Il diamante Pink Star é il più grande diamante rosa al mondo tra quelli finora classificati dal GIA (Gemological Institute of America); appartiene anche alla categoria “internally flawless” in quanto privo di imperfezioni.
La presenza di diamanti rosa in natura è estremamente rara in qualunque dimensione. Dalla nostra esperienza, i diamanti rosa di grande taglio – sopra i dieci carati – molto raramente sono dotati di un colore intenso. – ha dichiarato al riguardo Tom Moses, vicepresidente del Gia.
Exor, la holding della famiglia Agnelli, vuole investire nelle piccole e medie imprese italiane, soprattutto in quelle che hanno una percentuale significativa di export. A dirlo in un’intervista al Financial Times è il presidente della finanziaria, John Elkann, che controlla anche Fca e Ferrari. “Penso ci siano spazi di mercato in cui un imprenditore o una società controllata da una famiglia può apprezzare di avere un partner, per svariati motivi. Queste partnership per noi rappresentano opportunità di investimento”, spiega l’imprenditore che cita Eataly, Moncler e Technogym come esempi di medie aziende di beni di consumo che hanno riscosso un forte successo all’estero nell’ultimo decennio.
Apre oggi il Salone del Mobile a Milano con eventi che coinvolgeranno tutta la città. Insieme alla settimana della moda è uno degli eventi che rendono famosa la città meneghina nel mondo.
In onore del nuovo film Disney in uscita nelle sale italiane il 16 marzo, arriva a Londra una sala da Tè ispirata completamente a La Bella e la Bestia. Quale modo migliore per rivivere appieno la magia dell’amato Classico Disney?
La 50 Best Restaurants, famosa classifica dei 50 migliori ristoranti del mondo redatta sulla base del giudizio di 837 esperti del settore, ha da qualche tempo anche una sua versione asiatica. Per ben tre anni consecutivi il miglior ristorante asiatico risulta essere sempre lo stesso; si chiama Gaggan, dal nome dello chef di origini indiane, Gaggan Anand, e si trova a Bangkok in Thailandia.
Nel giorno dell’assassinio di suo marito, il 22 novembre del 1963, la first lady Jackie Kennedy indossava un vestito rosa confetto di Chanel. L’abito che rimase macchiato di sangue non fu mai stato lavato e non potrà essere esposto al pubblico fino al 2103 per volere della figlia Karoline.
Come riporta Il Tempo l’abito è conservato in un in una stanza senza finestre con un’umidità mantenuta al quaranta per cento; l’aria viene cambiata sei volte ogni ora. Il prezioso tessuto vale più di un reperto preistorico, più di un diamante raro”
Era un tailleur realizzato in lana bouclé, con il colletto blu marine ed il cappellino in tinta. Curiosamente era tra gli abiti che il presidente preferiva : non a caso Jaqueline l’aveva indossato in altre occasioni prima di Dallas. Per trent’anni si è discusso anche sull’originalità dell’abito, se fosse un vero Chanel o una semplice copia. Il mistero è stato svelato nella biografia di Coco Chanel.
Justine Picardie ha risolto la questione rivelando che tessuto, bottoni e rifiniture arrivarono effettivamente da Chanel ma che la realizzazione fu di Chez Ninon. Non si trattò di una contraffazione, nessuna violazione del marchio. Lo scopo di comprare l’abito da Chez Ninon non era quello di risparmiare denaro, il costo era identico, ma di far apparire patriottico l’acquisto effettuato negli Stati Uniti anziché a Parigi
L’abito presenta ancora le abbondanti macchie di sangue del presidente assassinato e sarà visibile al pubblico soltanto tra ottantasei anni. Non volle che fosse pulito proprio la moglie del primo cittadino d’America, che anzi dopo il delitto fu testimone al giuramento del nuovo presidente Lyndon Johnson con addosso quel vestito sporco. “Non lo voglio togliere tutti devono vedere cosa hanno fatto a mio marito”. Jackie infilò il vestito in una scatola sulla quale scrisse la data della morte di JFK e lo spedì alla madre Janet Lee Auchincloss che a sua volta conservò lo”Chanel” in soffitta per poi darlo al National Archives del Maryland.
Leandra Medine, meglio conosciuta per essere l’ideatrice del famoso blog Man Repeller, si prepara al debutto offline con il primo pop-up store dedicato al proprio brand ed anche alla sua intera piattaforma online. Il MR Bazaar, da oggi primo marzo sbarca al Canal Street Market di New York, e venderà, come spiegato da Wwd, il merchandise firmato Man Repeller e la linea di scarpe MR by Man Repeller, la quale è in vendita anche su Net-a-porter. In aggiunta, ci sarà anche un’edizione limitata di luci neon led Name Glo x Man Repeller a forma di “seni”.
