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Tempi di “Saldi” ….. la Sabina in vendita ?

Si vuole vuole cancellare una “VALLE dell’ EDEN”, con un progetto inquietante sulle sponde del FARFA  

un reportage della Redazione della Consul Press da Sant’ Ilario sul Farfa

I primi giorni di gennaio la popolazione di Castelnuovo di Farfa, paesino di circa mille anime, situato in Sabina a pochi chilometri dall’abbazia di Farfa ha appreso, grazie ad un architetto di Roma che vive a Toffia, sempre  molto informato sugli eventi che riguardano la zona, l’ intenzione di un privato di affittare, dietro più che lauto compenso, ventimila euro di canone mensile, ad una società che costruisce impianti fotovoltaici, un terreno agricolo ”di pregio” di sette ettari e mezzo con possibilità di estensione  a quindici ettari al centro della valle del fiume Farfa, a duecento metri dal fiume e dalle sue rinomate “Gole del Farfa” nel corso medio alto in Zona Speciale di Conservazione –ZSC IT 6020018, a cento metri dal sito archeologico, nominato da qualche anno patrimonio dell’Unesco, di Grotta Scura. Affacciati  ed adiacenti alla vallata, oltre a Castelnuovo di Farfa, i borghi medievali di Mompeo, Salisano, Castel San Pietro, Casaprota, Frasso, Monte S.Maria e Poggio Nativo, nonché un susseguirsi di aziende agricole ed abitazioni.

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Le “Imprese del Veneto”
vincenti anche negli U.s.a.

Il Nordest guarda Oltreoceano  – Lo fa con diverse aziende pronte a dare il meglio di sé anche sul competitivo mercato statunitense. Una è Eurotech, – impegnata nello sviluppo di soluzioni per l’Iot (Internet of things) e di edge-computer ad alte prestazioni – azienda globale, ha sede in Friuli Venezia Giulia e filiali americane: a Columbia (Maryland), a Salt Lake City (Utah), ad Huntsville (Alabama) e a Kansas City (Kansas). Il mercato statunitense vale, per l’azienda, quasi il 45% del fatturato che, unito a quello giapponese, fa l’80 per cento. Secondo gli analisti finanziari, Eurotech chiuderà il 2018 con un fatturato consolidato da 75 milioni di euro. 

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La Diocesi di Roma arriva sui Social

LA DIOCESI DI ROMA AMPLIA LA SUA PRESENZA SUI MEDIA

Da oggi, 24 gennaio (*1), risultano attivi gli account social “diocesidiroma” su Facebook, Twitter e Instagram. In partenza anche una stretta collaborazione con Telepace Roma e un nuovo programma su Radio Vaticana, ogni domenica dopo l’Angelus di Papa Francesco.

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Dallo Stadio della Roma a Capanelle: le problematiche alla giunta capitolina

COMUNICATO STAMPA
STADIO DELLA ROMA: REALIZZABILE SOLO A FRONTE DI PRESUPPOSTI CONCRETI E PROCEDURE TRASPARENTI

«La zelante Raggi, alla ricerca di consensi durante la campagna elettorale, si oppone “a qualunque operazione edilizia che sia solo speculativa”, dichiara che a Tor di Valle non ci sono le condizioni per realizzare lo stadio e si dice addirittura disposta a ritirare la delibera sulla pubblica utilità in caso di vittoria.

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Ciao Karl

Riportiamo questo articolo di Costantino della Gherardesca scritto per Il Foglio

Lagerfeld ci mancherà
Ormai la moda si limita a sfornare trend dal fiato corto. Si è andati troppo dietro allo Zeitgeist

In questi giorni le riviste di moda e non, insieme ai social di mezzo mondo, piangono la morte di Karl Lagerfeld: stilista, direttore creativo per Chanel e Fendi, fotografo e icona di stile, l’uomo che nel 2014 dichiarò al Women’s Wear Daily che “i selfie sono la cosa che odio di più nella mia vita”.

