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Gucci Beloved Talk show – il talk in versione retro

di Marco Caruccio via pambianconews.com

Prima le Instagram Stories, poi il boom dei podcast e infine il fenomeno Clubhouse. Gli ultimi mesi hanno visto fiumi di parole condivise sui social network. La moda spinge l’acceleratore sulla comunicazione verbale che sembra strizzare l’occhio al mondo della radio e delle trasmissioni televisive in cui gli ospiti si raccontavano senza filtri. Gucci non sta a guardare e lancia un nuovo progetto per celebrare le linee di accessori Gucci Beloved. Il direttore creativo Alessandro Micheleha tratto ispirazione dai famosi late-night show hollywoodiani per dare vita a sei episodi del The Beloved Show. L’attore e conduttore James Corden, realmente impegnato col proprio programma in onda sulla Cbs, intervista il musicista Harry Style, la campionessa sportiva Serena Williams, le attrici Diane Keaton, Sienna Miller, Awkwafina e Dakota Johnson. Durante le brevi clip le star ospiti del talk show parlano delle loro recenti attività sfoggiando i modelli Dionysus, Jackie 1961, Gucci Horsebit 1955 e GG Marmont.

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Vivienne Westwood – 80 anni da vera punk

Auguri a dame Vivienne Westwood che a 80 anni, compiti l’8 aprile scorso, resta una vera donna punk.

Ambientalista, progressista e controcorrente. È così che la stilista dai lunghi capelli bianchi e trucco teatrale ha cambiato il corso della moda diventando una vera istituzione per la moda britannica e mondiale.

Da sempre la Westwood è ambientalista predicando, nel vero e proprio seno della parola, con un trasporto quasi adolescenziale, in favore di una riduzione dei consumi, dell’attenzione all’ambiente, e adesso anche contro il mercato delle armi. La moda sembra interessarla sempre meno – ha lasciato al marito, Andreas Kronthaler, le redini della linea principale, tenendo per sé quella che porta il suo nome, fatta di riedizioni aggiornate di un catalogo di idee più vivo che mai.

Il suo percorso è passato dal punk estremo al new romantic. Inizialmente compagna del geniale Malcolm Mclaren, impresario musicale dalle ascendenze situazioniste, ha inventato il look fatto di cinghie e spille da balia del punk britannico; poi, all’inizio degli anni 80, i due hanno creato il new romantic, che avrebbe ispirato Blitz Kids e Duran Duran, e che ha trovato nell’iconografia corsara della collezione Pirates (1982) la sua summa. Quando si è messa in proprio e ha canalizzato la verve trasgressiva attraverso una rilettura potente del costume storico – dal settecento alla belle epoque, con elementi rinascimentali – ha stravolto una iconografia in apparenza conservatrice per farne veicolo di progresso e rottura. 

Sul fondo sempre lo sberleffo, l’irriverenza ed il gusto del gioco. Nel 1989 Tatler la mise in copertina, travestita da Margaret Thatcher, con lo strillo «this woman was once a punk» (questa donna è stata una punk).

Vivienne Westwood è uno dei pochi personaggi dei quali si può davvero dire che hanno cambiato il corso della moda: non comunicando, ma facendo.

 

C’era una volta Fifth Avenue: ora è una guerra di affitti stellari

Non molto tempo fa, i principali marchi di moda erano disposti a pagare affitti vertiginosi solo per avere un negozio sulla Fifth Avenue di Manhattan. Ora la famosa via dello shopping si è trasformata in un campo di battaglia tra proprietari di spazi e inquilini in cerca di una via d’uscita da contratti di locazione che non riescono più a sostenere. La conferma arriva da Bloomberg che ricorda come il cuore della Grande Mela stia scontando, come altre destinazioni di shopping internazionali, l’impatto negativo della pandemia Covid-19 e la quasi totale assenza di turisti, mentre a moltiplicarsi sono i cartelli “For rent” su vetrine e ingressi.

I pochi commercianti che cercano di firmare nuovi contratti di locazione chiedono sconti elevati. Alcune insegne che sono state lì da sempre, come gli store dell’Nba o di Marc Fisher, sono coinvolti in battaglie legali con i loro landlords per l’affitto non pagato”, si legge su Bloomberg. Dallo scorso marzo, i retailer in difficoltà negli Stati Uniti hanno bloccato il pagamento di affitti per miliardi di dollari, appellandosi al crollo delle vendite. Mentre molte aziende hanno riaperto i loro store o hanno raggiunto compromessi con i proprietari degli spazi, alcuni deal sono oggi incrinati e rallentano il cammino di ripresa della Fifth Avenue, erodendone l’appeal in vista di un ritorno dei big spender da tutto il mondo.