“Se le cose vanno bene, mi piacerebbe pensare a come potrebbe essere uno spazio permanente dedicato a Man Repeller”, ha affermato Medine. “Sono curiosa di vedere come le persone si porranno nei confronti di Man Repeller nella vita reale”.
Dopo aver conquistato la Casa Bianca, Donald Trump si appresta a modificarne il look. E in una direzione che potrebbe non dispiacere ai marchi del lusso internazionali (non americani), tra cui gli italiani in primis.
Milano moda donna affila le armi per presentare un’edizione improntata sempre di più sul tema dell’internazionalità e sui giovani, in attesa dell’appuntamento di settembre che metterà assieme, per la prima volta, sfilate e fiere nell’ambito della ‘super fashion week’.
L’appuntamento al via tra pochi giorni (dal 22 al 27 febbraio) prevede 70 défilé, 88 presentazioni, quattro presentazioni su appuntamento e 37 eventi in calendario, per un totale di 174 collezioni, un numero sostanzialmente in linea con l’edizione di un anno fa. Al debutto sulle passerelle di Milano, Xu Zhi, il designer ospitato da Giorgio Armani in collaborazione con Camera nazionale della moda italiana, Annakiki, Calcaterra, Situationists, supportato da White in collaborazione con Cnmi, e la sfilata di Angel Chen nell’ambito del progetto International designer exchage program di Mercedes-Benz.
Tra i nomi di punta di quest’edizione, l’ingresso di Vionnet nel calendario della manifestazione. Oltre ai big che spalmeranno le sfilate nei sei giorni della fashion week, con Gucci in apertura e Armani in chiusura, tornano anche gli emergenti tra cui DaizyShely, Lucio Vanotti e Ricostru. L’UniCredit Pavillion ospiterà anche quest’anno le collezioni di 15 brand giovani all’interno del progetto Fashion hub market aperto al pubblico su richiesta della municipalità. Grazie al protocollo di intesa con il Comune di Milano appena rinnovato sarà messa a disposizione della moda la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale. Novità di quest’edizione sarà lo Spazio Cavallerizze presso il Museo nazionale della scienza e della tecnologia. “Stiamo rafforzando il progetto di costruzione comune – ha sottolineato l’assessore alle attività produttive Cristina Tajani – che avrà un momento importante a settembre 2017 con riunificazione delle date del sistema fieristico. Per noi questo è un obiettivo importante di passaggio per rafforzamento scenario milanese”.
La fashion week si apre in un contesto positivo per la moda italiana. Secondo i fashion economic trends della Cnmi, il valore del fatturato nel 2016 dovrebbe raggiungere 84 miliardi, in crescita dell’1,9%, “meglio delle nostre previsioni”, ha sottolineato Carlo Capasa, presidente di Cnmi, grazie a una ripresa del secondo e terzo trimestre dell’anno.
Per il primo semestre 2017, il settore dovrebbe registrare un incremento dello 0,8 per cento.
Il binomio aziende di moda e influencer sembra trovare conferme anche nelle statistiche. Secondo una ricerca della società di consulenza Launchmetrics, nel 2016 il 65% delle griffe ha lanciato delle campagne con influencer, sforzi che nell’84% dei casi sono stati ripagati con un aumento di visibilità. Per il 74% degli intervistati, inoltre, il ricorso alle web star ha portato a un aumento delle vendite.
Gli emiri stanno costruendo il nuovo grattacielo più alto del mondo, una città grande come Torino e un aeroporto da 240 milioni di viaggiatori
L’obiettivo dichiarato degli emiri di Dubai è di concludere i cantieri dell’Esposizione universale 2020 con un anno di anticipo. Il traguardo è fissato all’ottobre del 2019, così gli emiratini avranno dodici mesi di tempo per le finiture. Il sito è ancora una spianata nel deserto, ma due giorni fa il comitato organizzatore ha comunicato che entro la fine dell’anno assegnerà 47 contratti per la costruzione di Expo. Valore complessivo: 3 miliardi di dollari. Finora l’unico appalto di peso assegnato è quello per la rete di infrastrutture sotterranee, come tubature dell’acqua, fibra ottica, elettricità, vinto dalla joint venture tra gli egiziani di Orascom e i belgi di Besix, per 544 milioni di dollari.
