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…. una “deriva” continua

 ….. DOPO CIRCA 25 ANNI,  LE RISULTANZE  DI  UN VERTICE

 sul  PANFILO “BRITANNIA”

Nei giorni scorsi la nostra agenzia, al pari di pochi altri organi di informazione, ha scritto circa i contratti in “derivati”  che il nostro Ministero dell’Economia ha stipulato, negli anni, con alcune banche straniere con conseguenze drammatiche per le casse dello Stato che ora rischiano di essere prosciugate. Il danno che i titolari del Dicastero dell’Economia  potrebbero aver provocato alla casse dello Stato, giocando con questi strumenti di rarefatta finanza, è incalcolabile. Al momento potrebbe essere stata creata una voragine di 50 miliardi di euro. Calcolando che alcuni contratti si estingueranno nel 2050,  tutto potrebbe essere anche che si possa scatenare una apocalisse economica sulle spalle del “Bel Paese”.

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“Dis-Istruzione”

Seicento docenti universitari in Italia stanno dichiarando guerra all’ignoranza istituzionalizzata ….. ed era ora, finalmente !

da questa Testata Giornalistica più volte sono state evidenziate le misere condizioni della istruzione nazionale, così come da altre parti. Ma oltre a ciò che si è scritto, che ha indotto gli studiosi a prendere le armi, vi è l’impossibilità a leggere elaborati e testi di concorsi, ricerche e semplici articoli, gonfi di orrendi errori di grammatica, sintassi, e di travisamenti. Vale a dire non solo le pagine giornalistiche sono state efficaci, ma le prese dirette sulle indegnità che hanno ridotto fino in alto loco la comunicazione con le spalle al muro.

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la deriva dei derivati

 

QUEI  DERIVATI CHE STANNO CONTRIBUENDO  ALLA DERIVA DELLO STATO ITALIANO   

 

Da qualche tempo nei più esclusivi club finanziari, circola una notizia la cui generalizzata diffusione potrebbe avere conseguenze drammatiche e devastanti per la nostra economia. Si tratta di questo. Da diversi anni il Governo italiano ha sottoscritto con 19  banche  internazioni una serie di “derivati” a condizioni capestro che hanno generato perdite economiche da capogiro. Per capirci,  tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 furono poste “inaspettatamente” all’incasso da Morgan Stanley le proprie partite aperte con lo Stato Italiano, facendo sfiorare al nostro Paese il default. Parliamo di cifre da capogiro calcolati in miliardi di dollari, di sterline ed euro.

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una prece per i nostri martiri

“Preghiera per i Martiri delle Foibe composta nel 1959 da Mons. Antonio Santin, Arcivescovo di Trieste e Capodistria.

O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre, dalle profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te. Ascolta, o Signore, la nostra voce. De profundis clamo ad Te, Domine. Domine, audi vocem meam. Oggi tutti i Morti attendono una preghiera, un gesto di pietà, un ricordo di affetto. E anche noi siamo venuti qui per innalzare le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori, ma anche per apprendere l’insegnamento che sale dal sacrificio di questi Morti. 

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Let’s make America great again?

Donald Trump ne ha fatto il suo slogan più popolare durante la sua compagna elettorale. Subito dopo il suo insediamento ha effettivamente messo in pratica quello che aveva detto alzando un muro tra Stati Uniti e Messico. Una risposta, o meglio un contrattacco, però c’è stato e proprio da un noto marchio di birra di proprietà della holding messicana Grupo Modelo. La Corona, con il suo spot, ha preso una posizione netta contro la volontà del tycoon di creare barriere invece di rinforzare l’unità.

