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CAPALBIO LIBRI al via la XIII edizione

CAPALBIO LIBRI – Dal 26 luglio al 4 agosto 2019

Ecosostenibilità, letture tecnologiche e made in Italy tra i focus della tredicesima edizione in programma a Piazza Magenta per dieci serate. Raddoppiati gli incontri con gli autori. Anteprima teatrale con una produzione sul piacere di leggere.

Torna per la tredicesima volta nel borgo medioevale di Capalbio la rassegna dedicata al “piacere di leggere”, ideata e organizzata da ZigZag, l’agenzia di comunicazione guidata da Andrea Zagami in collaborazione con il Comune di Capalbio. Si torna a Piazza Magenta, uno dei luoghi più suggestivi della Maremma dal 26 luglio al 4 agosto con un programma ricco di appuntamenti, che spaziano dalla narrativa all’economia, dal sociale al benessere, dalla musica alla cronaca.

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Teoria del Gender: quali sono le origini e le conseguenze di una ideologia totalitaria?

GENDER DIKTAT
di Rodolfo de Mattei

La cosiddetta “teoria del gender” costituisce l’ideologia soggiacente alle iniziative politiche e giuridiche che si stanno sviluppando con sempre maggiore insistenza per ottenere la legalizzazione del matrimonio omosessuale e l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di omofobia. 
Questa ideologia, grazie a una costosa e capillare campagna di promozione mediatica, sta conquistando spazi pubblici sempre più ampi, arrivando a mettere in discussione concetti e valori che costituiscono le basi elementari di qualsiasi convivenza civile. 

L’analisi delle origini e delle conseguenze della teoria del gender è l’obiettivo del saggio di Rodolfo de Mattei, suddiviso in due parti:

  • la prima è dedicata alle radici ideologiche, prossime e remote della teoria;
  • la seconda è riservata alle sue ricadute pratiche, nella nostra quotidianità.

Il quadro che ne emerge conferma l’esistenza di una “dittatura del gender”, il Gender Diktat, come lo definisce l’autore, che rappresenta una coerente espressione di quella dittatura del relativismo di cui ha spesso parlato Benedetto XVI. 
Una prospettiva inquietante conseguente a un’ideologia antitetica ai princìpi dell’ordine naturale e cristiano. Questo libro rappresenta una sorta di “manuale” per chi voglia conoscerla e combatterla.

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Anche sulle “Tematiche Gender” l’Agenzia Giornalistica Consul Press ha assento una netta e decisa posizione, senza voler provocare alcuna “caccia alle streghe”, ma rifiutandosi di accettare o subire le imposizioni del pensiero unico dominante che oggi, purtroppo, ha assunto un “Potere Dogmatico” una volta esercitato dalla Chiesa  ….o dalle Chiese.  

a cura di GIAN PAOLO MENEGHINI

 

 

 

Giovanni Morandi, l’ inviato speciale de “La Nazione”, scrive un resoconto degli scorsi trent’anni

Un giornale fatto coi piedi

Giovedì 11 luglio a Firenze, al Teatro Niccolini, è stato presentato un libro insolito: è un diario, è una raccolta di suggerimenti , ma è soprattutto un riepilogo di storia nazionale e no che va dagli anni settanta a qualche anno fa.

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Polemizzando sulla Teologia della Liberazione con “IL SOLE 24 ORE” ed il Cardinale RAVASI

“Il Sole 24 Ore” censura le critiche sulla Teologia della liberazione

La Redazione della Consul Press pubblica parte della risposta del Senatore Riccardo Pedrizzi ad un articolo del Cardinale Gianfranco Ravasi apparso nell’inserto della Domenica de “Il Sole 24 Ore” e che, sino ad oggi, la Redazione di tale quotidiano economico ha ritenuto non dover “ospitare”.  Ciò, probabilmente, per non dispiacere all’ illustre Collaboratore fisso domenicale e con l’intento di non aprire (come era stato fatto pur presente al Direttore del quotidiano editato dalla Confindustria) un dibattito sulle varie sensibilità presenti nel mondo cattolico ma che, evidentemente, si vogliono ignorare per non “disturbare il manovratore”.

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A colloquio con Maria Pia Paravia, autrice di libri d’arte che cattura gli istanti epocali

LA RICERCA DELLA SEMPLICITÀ DI MARIA PIA PARAVIA:
UN’ INTELLETTUALE DEDITA ALLA GEOGRAFIA EMOZIONALE

Una conversazione con Massimiliano Serriello

Non è certo un caso che Pioggia nel pineto di Gabriele D’annunzio sia la sua lirica preferita.

