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Dalla tomba alla culla di Dante Alighieri

Per la Storia Culturale degli Italiani a 700 anni
dalla dipartita a Ravenna 14 settembre 1321

Raffaele Panico

Preludio. Settecento anni fa, la presenza diffusa della malaria in precise aree d’Italia, sembra certo, portò alla morte di Dante Alighieri. Morte sopraggiunta il 14 settembre 1321 a Ravenna dopo giorni di febbri malariche. Dante Alighieri era nato si presume, il 22 maggio 1265 la data più credibile. Questa è dovuta ad alcune allusioni autobiografiche da lui portate nella “Vita Nova” e in un canto dell’Inferno. In alcuni versi del “Paradiso” appare che certo è nato sotto il segno zodiacale dei Gemelli.

D’altra parte se certa è la data della dipartita, incerta come una volta era la paternità, è la data della nascita quando non vi erano registrazioni presso l’anagrafe comunale e soltanto lo “stato delle anime” stilato quando avveniva con pennino ed inchiostro dal prete della parrocchia. Questa morte per epidemia malarica è più che probabile, storicamente è verosimile, anche se allora non vi era il referto del medico legale, e sia giunto a noi oggi un atto notarile.

Sul tema specifico, il rapporto di Dante con il futuro che appartiene a Dio, citando i versi del Paradiso, canto XXXIII:  

“Oh abbondante grazia ond’io presunsi/

ficcar lo viso per la luce etterna,/

tanto che la veduta vi consunsi!/

  Nel suo profondo vidi che s’interna,/

legato con amore in un volume,/

ciò che per l’universo si squaderna:/

  sustanze e accidenti e lor costume/

quasi conflati insieme, per tal modo/

che ciò ch’i’ dico è un semplice lume./

…voglio ricordare, che era un giorno d’autunno del 2002, a Roma, in via Savoia presso l’abitazione conversando con un mio eccellente illustre professore, chiesi sulle rime sopra a Lui, ed egli, guardandomi fisso dopo un silenzio, disse: “vedi, solo su questo tema, per tutto quanto è stato scritto, potremmo riempire di libri, opuscoli, taccuini, eccetera eccetera tutto questo stabile nel suo volume intero svuotato del tutto e riempito sul tema che mi rappresenti, dalle fondamenta al soffitto.

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#NoMoreMatildas – “Effetto Matilda” poniamo fine alla discriminazione femminile in ambito scientifico

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Giornata internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza

Oggi, 11 febbraio, è la Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza. L’evento, stato promosso per la prima volta  dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 22 dicembre 2015, vuole essere un’occasione per ricordare e far riconoscere il ruolo fondamentale che tante donne hanno nelle discipline scientifiche.

Purtroppo fin da piccole le ragazze non sono mai state incoraggiate a intraprendere carriere che riguardano i campi della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM) e questa giornata ha l’obiettivo di promuovere una maggiore partecipazione delle ragazze alla formazione e alle professioni scientifiche, eliminando i pregiudizi e gli stereotipi che rendono le carriere femminili un percorso a ostacoli.

Fortunatamente adesso sempre più giovani donne intraprendono studi e carriere considerati fino a poco tempo fa prettamente maschili.

A riguardo la nostra redazione riporta un’intervista fatta da Elena Dusi per D – La Repubblica delle Donne a CHIARA CAPPELLI, prorettrice della Normale di Pisa e professoressa di chimica-fisica, vincitrice di un bando europeo da 1,6 milioni di euro sull’interazione fra luce e materia in materiali nano strutturati. La curiosità è che ovunque vada viene scambiata per la segretaria, in pratica, di sé stessa,  “È capitato a volte. Se sono insieme a un collega uomo, lui è il professore e io la segretaria”.

Che effetto le fa?

“L’imbarazzo maggiore è dell’interlocutore, quando se ne rende conto. Per evitarlo in genere prima dei meeting mando una mail in cui chiarisco chi saranno gli interlocutori. Fa sempre dispiacere, quando accade una cosa del genere”.

A lei non fa rabbia?

“Lo noto ovviamente, ma ci sono abituata. Come quando nelle riunioni io sono dottoressa e gli uomini professori. O qualcuno, in modo affettuoso e bonario per carità, mi dice ciao bella o ciao cara. A una collega venuta dall’estero farebbe un grande effetto, ne sono sicura. Io percepisco più che altro il segnale di una mentalità all’antica”.

La Normale con 227 ragazzi e 72 ragazze nel corso ordinario è uno degli ambienti più squilibrati dal punto di vista dei sessi. Va un po’ meglio fra i dottorandi: 193 a 114. Perché tanta disparità?

“Il problema è a monte. Lo squilibrio è già fra i ragazzi che si presentano al concorso. Noi valutiamo i compiti in modo totalmente anonimo. Non sappiamo il nome o la provenienza del candidato che ha fatto quello scritto. L’ambiente da noi è effettivamente molto maschile, ma non maschilista. Mai e poi mai sono poi gli studenti a fare discriminazioni fra professori e professoresse”.

Quante studentesse ha in classe?

“Le nostre sono classi molto piccole. Sono capitati gruppi di tre ragazzi su tre o, eccezionalmente, di tre ragazze su sei. La prevalenza comunque è nettamente maschile”.

Ci sono differenze fra maschi e femmine?

“Le studentesse, pur essendo poche, sono bravissime. Ma pensano di valere meno dei loro colleghi maschi. Questo si percepisce nettamente. Vanno in crisi più facilmente, di fronte all’impegno richiesto alla Normale. Da noi un 18enne fresco di liceo si trova di fronte a una mole di lavoro veramente spiazzante. Maschi e femmine vengono spiazzati allo stesso modo, ma le ragazze fanno più fatica a reagire, si deprimono più facilmente, pensano di aver fatto una scelta al di sopra delle loro capacità. Cosa che spesso non è vera”.