Il video, che ha già avuto più di sei milioni di visualizzazioni in pochissimo tempo, ha come protagonista non la birra ma i volti di tutti colori, i paesaggi, le bellezze naturalistiche, i mestieri, gli usi ed i costumi e tutte le diversità riassunto di quel melting pot che ha reso grande l’America. Una serie di immagini che scorrono mentre la voce narrante è chiara:

“Basta usare il nostro nome per generare divisioni! Siamo la terra del mix culturale, siamo orgogliosi dei nostri colori, siamo il continente che tocca i due poli, siamo l’ombelico del mondo e anche i suoi polmoni. Abbiamo mani che resistono agli sforzi e piedi che fanno del calcio il ballo più bello di tutti. Siamo un continente che ruggisce, siamo il più grande contenitore di coppe, siamo sangue caldo con gusti piccanti. Siamo poesia, arte e musica, siamo i migliori inni cantati, siamo rivoluzione costante, celebrazione innegabile, siamo passione, siamo tutti, siamo 35 Stati uniti. E oggi ci vestiamo con un un solo stemma”.

Lo spot infine si conclude con un chiaro riferimento allo slogan del nuovo presidente Usa, quello di essere tutti americani siamo ed è per questo che l’America è sempre stata grande.

 Desfronterizate: esci dalla logica delle frontiere, supera le distanze, fai tesoro delle differenze.

https://www.youtube.com/watch?v=SuLEu-nwd50

Lo sport mondiale parla cinese

Alibaba sarà partner del Comitato Olimpico Internazionale (Cio) fino al 2028. L’e-commerce cinese ha messo sul piatto 800 milioni di dollari per essere la prima azienda a stipulare un accordo a lungo termine con il Cio fino a tale data, e supporterà gli organizzatori di ciascuna edizione dei Giochi in tutto il mondo, godendo di diritti pubblicitari e promozionali dei marchi olimpici e delle immagini dei Giochi, nonché dei marchi dei comitati olimpici nazionali.

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I Terremoti della Repubblica

JACCUSE

Queste parole comparvero a Parigi, più di un secolo fa, in apertura di un editoriale del giornale socialista l’Aurora, firmato dallo scrittore Emile Zola in forma di lettera aperta, diretta al Presidente della Repubblica francese, a proposito di una macroscopica ingiustizia giudiziaria: il caso Dreyfus. Da allora il “j’accuse” è entrato anche nella lingua italiana corrente per indicare un preciso riferimento ad una denuncia pubblica per una grave ingiustizia.

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L’Italia che non muore

Il 22 gennaio, sfidando la discutibile iniziativa delle domeniche ecologiche di Roma, la via Cassia si è riempita di persone, per partecipare alla cerimonia in onore per i Caduti di Russia, celebrata tradizionalmente ogni anno dall’Associazione “Reduci di Nikolajewka”. Alle 10 del brumoso mattino, il ventaglio di grigi, dal cielo all’asfalto, si accendeva dei colori della Bandiera e dei Corpi Militari in perfetto ordine, giovani e meno giovani, diritti negli attenti, con lo sguardo ad un orizzonte inizialmente quasi angoscioso, ma che veniva tradotto da quegli sguardi diretti e sinceri come naturale e patriottico traguardo: Italia, libera e forte, stabile e splendente sopra mafie, inciuci, politica d’accatto.

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Tutti i vivi all’assalto!

Molta acqua e molta neve, acqua torrentizia passata sotto i ponti e neve, d’oggi e di ieri, è caduta su quel che resta della memoria: è la memoria del sacrificio di oltre novantamila italiani rimasti sui campi di Russia; c’è soltanto, in quei lontani territori, in pochi casi, qualche piastrina, una gavetta sfondata, qualche misero resto umano a parlare di coloro che sono caduti combattendo una guerra spesso dimenticata e, volutamente, oscurata nella memoria nazionale.

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“La neve è arrivata”

Niente da fare Charlie Hebdo proprio non ce la fa. Per la seconda volta ricade nella satira fuori luogo, di cattivo gusto e crudele, proponendo una comicità che non fa né ridere e né piangere ma ti lascia solo l’amaro in bocca.

La prima volta risale a pochi mesi fa, a quel 24 agosto maledetto, quando l’Italia si è letteralmente svegliata in due pezzi. Colpita nel suo cuore, al centro, tre regioni principalmente coinvolte ma tutta la nazione scossa. Ci hanno paragonati ad un piatto di pasta, precisamente a delle lasagne. Forse perché collegano Amatrice ai famosi bucatini. L’ambasciata si è subito scusata affermando che quello non è il pensiero della Francia e dei francesi.