Il senso di appartenenza si va ad amalgamare a spron battuto alla conoscenza delle immagini del territorio. La loro evocazione, lungi dal fermarsi in superficie, penetra le viscere e colpisce tanto al cuore quanto al cervello. I mezzi per raggiungere l’espressione artistica spesso sono più misteriosi del dovuto. La colpa è dei tromboni che si atteggiano a eruditi spiegando in modo difficile cose in verità semplici. A Maria Pia Paravia interessa compiere l’operazione contraria. A beneficio dei lettori che non devono sentirsi intimiditi dalla ricercatezza di un linguaggio per certi versi terroristico.
La geografia emozionale l’ha guidata nella stesura del libro Pompei. Crononi: gli ultimi istanti.
La densità lessicale impreziosisce la scelta di parole brevi, intense, folgoranti.
Le possibilità di rilettura ed ergo di riflessione vanno oltre certe elucubrazioni care ai falsi esperti che vogliono fare la parte dei leoni, anche se hanno il cuore delle pecore e l’occhio annebbiato quando si tratta di discutere gli elementi costitutivi dell’estro.
Le poche righe, intrise di un lirismo pervicace, con dei cortocircuiti talora perfino schernitori, favoriscono invece il passaggio dal lavoro di sottrazione, fiore all’occhiello dei maestri dell’antiretorica, alla negazione della morte. La grande mietitrice non è mai nominata ma orienta la signora Paravia pure nei cascami teatrali ed espliciti rei, di quando in quando, di smentire la natura asciutta ed essenziale dei nastri di partenza. La folta galleria dei personaggi, costretti a coniugare la loro vita all’imperfetto nel momento in cui Pompei resta vittima dell’atroce evento eruttivo, riesce, al contrario, ad appaiare i timbri interiori ed esteriori e conferire, perciò, la stessa precisione di accenti e sfumature a un’ampia gamma di umori.
L’istante prima della fine diviene un valore di rappresentazione inedito, sebbene gli echi cinematografici si sprechino, perché congiunto al livello d’iconocità costituito dai quadri, dai graffiti e dalle sculture che accompagnano il lettore in un viaggio sui generis. Odi et amo. Viene da pensare a Catullo e al suo celebre distico giacché il confronto dell’amor vitae con il cupio dissolvi riserva molte sorprese.
I sentimenti contrastanti cedono poi spazio alla topofilia, intesa come amore per dei luoghi da proteggere. Bisogna evitare che la storia si ripeta imparando dal passato. Il monito per Maria Pia non assume tuttavia mai i toni saccenti dell’oracolo. La forza dell’ironia la sorregge al punto dal garantire una sapida pregnanza al disegno psicologico dei caratteri costretti a condividere lo spietato destino col luogo natìo. Il fatto predominante resta lo schietto desiderio di non trascinare mai il lettore nel tedio alleggerendo l’intero contesto con l’egemonia dell’autentico lirismo della narrazione sull’esplosiva ambiguità della poesia. Che si manifesta lontano dai fuochi fatui del consumismo e dal dubbio gusto del pettegolezzo. Il gusto dimenticato sta addosso al presente. Il recupero della lingua osca, scambiata per un’operazione arcaica dagli scettici avvezzi a usare le scorciatoie del cervello, rinsalda un tipo di fonetica capace di arricchire la dimensione spoglia ed evocativa dei versi. Ulteriormente impreziositi dal margine d’enigma ad appannaggio dell’arte.

La razionalizzazione dell’assurdo, frammisto agli elementi del reale legati al senso dell’addio insito nel trapasso, prevede la dolcezza riposta nell’illusione dei miracoli. Si tratta d’istanti fulminei. L’inevitabile avverrà. Ma aver saputo allargare i confini della fantasia non è un’accattivante reclame. Bensì la prerogativa della fabbrica dei sogni. L’idea di un documentario, sulla scorta del mix di acuto ragguaglio ed elaborazione creativa in grado di trascendere la registrazione nuda e cruda di quegli sconvolgenti accadimenti, non è certo campata in aria. Bisogna capire quale regista raccoglierà la sfida per coordinare i fattori espressivi uniti al nesso tra habitat ed esseri umani. Intanto Maria Pia (nella foto) ha già pronto un altro libro. La sua verve non conosce soste.