Tuttavia il sito di Expo è solo uno dei mega-progetti che Dubai e i vicini di casa degli Emirati arabi uniti intendono consegnare entro il 2020: un treno hyperloop, un aeroporto da 160 milioni di passeggeri l’anno, il futuro grattacielo più alto del mondo, solo per citarne alcuni.
È lungo il catalogo faraonico di costruzioni avveniristiche e roboanti, come la città di Aladino, che hanno come traguardo l’inaugurazione di Expo.
Negli scorsi decenni gli emiri sono stati capaci di coprire di cemento il deserto in poco tempo. Tuttavia l’ultimo piano ciclopico, quello di Masdar City, la città “emissioni zero” che si alimenta della sola energia del sole, è in ritardo e la conclusione dei lavori, fissata allo scorso anno, è slittata al 2030. “A Dubai si contano 400 progetti di energia verde per un controvalore di 64 miliardi di dollari – spiega Gianpaolo Bruno, direttore dell’ufficio di Dubai dell’Istituto per il commercio estero -. Di questi 160 valgono più di 100 milioni di dollari”.
Questa febbrile corsa al record ha un prezzo e non solo in termini di denaro. L’organizzazione non governativa Human Right Watch denuncia le condizioni di lavoro della manovalanza nei cantieri: operai sottopagati, ricattati, sistemi in casupole precarie. Spesso i datori di lavoro sequestrano i passaporti degli immigrati (sopratutto da Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka) e se i lavoratori tentano di far sentire la loro voce, interviene la repressione dello Stato. La filiera dell’oro, di cui Dubai è una piazza di scambio globale, sfrutta il lavoro minorile. E gli emiri usano lo stesso pugno con chi muove una critica al loro operato. Nessuna opposizione è contemplata nel deserto che sogna di diventare la metropoli del futuro: in pochi anni gli Emirati vogliono cambiare faccia con dieci mega-progetti.
L’Esposizione universale di Dubai 2020 si intitola Connecting minds, creating the future (Connetterre le menti, creare il futuro) ed è la prima che si svolge in Medioriente. Gli emiri si attendono 25 milioni di visitatori dal 20 ottobre 2020 al 10 aprile 2021, di cui il 70% dall’estero. Cantieri, gestione del sito e indotto genereranno 277mila posti di lavoro, il 40% dei quali nel turismo, e il Fondo monetario internazionale stima un aumento del Pil degli Emirati nell’ordine del 2%-3%. Il sito costerà 8 miliardi di euro e dopo l’Expo sarà trasformato in università e centro di ricerca. Una metropolitana sotterranea collegherà i padiglioni. Il villaggio dei delegati sarà una cittadella con tremila appartamenti, 1.500 stanze di albergo e undici parcheggi.
Abu Dhabi e Dubai distano circa un’ora e mezza di strada l’una dall’altra. Tuttavia gli emiri hanno deciso di investire sull’aeroporto Al Maktoum di Dubai, che sorge a fianco del sito di Expo, e farne uno scalo internazionale. I lavori si articoleranno in due fasi e costeranno 32 miliardi di dollari. Il Dubai World Central avrà cinque piste da 4,5 chilometri l’una. Le previsioni per la prima fare sono di 120 milioni di passeggeri l’anno, poco meno dell‘intero traffico degli scali italiani nel 2016 (dato Assaeroporti). Al termine lo scalo potrà contenere fino a 240 milioni di passeggeri. Il progetto è così ambizioso che Sace, la compagnia pubblica che assicura le commesse italiane all’estero, ha aperto una linea da un miliardo di euro. La statunitense Lane, controllata dalla romana Salini Impregilo, si è già assicurata l’appalto per la recinzione.
Dubai South
Se le tremila abitazioni dell’Expo village non fossero sufficienti, Dubai sta progettando un’intera nuova città a sud dei padiglioni dell’evento. Dubai South, il nome del centro, che gli emiri vogliono trasformare nella “città della felicità”. Una sorta di prova su strada di tecnologie e confort che dovrebbero migliorare la vita di chi abita nelle metropoli. L’obiettivo è di allentare la congestione del traffico sulla città vecchia, offrendo a un milione di persone casa in un nuovo quartiere di 145 chilometri quadrati. Per intenderci, gli emiri stanno costruendo una nuova città grande poco più di Torino, appiccicata al nuovo aeroporto e all’Expo. Alcune case sono già in vendita. Prezzo di partenza: 76mila dollari.