Adesso invece abbiamo la neve, troppa neve, che associata all’oramai costante tremore della nostra terra ha provocato una valanga. E loro che fanno? Beh ci informano tramite la Signora Morte in tenuta da sci  che “la neve è arrivata, ma che non ce ne sarà per tutti”.

Noi non ci siamo mai permessi di fare ironia su ciò che è avvenuto in Francia, sulle stragi del Bataclan, di Nizza, di Rouen e dello stesso Charlie Hebdo.  Noi siamo stati e saremo tutti Charlie Hebdo ma prima di tutto, per noi stessi “noi siamo tutti lasagne” e fieri esserlo.

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Oggi e milioni di anni fa

I recenti e ripetuti terremoti del Centro Italia ha spinto studiosi e una grande parte della popolazione, impaurita dai suoi tragici esiti, ad approfondire le relative conoscenze su queste sconvolgenti manifestazione della Terra. Lo scopo, pur se privo di una probabile risposta positiva, sarebbe quello di realizzare una potenziale prevenzione  o, nel peggiore dei casi, preservare da catastrofi abitazioni, edifici di valore e paesaggi da tali calamità.

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home restaurant VS ristorante domestico. L’Accademia della Crusca si “ribella”

Gruppo Incipit  presso l’Accademia della Crusca

 C o m u n i c a t o    S t a m p a   n. 8

La cucina italiana a corto di ingredienti linguistici? 

 

Firenze, Accademia della Crusca, 20 gennaio 2017

Il Gruppo “Incipit”, costituito da Michele Cortelazzo, Paolo D’Achille, Valeria Della Valle, Jean-Luc Egger, Claudio Giovanardi, Claudio Marazzini, Alessio Petralli, Luca Serianni, Annamaria Testa, diffonde il suo ottavo comunicato. Ricordiamo che Incipit si occupa di esaminare e valutare neologismi e forestierismi ‘incipienti’, scelti tra quelli impiegati nel campo della vita civile e sociale, nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana, al fine di proporre eventuali sostituenti italiani.

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A Roma, al Teatro Anfitrione …. con Sergio Ammirata e Patrizia Parisi

UN PALCOSCENICO CONTRO LA TRISTEZZA

Entrare all’Anfitrione, piccolo e non tanto “Teatro Romano” del romanissimo quartiere S.Saba, è come aprire, visto il tema, il sipario sul mondo delle scene di un tempo passato.
Il tempo del palcoscenico calcato da attori di grande valenza, fatta da lunga gavetta, quotidiana fatica interpretativa e dialogo: un dialogo che si svolgeva fra l’attore, illuminato dal disco di luce del riflettore, e il pubblico, assorto e divertito, silenzioso e commosso, allegro e plaudente.

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…. buon lavoro, Presidente !

La domanda sorge spontanea: adesso che un italiano presiede il vertice di una delle tre istituzioni europee, finirà la soggezione alle “eurotruppen” e inizierà quel processo di rinnovamento necessario a ribaltare il sistema UE per renderlo rispettoso delle nostre identità e funzionale anche alla nostra economia? E’ senza dubbio vero che il neo eletto Presidente del parlamento europeo Antonio Tajani  è stato sostenuto dagli ultra europeisti dell’Alde e dagli allineatissimi popolari tedeschi di Webber, ma adesso la partita è tutta nelle sue mani.

In fondo anche l’indimenticabile Presidente Cossiga era arrivato al Quirinale spacciandosi per grigio ed insignificante democristiano addormentato, ma dopo un paio d’anni si è rivelato ”il picconatore”, il vero precursore del passaggio dalla prima alla seconda repubblica.

Adesso Tajani,  nel suo ruolo di rappresentanza,  potrà avviare e guidare il riscatto dell’Europa Cristiana e Mediterranea contro il laicismo strisciante che i “barbari del nord” hanno utilizzato per indebolire prima ed annientare dopo quelle identità culturali che rappresentano il vero patrimonio europeo. Quel medesimo riscatto che libererà la nostra economia dalla gabbia commerciale e monetaria, appositamente costruita dalle gelosie franco tedesche per contenere il prestigioso “made in Italy” a vantaggio delle fredde ed impersonali  – e spesso inquinanti – produzioni del nord Europa.

