapiente fotografia, le bellezze delle città e della natura dello Stivale. Bogani non manca di citare piazze e ville, monumenti e coste, dialoga abilmente con l’autore, giornalista, critico, sceneggiatore Italo Moscati, annota orgoglioso le varie dominazioni che ha sopportato lo Stato italiano prima di trovare un’identità.

Veramente, da questo succoso réportage, sorge il pensiero delle lotte, delle sofferenze, ma soprattutto della fede creatrice del popolo italiano, che tutto ha subito e tutto ha sormontato. Le bellezze sono spesso sopravvissute a disastri bellici fra stato e stato, fra famiglie e famiglie, fra re, soprattutto francesi, e papi non sempre italiani. Il concetto di Italia si è fatto strada a fatica nel mosaico di stati e staterelli, e se ne comprende la ragione: la grande civiltà romana che per tremila secoli, a partire cioè dal pensiero etrusco che voleva una terra unita ma composta da dodici stati (il numero era sacro), ha unificato in una sola cultura, perchè l’azione bellica era iniziale, o eventuale (come è avvenuto per tante città latine) popoli e genti diverse, abbracciandoli nella sicurezza e nel benessere che forniva loro, nell’ingegneria, nell’architettura, nella letteratura e storia, nella genialità dell’idraulica e soprattutto nelle leggi. La legge , contestata o no, era il vangelo dei Padri d’Italia, insieme all’amore per la città madre, Roma.

L’articolo del “Giorno” accende di ammirazione e di orgoglio chi si sente figlio di questa Patria e nel contempo lo avvelena, perchè nel pensare ad esso, camminando, egli si scontra in ogni città con finti spazzini immigrati, con un numero infinito di rivenditori di calzini, appiccicosi e fastidiosi mendicanti, e poi con sporcizie, con graffiti stupidi, incurie, rovine (una di queste, passata sotto silenzio, è un muro di Porta Portese), pseudo culture imposte. E’ come se una maligna civiltà subentrata a quella italiana le volesse negare lo splendore invidiato, come se qualche recesso biblico, mediante la religione ufficiale, volesse imporre all’Italia il volto distorto e lugubre dell’elemosina come superbia per il cittadino ricco , ed untuoso rancore per chi la chiede: ormai mendicare è il lavoro per eccellenza e da secoli per questo infelice Paese, fondato invece sul pensiero ed azione attivi. Si è italiani o confessionali di radice giudaica?

Basta con le elemosine, via chi le ammette ipocritamente: italiani, tirate su la schiena, e non aspettate altro per risolvere i problemi, come quello dell’immigrazione, che la stessa meravigliosa, abile volontà che ha fatto grande l’Italia. Il francesino arriccia il naso? Qualcun altro fibrilla, incerto, non si sa se per paura di altri o disistima per voi? Ebbene, si tirino su le maniche , si faccia secondo le leggi della Nazione, si mostri agli altri che siamo un pilastro fondante ed indispensabile dell’Unione. Si pensi a quante volte mercenari stranieri, per interessi stranieri, hanno bruciato campagne e devastato città italiane. Lasciare gli inginocchiatoi, il collo torto, la vocetta sommessa, gridare chi siamo, a muscoli tesi, rivelare l’energia che ci pervade e l’amore per lo Stato più bello e civile del mondo. Riprendiamocelo, è nostro sacrosanto diritto.

Marilù Giannone