Treno Hyperloop
In attesa che gli Stati Uniti prendano posizione, Hyperloop, la compagnia dei treni a levitazione magnetica, ha trovato negli Emirati arabi i finanziatori per una prima rete ferroviaria iperveloce. Alla fine dell’anno scorso la società legata a Elon Musk ha annunciato che costruirà una linea Hyperloop in Medio Oriente. Per andare da Abu Dhabi a Dubai serviranno 12 minuti. Dodici minuti per 157 chilometri. I 1.100 chilometri verso Rihad si copriranno in 48 minuti e altri 23 minuti per i 700 chilometri per Doha. Le capsule a levitazione magnetica possono viaggiare fino a 800 chilometri orari. Il progetto per ora non ha una data di consegna, ma il traguardo di Expo è allettante.
Torre Calatrava
A ottobre sono state gettate le fondamenta della torre di Santiago Calatrava, il prossimo grattacielo più alto del mondo, che erediterà il titolo dal vicino Burj Khalifa. La costruzione supererà di una “tacca” gli 828 metri del gigante emiratino e sarà retta da un intricato sistema di tiranti. La guglia infinita si staglierà al centro di due palazzoni che faranno da quinte scenografiche e al centro di una giungla di grattacieli anonimi. La torre di osservazione si colloca al centro di un intervento urbanistico più esteso, quello del Creek Harbour. Sei milioni di metri quadri sul fronte del porto saranno trasformati in un nuovo quartiere della città entro il 2020. Per Expo Calatrava firmerà anche il padiglione degli Emirati arabi, a forma di falco.
Città di Aladino
A poca distanza dal Creek Harbour, 450 metri per la precisione, sorgerà Aladdin City. Il complesso di case e centri commerciali adagiata sull’acqua è ispirato alle favole di Aladino e di Sinbad. La costruzione dei fabbricati, valore 500 milioni di dollari, è cominciata l’anno scorso e dovrebbe completarsi entro il 2018. La città di Aladino si aggiunge alla serie di interventi sul fronte mare, come gli arcipelaghi a forma di palma che sono sorti intorno a Dubai. Là dove oggi si trovano le banchine del porto, per l’Expo gli emiri sognano di veder brillare tre torri costruite come palafitte. La forma a cipolla e il rivestimento dorato potrebbero ricordare, con un po’ di immaginazione, la lampada di Aladino, da cui il nome del progetto.
The Frame
Quante volte viene da dire, davanti a un tramonto mozzafiato sul mare, a una catena svettante di monti o alla distesa formicolante di una città, “Che paesaggio da incorniciare”. Gli emiri hanno preso la frase alla lettera e hanno sborsato 43,5 milioni di dollari per un edificio a forma di cornice, da cui il nome inglese di The frame, nel parco di Zabeel. Le due torri, alte 150 metri, sono collegate da un ponte di 100 metri, con caffè e belvedere panoramico, per scattare foto alla Dubai vecchia e ai nuovi quartieri. I costruttori si attendono oltre due milioni di visitatori l’anno.
Mall of the World
Sarà il centro commerciale più grande al mondo, anche se il progetto è stato ridimensionato. Per intenderci, contavano di costruire 100 alberghi all’interno, ne realizzeranno 80. Gli emiri presentano il futuro Mall of the World come la più grande città pedonale a temperatura controllata, visto che sarà condizionata 24 ore su 24 come tutti gli interni di Dubai, se si vuole sopportare l’arsura del deserto, ma nei fatti è il riconoscimento di uno dei titoli della città. “E’ la seconda destinazione per shopping al mondo dopo Londra”, spiega Giovanni Bozzetti, fondatore dello studio Efg Consultinged esperto dei Paesi del Golfo. Il progetto coprirà un’area di poco meno di otto milioni di metri quadri e sotto la grande cupola di vetro al centro ospiterà un parco divertimenti, oltre a cinema multisala, uffici, ristoranti e una serie di teatri dove gli emiri vogliono mettere in scena il meglio del cartellone di Broadway e del West end.