Buon lavoro Presidente!

Fabrizio BERTOT  *

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 Fabrizio Bertot, nato a il 23 febbraio 1967 a Torino, è un politico italiano, già sindaco di Rivarolo Canavese dal  2003 al 2012, poi successivamente Europarlamentare nel Gruppo P.P.E., ove ha partecipato attivamente quale  componente nelle  Commissioni sia per l’industria, la ricerca e l’energia, sia per i problemi economici e monetari,  nonché nelle  Delegazioni per le relazioni con l’India e con il Sudafrica 

  •  Da oggi inizia una sua collaborazione con la nostra “testata”, data la condivisione di sostanziali affinità elettive.   

Sondaggio sindaci: vince Torino, ultima Roma

Una distanza abissale separa i due nuovi sindaci M5S Chiara Appendino e Virginia Raggi nel Governance Poll, la rilevazione sul gradimento riservato ai sindaci dai propri cittadini realizzato ogni anno da Ipr Marketing per Il Sole 24 Ore. Appendino, infatti, apre la classifica con il 62%, mentre Raggi la chiude con il 44%.
Scrive il Sole:

“A Torino, che prima della sorpresa di giugno ha tradizionalmente tributato alti consensi ai sindaci in carica, i problemi non mancano, dalle periferie all’indebitamento (in calo negli ultimi anni) fino ai rapporti finanziari con le partecipate come Gtt su cui sta indagando anche la procura, ma la città funziona, e macina da tempo successi crescenti in termini di immagine: non solo agli occhi delle varie forme di turismo che caratterizzano il capoluogo piemontese, evidentemente, ma anche a quelli dei cittadini che premiano il sindaco in carica. La stessa Appendino, del resto, dopo l’inevitabile rupture iniziale che ha alimentato più di una polemica con il suo predecessore Piero Fassino ha spiegato nella conferenza stampa di fine anno che ‘il cambiamento va fatto gradatamente, attraverso le piccole cose, con senso sabaudo. Anche per non rischiare di lasciare indietro tutto quello che di buono è stato fatto in passato’. Tutto il contrario di quel che accade a Roma, dove Virginia Raggi ha aggiunto errori propri alle eredità impossibili lasciate dalle giunte precedenti di destra e di sinistra”.

Al secondo posto della classifica, dopo Appendino, troviamo il sindaco di Firenze, Dario Nardella, seguito dall’ex M5S Federico Pizzarotti, positivo anche il risultato di Luigi De Magistris a Napoli, che dopo il successo rinnovato di giugno abbandona le posizioni di coda delle scorse edizioni arrivando al quarto posto con Damiano Coletta (Latina), Vincenzo Napoli (Salerno), Paolo Perrone (Lecce), Luigi Brugnaro (Venezia) e Paolo Calcinaro (Fermo).

Aggiunge, infine,  il Sole che tra i neo-sindaci solo la Raggi sprofonda sotto il 50%.  

Rapporto Oxfam: 8 uomini da soli possiedono la metà della ricchezza del pianeta

 

Nel mondo 8 uomini, da soli, posseggono 426 miliardi di dollari, la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta, ossia 3,6 miliardi di persone. Ed è dal 2015 che l’1% più ricco dell’umanità possiede più del restante 99%. L’attuale sistema economico favorisce l’accumulo di risorse nelle mani di una élite super privilegiata ai danni dei più poveri (in maggioranza donne). E l’Italia non fa eccezione se, stando ai dati del 2016, l’1% più facoltoso della popolazione ha nelle mani il 25% della ricchezza nazionale netta. Sono alcuni dei dati sulla disuguaglianza contenuti nel rapporto Un’economia per il 99% della ong britannica Oxfam, diffusi alla vigilia del World Economic Forum di Davos, in Svizzera.

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Il processo allo zucchero

Zucchero? Forse è proprio lui la causa di tutti i nostri mali. Forse è proprio lo zucchero il killer numero uno, il responsabile principale di molte patologie che affliggono gli individui del pianeta.