A giugno 2020, la maison italiana Valentino aveva fatto notizia per la scelta di chiudere il negozio di punta a Manhattan, proprio sulla Quinta strada, avviando una battaglia legale con Savitt Partners, il proprietario dell’immobile dello store. Nello specifico, come spiegato da Reuters , il brand si era detto pronto ad annullare il contratto di locazione poiché il negozio, a causa degli effetti della pandemia di Covid-19, non poteva operare “in linea con la reputazione di alta qualità, lusso e prestigio” del quartiere, come previsto dal contratto d’affitto.

Nel 2020, in altre aree di New York, anche Victoria’s Secret era andata in tribunale per chiedere l’annullamento del proprio contratto di locazione per lo store di Herald Square, mentre Gap ed H&Msono stati entrambi denunciati per non aver pagato l’affitto dei loro negozi.

Meno complessa la situazione della Upper Fifth Avenue, che si estende fino alla 60esima strada, dove gli affitti sono scesi del 3,7 per cento.

Sulla Fifth Avenue – conclude Bloomberg – potrebbero apparire altre vetrine vuote, con almeno tre contratti di locazione che scadranno presto. L’accordo di Giorgio Armani per la sua boutique (e ristorante) vicino alla 56esima strada scade tra due anni e non è chiaro se il marchio di moda italiano lo rinnoverà, secondo persone a conoscenza della trattativa. Dall’altra parte dell’incrocio, la proroga a breve termine di Abercrombie & Fitch terminerà all’inizio del prossimo anno e i dirigenti affermano di non aver ancora deciso il futuro. Tiffany prevede infine di lasciare il suo temporary store di 6.900 metri quadrati entro la metà del 2022″. Contattati da Bloomberg, rappresentanti di Tiffany, Abercrombie e Armani hanno preferito non commentare.

 

Stan Smith – la storia di un’icona

Agli inizi degli anni ’70, Stanley Roger Smith è una leggenda del tennis. Il giocatore americano vince due titoli del Grande Slam (Us Open ‘71, Wimbledon ‘72) e la prima edizione della Masters Cup, sia in singolo che in doppio. Eppure, finiti gli anni d’oro della sua carriera, Smith si lamenta che “la gente pensa che io sia una scarpa”. Il figlio, addirittura, arriva a chiedergli: “Papà, hanno chiamato la scarpa dopo di te o te dopo la scarpa?

Stan Smith infatti è il nome del campione di tennis, ma anche delle famosissime sneakers dell’adidas che prendono il suo nome nell’edizione degli anni ’70 e successive, pur essendo state originariamente create in onore del tennista francese Robert Haillet, che nel 1965 ne disegna il modello, dandogli il suo nome. Agli inizi degli anni ’60, infatti, adidas vuole entrare nei campi da tennis, e lo fa con lo stile inconfondibile di una scarpa leggera ma dalla struttura solida, che prende dunque il nome di Haillet. Poi, quando nelle decade successiva diventa lo sponsor di Smith, queste scarpe di pelle bianca, con le riconoscibili tre file di buchi traspiranti e l’immancabile linguetta verde, passano al nuovo campione. Sulla linguetta frontale compare il ritratto e la firma del giocatore, e per la scarpa opportunamente riveduta e corretta, ha inizio una nuova vita come Stan Smith.

Già dagli anni ’70 e ’80, questo modello, dalla linea minimal ma distintiva, diventa subito un classico tra gli sportivi (Smith ammette di aver provato un certo fastidio nel perdere con atleti che indossavano le sue scarpe) e anche fuori dal campo da tennis. Ma è negli anni ’90 che arriva il boom di vendite: nel 1990 la Stan Smith entra nei Guinness dei Primati per aver venduto 22 milioni di modelli nel mondo. Compare nel testo della hit francese Je danse le Mia del collettivo IAM (All’inizio degli anni ’80, ricordo le serate, dove l’atmosfera era calda e i ragazzi stavano tornando a casa, Stan Smith ai piedi) e al cinema nel film di Mathieu Kassovitz La Haine, ai piedi di Vincent Cassel (solo per citarne alcuni esempi). Le Stan Smith da scarpa sportiva diventano un fenomeno di costume, un’icona della cultura street e pop. Per Stan Smith l’impresa di conquistare i giovani con il suo modello di scarpa era impossibile, ma evidentemente si era sbagliato.

Personalmente, da ragazza che ha vissuto l’infanzia negli anni ’90, le Stan Smith non le ho mai legate al giocatore di tennis (lo ammetto) ma a quel tipo “scarpa da tennis” che va bene con tutto e che ha sempre mantenuto la sua aura iconica: è stata la scarpa dei miei maestri di recitazione, dei divi hollywoodiani che ammiravo sulle riviste, insomma le scarpe di chi aveva, ai miei occhi, stile e fascino da vendere. E sebbene nei primi anni duemila le vendite abbiano subito un calo, nel 2014 dopo aver interrotto la produzione 3 anni prima, le Stan Smith tornano sul mercato per non lasciarlo più. Nuove collaborazioni con stilisti e designer, nuovi colori, ma sempre la stessa impressione di una scarpa dal design minimale e senza tempo.