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1). D / Per quale motivo ha scritto un libro d’arte incentrato sul territorio raccontando l’esperienza della ‘non vita’?
R /
L’ho ambientato a Pompei perché sono campana: amo la mia regione in maniera viscerale. Inoltre ho vissuto l’esperienza del coma. Per ben tre volte. Quando ne sono uscita, ho compreso che la velocità con cui rivedevo la mia vita era sorprendentemente breve. Ho messo i crononi nel titolo di questo libro in quanto rappresentano proprio un milionesimo di secondo.

2). D / Tra i suoi criteri di valore ha quindi una parte importante la virtù di allargare gli spazi dell’immaginario cogliendo l’attimo?
R / Sì. Ognuno di noi imposta la vita a modo proprio: razionalmente o irrazionalmente. Come diceva Benedetto Croce (nella foto): c’è l’intelligenza emotiva e c’è l’intelligenza razionale. Essendo fornita in discreta misura di entrambe, ho sempre razionalizzato la scrittura ricercando la semplicità. Molte scritture complesse mancano di acume e abbondano di superbia. Quelle semplici sono le migliori: hanno il dono dell’estro e della sintesi. Per cui ho voluto riassumere nel libro in quattro o cinque righe i tratti essenziali di una personalità traducendo la complessità in semplicità. Nasco come settecentista e quel percorso, insieme all’esperienza di eventi traumatici ma rivelatori, mi ha insegnato a spiegare le cose difficili in modo semplice. Di presa immediata.

3). D / Così facendo ha razionalizzato anche l’assurdo poetico, in altre parole la parte irrazionale connessa alla poesia?
R / Dante Alighieri
applicava i concetti geometrici ed euclidei e quindi razionalizzava le cose. Anche quella a cui lei fa riferimento: l’aura contemplativa. Che serve a riconoscere la vera poesia e distinguerla dal poeticismo.

4). D / Nell’introduzione di Pompei. Crononi: gli ultimi istanti cita lo scrittore e poeta Lawrence Durrell in Balthazar. Crede davvero che ogni interpretazione della realtà sia unica?
R / Ho imparato tanti anni fa che la verità comprende tante sfaccettature: non esiste una verità assoluta. Come non esiste, a parer mio, un Dio assoluto e una religione assoluta. Non c’è nulla di assoluto né di certo. L’unica cosa certa è il cambiamento. Ognuno di noi può osservare la verità attraverso un’ottica personale. Ma non è detto che sia la verità. Non credo quindi tanto nell’interpretazione della verità quanto piuttosto nella percezione della sensazione. È una cosa molto diversa.

5). D / Il dialogo con la morte rimanda, in chiave cinefila, a Il settimo sigillo di Ingmar Bergman e all’ironia sopraffina ed eminentemente surreale dell’ingegnoso Luis Buñuel. Quali sono gli altri suoi numi tutelari?
R / L’unico autore che amo in modo totale e incondizionato è Samuel Beckett (nella foto). Dopo di lui, è tutto cambiato. Confesso di non aver letto l’Ulisse di Joyce. Anche se mia sorella è un’esperta del drammaturgo irlandese. Però io trovo noioso il suo modo di scrivere. Una barba! Pure Ezra Pound, che lei apprezza molto, è pesante in alcuni passaggi. Ritengo che la demitizzazione in tal senso sia utile e altresì giusta. Anche quando vediamo in questa prospettiva i personaggi di potere, fuori dai loro alti incarichi, emerge un lato ridicolo e quindi degno di nota.

6). D / Indro Montanelli scrivendo Storia di Roma ha attuato un criterio simile. A beneficio del lettore, che avrebbe pagato sennò dazio alla noia con eventi epocali e monumenti statici.
R / Lei è molto perspicace. Antonio Spinosa è stato il mio padrino ma Montanelli è stato il mio maestro. Ho ancora chiari in testa i suoi insegnamenti: parla molto, scrivi poco.

7). D / Perché nel suo libro il congedo dalla vita ha un ruolo di prim’ordine?
R /
Ho cercato di rappresentare molti congedi. C’è chi, tra loro, lotta, impreca, si abbandona, sospira. Alcuni affrontano l’addio alla Vita in modo inconsapevole. Per dabbenaggine oppure per innocenza. Come il bambino che invoca la Madre. Metto in risalto, con poche righe, la dignità delle persone in procinto di morire. Una mamma quando partorisce non deve mai gridare. Il decoro è importante. Sia quando si viene al mondo sia nel momento del congedo dall’esistenza occorre estrema eleganza.