Questa è la conclusione cui giunge Gary Taubes, noto scrittore e divulgatore scientifico americano, autore di bestseller sui temi dell’alimentazione, che ha appena dichiarato guerra allo zucchero in un nuovo libro di cui si sta parlando molto: “Processo allo zucchero” (“The case against sugar“), così come riportato dalla rivista americana Atlantic.

Alle sue drastiche conclusioni Taubes arriva considerando alcuni dati oggettivi, osservando cioè che negli ultimi trent’anni il tasso di obesità nel mondo è praticamente raddoppiato, stessa cosa per l’incidenza del diabete.

Ma cosa ha fatto aumentare l’incidenza di queste patologie negli ultimi 30 anni? Qual è il responsabile della nuova situazione? Taubes non ha dubbi: lo zucchero.

E non solo nei Paesi occidentali, ma anche in quelli in cui non era mai stato parte della dieta tradizionale.

La verità distorta dalle aziende: non (solo) i grassi, ma gli zuccheri

Per esempio, negli anni Ottanta, solo l’1 per cento dei cinesi era diabetico, mentre ora che anche in Cina viene seguita un’alimentazione “all’occidentale” il diabete colpisce l’11 per cento della popolazione. Risultato simile tra gli Inuit, in Groenlandia e in Canada: il diabete praticamente sconosciuto negli anni Sessanta colpisce ora il 9% della popolazione.

Ma nonostante questo, negli ultimi 50 anni tutte le organizzazioni internazionali sulla salute hanno additato i grassi come principali responsabili delle varie patologie, lasciando relativamente in disparte la maggiore responsabilità  degli zuccheri. Gli zuccheri, cioè, sono stati ritenuti responsabili soltanto di fornire “calorie vuote” in eccesso, ma non si sono mai messi in relazione con lo sviluppo di gravi malattie.

Secondo Taubes, questo ruolo deleterio dello zucchero è stato sottaciuto di proposito da parte dell’industria e dei maggiori enti a tutela della salute pubblica, grazie a un sistema colluso tra l’industria alimentare e una parte del mondo scientifico, con l’obiettivo di far percepire i grassi come nemico pubblico numero uno sfiorando soltanto il ruolo degli zuccheri.

Taubes cita alcuni documenti scoperti da un ricercatore presso l’Università di California, a San Francisco, che dimostrererebbero come “Big Sugar” (un cartello di grandi aziende dello zucchero) pagò tre scienziati ad Harvard, nel 1960, per “sdrammatizzare” il rapporto tra lo zucchero e le malattie cardiache, puntando invece il dito contro i grassi saturi.

Lo stesso avrebbero fatto altre industrie di dolci e bevande, utilizzando campagne pubblicitarie e finanziamenti di studi e ricerche per spostare l’attenzione dal ruolo dello zucchero a quello dei grassi.

Il grande nemico si chiama sindrome metabolica

In realtà, già negli anni Sessanta una ricerca, perlopiù ignorata da dietologi e autorità preposte alla salute pubblica, aveva messo in correlazione lo zucchero con lo sviluppo della “sindrome metabolica”, l’insieme di patologie che comprende non solo un accumulo di grasso a livello dell’addome ma anche uno stato di infiammazione cronica del nostro organismo.

La sindrome metabolica è uno dei maggiori indicatori di malattie cardiache e diabete, ed è determinante per l’insorgenza di patologie quali obesità e alta pressione del sangue, ma soprattutto nello sviluppo dell’insulino-resistenza.

La sindrome metabolica, spiega Taubes, ha origine dall’innalzamento del livello di zucchero nel sangue causato dall’ingestione di zuccheri e carboidrati. Così si innesca il rilascio di insulina, con la funzione di spostare lo zucchero là dove può essere bruciato come carburante.

Lo zucchero che consumiamo ogni giorno sulle nostre tavole, il saccarosio, è costituito da due tipi di carboidrati, glucosio e fruttosio, sarebbe proprio quest’ultimo a rappresentare la minaccia maggiore.

A differenza di altri carboidrati, nel fegato il fruttosio viene trasformato in grasso, innescando una sequenza di eventi che porta le cellule a diventare resistenti all’insulina.