Con lui sparisce un altro insostituibile pezzo di quel poco che resta della consapevolezza nel campo della moda mondiale: un settore che – per sopravvivere in questo clima infame – ha preferito rinunciare alla competenza per lanciarsi all’inseguimento dei gusti volatili e discutibili di una platea di influencer adolescenti.

Ora che ho superato la boa dei quaranta e sono dall’altra parte della barricata, ho tutto il diritto (se non il dovere, dovuto a un istinto di conservazione) di credere che non si debba cercare la verità nelle opinioni dei più giovani. Per questo mi chiedo: che senso ha fare da cassa di risonanza a queste sciacquette armate di smartphone?

Quando, nel secondo Dopoguerra, i ragazzi occidentali si sono imposti come categoria emergente di consumatori, alcune figure di punta della moda sono state in grado di mantenere un minimo di compostezza e di ricordarsi che non si trattava di una folla da accontentare e adorare a priori, ma di un confuso catalogo di input da cui trarre (se necessario) ispirazione. Quando Yves Saint Laurent ha intercettato le prime avvisaglie di una “moda di strada” e le ha inglobate nella sua produzione, non stava semplicemente cercando di accarezzare l’ego di una Instaqueen, ma stava accogliendo nel prêt-à-porter elementi di controcultura, per farli entrare in contrasto con un organismo che rischiava di arroccarsi su influenze a aspirazioni visive puramente borghesotte.

Ma se i ragazzi di allora erano reduci o testimoni diretti di disastri e stravolgimenti epocali (guerre, genocidi, carestie, ma anche nascita di nuovi gruppi sociali, messa in discussione di barriere razziali e progressiva rilettura dei gender roles: tutte ansie e ambizioni che ritroviamo nel prêt-à-porter del secondo Novecento), i giovani che i direttori delle case e delle riviste di moda oggi cercano di blandire sono già imbevuti di mainstream, perfetta espressione di una normalità chiassosa che diventa “trasgressiva” solo perché, attraverso i social, ha la possibilità di far rimbombare la sua onnipresente e colorita vacuità. Il mainstream non è più sbeffeggiato né reinterpretato, ma interiorizzato in tutto e per tutto, incluse le sue regole di diffusione per presidiare il mercato.

Non c’è da stupirsi, quindi, se la moda si limita a sfornare trend inconsistenti e dal fiato corto: le sue istituzioni – le riviste di settore in primis – hanno spalancato le porte a un cavallo di Troia carico di teenager con le felpe glitterate e una connessione 5G, li hanno incoronati influencer e li hanno ricoperti di brand altisonanti. Del resto, l’apocalisse della fast fashion l’aveva già predetta, anni fa, Claude Montana: ci si dimenticherà dei vestiti e si finirà a piazzare loghi su cappellini e borsette qualsiasi.

Fatte rare eccezioni (penso a isole felici come “Encens” di Samuel Drira o “The Leopard” di Alister Mackie), la stragrande maggioranza dei direttori delle riviste di moda non capisce più nulla di moda. Rimpiangono Karl Lagerfeld, anche se in realtà non se lo filano da anni, presi come sono nella loro rincorsa allo Zeitgeist dei selfie di ragazzine analfabete. E in questa corsa verso l’abisso hanno glorificato le grilline della moda, le giovani influencer che pur non capendo un cazzo di moda, la fanno grazie ai social media, diffondendo così la loro ignoranza, istituzionalizzata proprio da quei professionisti che avrebbero dovuto proteggere la moda di cui Karl Lagerfeld era un grandissimo studioso.

Come i giornalisti politici hanno messo sullo stesso piano Jacques Chirac e Luigi Di Maio (e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti), negli ultimi anni i direttori delle riviste di moda hanno messo sullo stesso piano Karl Lagerfeld e Kylie Jenner.

Cari editor, direttori, curatori eccetera di riviste di moda italiane, potevate avere un minimo di decenza e non postare coccodrilli o foto commemorative del povero Karl, visto che – obiettivamente – di moda non ne capite un cazzo.