8). D / Nel recupero della lingua osca è stata ispirata dalla nostalgia del passato o dal desiderio di semplificare le cose complesse?
R / Ho chiesto a Gianni Letta di far leggere questo mio libro a l’uomo più cattivo di sua conoscenza. Il quale invece ha dato un responso positivo. Allora ho pensato di scriverlo in latino. Tradotto con il fronte retro. E lui si è messo a ridere: “E chi lo leggerà?”. Il recupero però della lingua osca, che si trova nelle scritte sulle facciate della città sepolta dall’eruzione del vulcano, era necessario. Ai fini di un idoneo lirismo narrativo. Il passato serve per il presente. Lo Tsunami ha causato gli stessi disastri, pure dal punto di vita ecologico. Gli esperimenti atomici in quelle zone sono all’origine del cataclisma. Ciò mi ha ferito profondamente ispirando il desiderio di redigere un libro semplice per trattare di qualcosa di complesso che riguarda il passato e il presente. Un conto però sono le calamità naturali e un altro gli addetti ai lavori che vendono i cieli. Che non sono loro.

9). D / La scelta del fronte retro in italiano e in inglese invece a cosa è dovuta?
R /
Al fatto, in primo luogo, che io scrivo poco: la casa editrice doveva pubblicare un libro corposo. La seconda ragione risiede nel fatto che come libro d’arte si prestava a un largo oggetto di studio ed esame critico all’estero anche per le tesi di laurea.

10). D / Certe tipologie di personaggi che mette in luce, dall’usuraio alla meretrice, acquistano uno spicco particolare. Il passaggio dal semplice “vedere” all’attento “guardare” coinvolge anche l’interazione tra “apparire” ed “essere”?
R /
Ci sono due modi di percepire la realtà. Uno è capire, l’altro è comprendere. A capire è capace pure un bambino. Comprendere implica la necessità di soffermarsi sui valori dell’esistenza. Per me la comprensione è un atto infinito.

11). D / E quindi sarà la comprensione, intesa nella sua accezione metafisica, ad animare pure le pagine del suo prossimo libro per produrre degli effetti empatici?
R /
Affronterò
in questa chiave di riflessione ed empatia un personaggio storico bistrattato. Una donna che invece di essere compresa è giudicata. La comprensione costituisce il più alto livello d’intelligenza. Comprendere significa rispettare e quindi dare dignità agli altri come si dà a sé stessi. È un valore assoluto. Il migliore.

12). D / L’autorialità, intesa come la capacità di raccontare un fatto intimo trovando la corrispondenza in uno collettivo, può rendere lo stato psichico del lettore simile a quello del sogno?
R /
Ci riescono, come ha dato bene a intendere lei, solo gli autori. I grandi maestri. Il compianto Andrea Camilleri (nella foto), scomparso appena due giorni fa, era uno di questi. Un genio. Perché ha fatto sognare i suoi lettori con dei testi apparentemente scarni, se non rozzi, in realtà pieni di senso. Sapeva condurre il lettore in un’altra atmosfera. 

13). D / La logica comunicativa dell’immagine, quando è superficiale, sottrae forza significante alla parola. Nel suo caso, invece, le immagini prese dal Museo archeologico di Napoli contribuiscono ad accrescere il rapporto tra spazio e tempo. La parola, connessa un alto margine d’enigma, è stata la ciliegina sulla torta?
R /
La pittura di per sé è muta. La componente parlata, ridotta all’essenzialità a beneficio del lettore, diviene un arricchimento anche se, come lei ha sottolineato, contiene una sorta di trappola enigmatica. Come dire che non voglio stressare chi legge con una scrittura aulica e logorroica ma mi servo del carattere enigmatico per stimolare nel profondo il modo di percepire le cose. Questo significa dare voce alle immagini.

14). D / In effetti l’interazione tra le parole, sintetiche ma dense, e le immagini trasmette la percezione del viaggio. Un documentario può tradurre ancor meglio in immagini queste tecniche ascetiche?
R / Nel momento in cui mi accingo a scrivere ho in mente molto il teatro. E anche il cinema. Le visualizzazioni sono al contempo nitide e colme di significato. Questo testo è già pronto sia per il proscenio sia per il grande schermo. Educare i giovani al pensiero attraverso la scrittura classica e pure tramite la scrittura per immagini, tipica del cinema, è una cosa che si può e si deve fare. Occorre, chiaramente, saperlo fare.