La resistenza all’insulina è molto dannosa per l’organismo, sia appunto perché causa principale della sindrome metabolica, sia per quanto riguarda l’aumento della quantità di grasso nel sangue (trigliceridi), e dell’insorgere di patologie quali diabete di tipo 2, obesità, malattie cardiache, ipertensione e Alzheimer.

Anche il cancro sarebbe collegato al consumo di zucchero e al conseguente aumento di insulina.

La relazione pericolosa con il cancro

E’ stato infatti verificato, continua Taubes, che alla somministrazione di un farmaco per il diabete ai fini di abbassare l’insulina, è stato associato un minor rischio di sviluppare il cancro, rendendo quindi evidente, al contrario, una correlazione tra maggiori livelli di insulina e l’insorgenza di tumori.

L’insulina ha molti effetti nel nostro organismo, compreso quello, asserisce Taubes, di stimolare le cellule tumorali e farle riprodurre. Questo perché l’insulina sarebbe responsabile dello “spegnimento” di uno dei programmi messi in atto dal nostro corpo (apoptosi) che portano le cellule cancerose a distruggersi.

Logica quindi la conclusione che se alti livelli di zuccheri causano resistenza all’insulina, tale resistenza abbia poi un ruolo attivo nello sviluppo dei tumori.

E’ quindi lo zucchero a creare un ambiente favorevole allo sviluppo di queste gravi patologie?

La risposta di Taubes è sincera: “Certamente potrebbe esserlo”. Una certezza condizionata dal fatto che oggi non si devono più affrontare malattie da carenza, come lo scorbuto, risolvibili con una sola pillola magica come la vitamina C.

Oggi si affrontano sempre più spesso malattie degenerative che richiedono molto tempo per svilupparsi –una vita di caramelle, in altre parole– e oltretutto non si sviluppano in tutti gli individui allo stesso modo.

Qual è la dose quotidiana per non correre rischi?

Ma qual è, allora, la dose ottimale di zucchero che possiamo consumare senza rischi?

Taubes risponde nell’ultimo capitolo del libro, dal titolo “Quanto poco (zucchero) è ancora troppo?”, ponendo in realtà una serie di altre domande.

Quante sigarette sono troppe sigarette? Cosa succede se la persona che ha fumato abitualmente un pacchetto alla settimana sopravvive a quella che ne ha fumato uno al giorno? Dovremmo forse concludere che fumare un pacchetto di sigarette alla settimana è sicuro?

Non lo sapremo mai, dice Taubes. E così è per lo zucchero.

A oggi non ci sono certezze, potremo sempre trovare due facce della medaglia. Ci sarà chi continua a considerare lo zucchero solo un innocuo portatore di chili in più e chi invece ne riconoscerà l’effettiva pericolosità.

Ma anche qualora eliminassimo del tutto lo zucchero dalla nostra dieta, non vedremo certo scomparire le malattie dalla faccia della terra.

C’è tutto un ecosistema che è avvelenato, scrive Taubes, senza contare  che il nostro metodo di alimentazione è spesso del tutto errato: non sarà semplicemente  eliminando lo zucchero che cancelleremo le patologie più gravi.

Ma eliminare, o almeno ridurre, lo zucchero dalla nostra dieta sarà comunque un passo in più verso il benessere.

articolo di Cinzia Alfè via dissapore.com [Crediti | Link e immagini: Atlantic, The Guardian, New York Times, Daily Mail]

Patent Box e una “dote” di 35 milioni per il settore moda

Il ricorso al Patent Box permetterà un beneficio pari al 10% degli utili delle aziende del lusso. A dirlo è un report di Mediobanca che ha condotto un’indagine sull’impatto dell’agevolazione fiscale opzionale, introdotta dalla legge di Stabilità del 2015, per le imprese italiane che fanno reddito su beni immateriali. “Dei 4,4 miliardi di euro di profitti complessivi previsti tra il 2015 e il 2019 per il campione analizzato – si legge nello studio realizzato da Chiara Rotelli – stimiamo il risparmio cumulato in 450 milioni di euro, una cifra pari al 10% degli utili complessivi”.

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