Lei pensa che il problema sia a monte e che voi vediate solo gli effetti di uno squilibrio fra i sessi che nasce da più lontano. Ci spiega meglio?

“E’ un problema culturale che parta dalla storia dell’Italia. Le nostre scuole sono pensate per mamme degli anni ’50, che fanno trovare il pranzo pronto ai figli e li accudiscono il pomeriggio. Le bambine, crescendo in questo ambiente, respirano quello che dovrà essere il loro ruolo nella vita. Né la scuola le incoraggia a osare. La mia storia è stata molto diversa. Nella mia famiglia mio padre cucinava spesso e mia madre aveva gli orari di lavoro più lunghi. Quando ho scelto di fare chimica all’università, pur venendo da studi classici, non mi è mai passata per la testa l’idea che la scienza potesse essere una materia poco adatta per una ragazza”.

Come mai ha scelto chimica?

“Così, senza conoscerla. Pensavo che potesse piacermi. E mi è piaciuta così tanto che ho scelto di occuparmi dei suoi aspetti più teorici, che si avvicinano alla fisica e alla meccanica quantistica”.

Come si organizza per lavorare?

“Ho due figlie, una al liceo e una alle elementari. Prima della pandemia, quando partecipavo ai congressi, potevo allontanarmi grazie a mio marito e ai nonni, che per fortuna sono a Pisa. Adesso lavorando da casa le cose sono ancora più complicate. Mia figlia l’anno scorso era in prima elementare. Non dico che sono stata io a insegnarle a leggere e scrivere, ma poco ci manca. Il lockdown è stata forse la sfida più grande per le donne, e non solo scienziate”.

Con le sue studentesse riesce a farsi un’idea di quali difficoltà hanno superato per arrivare dove sono?

“Molto spesso dietro la loro scelta c’è una spinta forte di un professore delle superiori, a dimostrazione che forse il problema sta proprio nell’autostima, nella capacità di autopromuoversi, credere in sé stesse e osare. Anch’io rispetto ai miei colleghi credo di essere più propensa a chiedermi: ma sarò all’altezza, non starò facendo il passo più lungo della gamba?. La decisione di provare il concorso per l’Erc è stata preceduta da un lungo periodo di riflessione, in cui ho ripercorso in modo critico tutta la mia carriera”.

Cosa consiglia alle sue studentesse quando le vede in crisi?

“Di buttarsi. Per riuscire nei propri progetti bisogna imparare a uscire dalla propria zona di comfort. Di allontanarsi fortemente dalla propria zona di comfort”.

 
 
 
 

Rifiuti? Il problema così è risolto: i Cittadini segnalano e il municipio di Roccagorga subito interviene

Roccagorga, in provincia di Latina. I cittadini segnalano tramite internet e il Comune provvede subito ad intervenire. È così che Roccagorga è diventata ancora più pulita, e il merito è della sinergia tra i Cittadini e l’azienda “Vola”. Terminata la fase sperimentale ora il servizio diventa stabile. 

“Negli ultimi tempi l’azienda “Vola” – dichiara Mario Romanzi, vicesindaco con delega ai rapporti con l’azienda Vola e all’ambiente – è stata portata alla ribalta unicamente per polemiche, troppo spesso strumentali come si è avuto modo di dimostrare di volta in volta, facendo passare in secondo piano l’importante lavoro di ricostruzione e di stabilità che si sta facendo per garantire la qualità dei servizi nonostante il contesto finanziario aziendale non proprio roseo

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Le aziende alberghiere sono al collasso: firma subito la petizione

È una catastrofe il settore alberghiero molte aziende non riapriranno

Raffaele Panico

Roberto Necci, imprenditore alberghiero e Presidente del “Centro Studi della Federalberghi Roma”, lancia l’allarme e il monito ad interventi straordinari per salvare il settore, l’indotto e le stesse città d’arte italiane. Molte aziende non potranno riaprire e paventa il rischio che i Nostri centri storici delle città d’arte e a vocazione turistica, per molto tempo ancora, vedranno gli hotels abbandonati o persino utilizzati per chissà quali altri usi. Ne vale la continuità del nostro Patrimonio storico culturale e paesistico dalle città fino ai borghi d’Italia. E con sue parole continua: “del resto dopo un anno di mancati incassi, un altro anno all’orizzonte simile a quello precedente, nessun settore economico riuscirebbe a rimanere in piedi, abbiamo denunciato questa situazione, dall’indomani dello scoppio della pandemia, il nostro settore non può essere considerato alla stregua degli altri che seppur limitatamente possono riprendere le attività, noi per funzionare abbiamo bisogno dei mercati internazionali”.

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Perché no in un solo giorno la Memoria con il Ricordo?

AD RECORDATIONEM ….ATQUE MEMORIAM 

Dal 10 febbraio 2005, quindi sono già sedici anni, celebriamo il “Giorno del Ricordo” per rinnovare una duplice memoria: innanzitutto, la memoria di quanti, italiani e non, circa 5.000, tra il 1° maggio e il 12 giugno 1945 caddero vittime delle foibe carsiche ad opera delle truppe jugoslave di Tito, liberatrici di Trieste e del Friuli Venezia Giulia dal nazifascismo; poi, la memoria degli oltre 300.000 profughi giuliano-dalmati che, dopo la ridefinizione dei confini orientali con il trattato di pace del 10 febbraio 1947 e sino al 1956, furono protagonisti di un grande esodo verso l’Italia, spesso accolti con ostilità, pregiudizio di filofascismo e sino al 1960 confinati in 109 luridi, fatiscenti campi di raccolta.

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