MASSIMILIANO SERRIELLO

Così si scrive il futuro – intervista a Mauro Mazza

 

“Soltanto se la politica saprà individuare e vivere principii e valori di riferimento, ispirando a questi programmi e progetti, un’affermazione elettorale non sarà un successo precario, ma la prima pagina di un domani impegnativo e avvincente”. Pensa alla politica ad ogni latitudine Mauro Mazza, ma soprattutto alla destra, quando dice: “Se ci sarà un’altra occasione, e tutto lascia immaginare che sia così nel prossimo futuro, si dovrà fare tesoro degli errori del recente passato. Chi è maggioranza elettorale ha il dovere di agire nel profondo, di segnare il tempo della propria responsabilità, di far discendere le scelte dalla cultura che dà fondamento all’azione politica”.

Nel suo recente saggio “In Coscienza” (Pagine editore, 2019, pagg. 212, € 18,00) l’analisi dello studioso si sovrappone all’esperienza del giornalista. Marco Marconi ha intervistato Mauro Mazza, già direttore Rai e autore di una decina libri, tra saggi e romanzi.

Al centro della sua riflessione, in questo libro, figura una politica oggi in evidente affanno, incapace di coinvolgere le nuove generazioni nell’impegno e nell’azione. Da dove nasce questa crisi?

Mi sono convinto che la crisi della politica sia cominciata quando si sono affievoliti, fino a scomparire, i riferimenti culturali, i valori e i principii, l’ambizione di cambiare il corso delle cose. Quel bagaglio dava ai partiti il senso di un essere comunità. Per le generazioni del dopoguerra la politica era attrattiva, chiamava all’impegno, alla militanza. Riusciva a calamitare la “meglio gioventù”. Oggi non è più così. I giovani migliori sono indifferenti alla politica, con poche eccezioni. Preferiscono altre forme di partecipazione. Direi che, con il venir meno delle ideologie, non si è saputo né voluto riempire quel vuoto. Ci si è accontentati di conquistare un consenso precario e volatile con forze politiche destinate a breve vita, talvolta a travolgenti successi e a rovinose, rapidissime cadute.

– Pensiero gender, superstizione, tecnocrazia, predominio dell’economia e della finanza sulla politica. Le gerarchie morali della tradizione – scrive nel suo libro – appaiono sovvertite. Cosa stiamo perdendo in questo processo? E cosa servirebbe per correggere la rotta?

Oggi la politica è soggetta all’economia e questa alla grande finanza. Per secoli non è stato così. La superiorità della morale della politica, l’interesse di una parte, era accettata dall’economia, la cui morale era l’utile. Sopra tutto era però la morale religiosa, il bene comune, la consapevolezza di cosa fossero il bene e il male, il vero e il falso. Come si può correggere la rotta? Forse individuando temi che uniscano, impegni comuni, battaglie condivise. Sarebbe un segno molto importante se, ad esempio, le culture più attente e sensibili – cattoliche o laiche, cristiane o realmente “illuminate” – si unissero nella condanna dell’aberrante pratica dell’utero in affitto: una forma disumana di schiavitù, un’offesa della dignità della vita umana, un sopruso nei confronti di donne deboli, povere, disperate. Sarebbe una buona battaglia, da condurre nel Palazzo di Vetro, a Strasburgo, nei parlamenti nazionali.

Nel libro molte pagine sono dense di ricordi della politica italiana nella Prima Repubblica. Con particolare attenzione al percorso della Destra, dal “ghetto” al governo. Cosa ci può essere dietro l’angolo per questo versante della politica?

La Destra italiana ha avuto diverse espressioni. In un certo senso, la storia della Democrazia cristiana è stata anche quella di un partito che convogliava un consenso certamente moderato, di destra, per seguire quasi sempre politiche di apertura a sinistra. Poi è venuto Berlusconi, che segnato un’epoca. Ha portato Il MsI-An al governo, ha impedito che sulle macerie del vecchio sistema prevalesse la sinistra post-comunista. Ma non è riuscito a realizzare la promessa “rivoluzione”. Colpa di una coalizione sui generis, ma anche della disattenzione alla cultura politica che avrebbe dovuto guidare le scelte. Le tv berlusconiane e le case editrici controllate dal suo gruppo non hanno accompagnato né sostenuto l’avventura. Ora tutto lascia prevedere che ci possa essere una nuova opportunità per la Destra. Ma soltanto con un’ispirazione politico/culturale precisa, con una classe dirigente selezionata per competenze e per rigore etico, si potrebbe sperare in un esito diverso e migliore.

 

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