Musei
Dell’indotto turistico dell’Expo di Dubai contano di beneficiare tutti gli emirati. Specie Abu Dhabi, se il treno hyperloop realizzerà collegamenti in dodici minuti tra le due città. Anche Abu Dhabi è in fase di espansione e l’isola di Saadiyat è il fulcro dei cantieri. Qua sorgeranno tre musei: un polo distaccato del Louvre, dove saranno ospitate a rotazione opere delle gallerie francesi; una versione gigante del Guggenheim; il Zayed museum,sulla storia degli emirati. Tutti i palazzi hanno firme altisonanti: il progetto del Louvre è opera di Jean Nouvel, Frank Gehry ha curato il secondo e Foster + Partners il terzo. Sorgerà anche un centro per le arti su disegno di Zaha Hadid e Tadao Ando ha progettato il museo del mare. Sulla barca delle archistar non manca più nessuno. Solo per il Louvre, tra costruzione e diritti sul nome in concessione, gli emiri sborseranno oltre 1,3 miliardi di dollari. L’apertura è stata fissata per quest’anno. Come quella del museo del futuro, che aprirà a Dubai. Costo: 136 milioni di dollari.
Secondo la banca Alpen Capital, nel 2020 gli Emirati potranno offrire 13.800 posti letto negli ospedali. Dubai ambisce a diventare un polo per il turismo sanitario della zona, tanto che gli investimenti al 2020 ammontano a 19,5 miliardi di dollari. A nord di Dubai sta sorgendo una città della salute, che offre prefabbricati per cliniche, ospedali, centri di ricerca nel campo delle scienze della vita, palestre per la riabilitazione e spa agli investitori internazionali. Il complesso occuperò 240 ettari ed è considerato zona franca, in modo da aggirare le leggi emiratine che impongono alle aziende straniere che vogliono fare affari nell’area di avere un partner locale al 51%.
Anjali Lama, il debutto della prima modella transgender alla settimana della moda indiana. Un’edizione storica quella della Lakme Fashion Week di quest’anno, infatti per la prima volta una modella transgender ha sfilato per un evento di primo piano della moda in India.
Si chiama Anjali Lama, Nabin Waiba per l’anagrafe, nata in Nepal, un’ infanzia difficile dalla quale nacque la decisione di andarsene. Si trasferisce a 17 anni nella capitale indiana dove trova il sostegno della Ong “Società del diamante azzurro” e la forza di cambiare la sua identità da Nabin a Anjali per trovare finalmente se stessa. Per tre anni Anjali si propone per le passerelle della settimana della moda ma viene respinta a causa della sua identità di genere.
Quest’anno finalmente, dopo aver superato tre difficili casting, l’occasione che aspettava da sempre. La sua speranza è che la sua partecipazione riesca a far crollare questa barriera ed aprire ai transgender la porta delle sfilate anche in uno paese “difficile” per certi aspetti, come il suo.
Le famosissime Fettuccine Alfredo si celebrano oggi 7 febbraio facendo unire nei “festeggiamenti”, per uno dei piatti italiani più amati, Roma e l’America con il National Fettuccine Alfredo Day,
Un piatto apparentemente semplice, fettuccine con burro e parmigiano, ma difficilissimo da realizzare, e conteso ancora oggi tra due locali romani, “Alfredo alla Scrofa” (via della scrofa 104/a) e “Il Vero Alfredo” (piazza Augusto Imperatore 30).
George e Charlotte, i meravigliosi figli di Kate Middlton e William d’Inghilterra non sono gli unici royal babies. Saranno i più chiacchierati ed i più conosciuti ma dobbiamo ricrederci. Infatti, esiste un altro bambino coronato altrettanto fascinoso, che diventerà re in un Paese molto meno chiacchierato della Gran Bretagna.
Si tratta di Dragon Prince Jigme Namgyel Wangchuck, nome alquanto curioso del piccolo principino della famiglia reale del Bhutan, lo stato più felice del mondo, nel quale appunto la “felicità interna lorda” conta più del valore del pil. Il piccolo Dragon non ha proprio nulla da invidiare ai più blasonati Charlotte e George nostrani, infatti mostra un sorriso pieno di gioia e delle guance deliziosamente paffutelle nel calendario di cui è protagonista. La madre, del resto, ha mostrato più volte il piccolo regale sul suo profilo Facebook ed Instagram, facendo sciogliere i cuori dei sudditi e del mondo intero.
Il sito Yellow, che è testata di Stato, offre una magnifica foto del principino in download, per tenere l’immagine di Jigme sempre con sé. Lo scatto ufficiale è stato realizzato per celebrare il primo compleanno del bimbo, ieri 5 febbraio. Ora George e Charlotte sanno di avere un rivale in fatto di beltà e “paffutaggine”.
Il sushi fatto con il KitKat, un’idea molto kawaii e molto giapponese. Oltre al rapporto di folle amore tra il paese del Sol Levante e KitKat (che solo là ha più di 300 varianti), l’iniziativa è stata lanciata per promuovere l’apertura nuovo negozio nel quartiere di Ginza a Tokyo.