E anche oggi questa scarpa leggendaria mantiene il binomio di tradizione e innovazione grazie alle nuovissime Stan Smith della linea Primegreenche rappresenta i valori di sostenibilità che adidas sta perseguendo. Reinventare una leggenda si può, anzi, per adidas si deve, e per questo anche le Stan Smith sono rientrate nel programma Primegreen che ha come obiettivo quello di sostituire il poliestere vergine con il poliestere riciclato. Un primo passo per inaugurare buone pratiche sostenibili e al contempo mantenere alte le prestazioni. Nel caso di questo modello, il 50% della tomaia è realizzato con materiali riciclati e per realizzarlo non è stato utilizzato poliestere vergine – ma lo stile rimane invariato, portando questa scarpa leggendaria in un nuovo, esaltante, capitolo della sua storia.

 

Bottega Veneta sfida i social lanciando il suo magazine digitale

Cover del digital journal ‘Issue 01’

Essere online senza usufruire dei social network. Sembra questa la nuova mission impossibile di Bottega Veneta che, a sorpresa, ha appena lanciato il primo numero del suo magazine digitale intitolato Issue 01. La pubblicazione avrà cadenza trimestrale e sarà condivisa in concomitanza con l’arrivo delle nuove collezioni in boutique. Un’operazione coerente con la strategia controcorrente del direttore creativo Daniel Lee che, proprio ieri, ha dichiarato al The Guardian: “I social media rappresentano l’omogenizzazione della cultura. Tutti guardano lo stresso flusso di contenuti. Un enorme quantità di riflessioni viene incarnata in quello che faccio, e i social media lo semplificano eccessivamente”.

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Louboutin – il mito con la suola rossa

Non sempre portabili e purtroppo fuori dalle possibilità economiche della media ma uno tra gli oggetti più desiderati da avere nel guardaroba, parliamo delle Louboutin, le scarpe dalla suola rossa.

Metà delle donne vuole una scarpa che la faccia sembrare un po’ provocante, e l’altra metà è composta da donne provocanti che vogliono una scarpa raffinata. Credo che la scarpa completi la donna, le dia quel che non possiede ancora” questa è la motivazione chiara e concisa che ne da Christian Louboutin.

L’attrice francese Léa Seydoux ha confessato che Christian Loboutin le regalò il primo paio quando aveva soli dodici anni, e ogni volta che raconta questa storia poggia ancora l’indice sulla guancia come le bambine quando pensano al loro pasticcino preferito.

Christian Louboutin aprì il suo primo negozio a Parigi nel 1992 dopo aver lavorato con Foger Vivier. Rimase incantato dalle calzature strabilianti realizzate per l’incoronazione dello scià Reza Pahlavi e dalle décolleté di diamanti di Marlene Dietrich. La sua ispirazione però viene da lontano, dalla vita notturna che lo distraeva dai suoi doveri di studente, dalle gambe delle ballerine e dai loro maliziosi sandali gioiello.

Spesso imitate, le originali hanno sempre avuto la meglio (ovviamente!). Curioso il caso dell’azienda olandese Van Haren, che nel 2012 aveva messo in commercio scarpe con tacco alto e suola rossa -chiamate 5th avenue by Halle Berry. Poco dopo è stata citata per contraffazione e la corte di giustizia europea interpellata dal tribunale dell’Aja, si è pronunciata a favore del brand francese: le suole rosso pantone 18-1663tp, nate da un esperimento di smalto per le unghie, non possono essere copiate.

Rizzoli nel 2011 ha pubblicato l’autobiografia di Louboutin in un sorprendente non-libro perchè alcune delle sue scarpe sono non-scarpe, delle vere e proprie creazioni visionare. Basti pensare alle famosissime Fetish ballet heels disegnate in collaborazione David Lynch, e costruite per tenere il piede perfettamente verticale “con queste scarpe non si può di camminare, e tanto meno correre. Si può solo stare sdraiate”.

 

 

La produzione è tutta italiana, a Vigevano, e comprende non solo modelli dal tacco vertiginoso ma anche ballerine e sneakers. Il modello più famoso rimane senza dubbio la Pigalle  Tra i modelli famosi ci sono le ballerine Sophia flat, a punta e con fiocchetto; le altissime So Kate, disegnate per il matrimonio di Kate Moss; le impossibili ballerine Ultima, indossate da Beyoncé nel video di “Green Light”; e ancora The Blake, il sandalo in vernice e stringhe laccate arcobaleno dedicato a Blake Lively. Ma il modello più famoso (ed mio avviso il più bello) senza dubbio sono le Pigalle

“Non ho intenzione di raccontare che il 12 è comodo. Non si tratta di comodità, ma di bellezza” e Jill Abramson, prima donna a dirigere il New York Times, ha reso esplicito il messaggio “Ti infili le suole rosse e non temi più nulla”.