Una nuova serie limitata composta da tre speciali cioccolatini ispirati all’arte del sushi; si tratta di tre dolcetti messi a punto ispirandosi ai classici nigiri di tonno, ai gunkan con ricci di mare e ai tamagoyaki, con frittata e riso. Il primo propone una tavoletta ricoperta al lampone su riso soffiato al cioccolato bianco; il secondo unisce mascarpone e il pregiato melone Yubari King, avvolto dalla tradizionale alga; il terzo ha il gusto di pudding alla zucca sul riso soffiato al cioccolato bianco. Questi piccoli capolavori di food design saranno disponibili dal 2 al 4 febbraio nel negozio di Ginza, ma solo ed esclusivamente per quei clienti che spenderanno almeno 25 euro in KitKat vari ed eventuali.
È un omaggio alle amiche Franca Sozzani e Anna Piaggi la mostra di Manolo Blahnik The art of shoesche apre oggi, 26 gennaio, a Palazzo Morando.
“Le donne milanesi mi rendono orgoglioso” ha detto il 74enne designer di scarpe presentando la sua collezione personale che, dopo Milano, approderà all’Hermitage di San Pietroburgo e poi a Praga, Madrid ed in Canada.
Nei due anni di preparazione sono state selezionati 212 scarpe e 80 disegni realizzati in 46 anni di carriera, dalle calzature ispirate all’arte di Goya o Picasso a quelle realizzate per il film Marie Antoinette.
“Aiuto, salviamo la sfogliatella riccia”, titolava con grande preoccupazione la Gazzetta dello Sport nelle pagine riservate al cibo.
Una tradizione secolare quella della sfogliatella, dolce simbolo della pasticceria napoletana, che rischia di perdersi a causa dei “tappi“, i gusci semilavorati delle sfogliatelle ricce, impiegati in gran segreto da parecchi pasticcieri.
A Conca dei Marini, antico borgo della Costiera Amalfitana, c’è il Monastero di Santa Rosa, oggi un bellissimo albergo, che un tempo ospitava le monache benedettine di clausura. Nel XVIII secolo, una suora del convento mettendo insieme due semplici sfoglie di pasta diede vita a un dolce che aveva la forma del cappuccio del saio di un monaco e lo farcì con un ripieno composto da semola, zucchero e frutta secca.
Era nata la sfogliatella Santarosa.
Agli inizi dell’Ottocento in via Toledo, di fronte a Santa Brigida, c’era (e c’è ancora) la bottega di un pasticciere, tale Pasquale Pintauro che a quanto pare aveva una zia monaca che probabilmente gli passò la ricetta. In seguito con una dovuta modifica alla ricetta della suora creò quella che poi è stata denominata sfogliatella napoletana.
Ancora oggi c’è chi sostiene che la vera sfogliatella sia quella fatta dal Pintauro, e chi invece è convinto che sia la Santarosa di Conca dei Marini.
Oggi distinguiamo tra riccia e frolla; la prima è una specie di conchiglia di pasta sfoglia sovrapposta in strati sottili resi croccanti dalla cottura, e all’interno si trova una crema consistente ottenuta per amalgama di semolino, ricotta, uova e zucchero, con aggiunta di canditi, acqua di fior d’arancio, vaniglia e cannella. Nella frolla quello che cambia è solo il guscio, che sempre più un raviolo, a parità di ripieno
Direttamente dalla sfogliatella Santarosa proviene la coda d’aragosta: pasta sfoglia con la caratteristica coda allungata farcita con panna e cioccolato, o crema chantilly e cioccolato. Oggi sfogliatella Santarosa e code d’aragosta sono diffuse in tutto il territorio campano, mentre a Napoli e dintorni prevalgono le classiche versioni riccia e frolla, quasi sempre con identico ripieno.
Un tempo Carraturo a Porta Capuana era il posto preferito dei napoletani amanti delle sfogliatelle, ma è opinione comune che non siano più quelle di un tempo, purtroppo. Discorso simile per gli attuali eredi del leggendario Pintauro. Le interpretazioni migliori, quelle che rendono onore alla sfogliatella napoletana, appartengono oggi a Attanasio, nei pressi della Stazione Centrale e a Bellavia in zona Vomero. Per gli studenti universitari Capparelli resta il mito di sempre. Poco fuori dal perimetro cittadino, a San Giorgio a Cremano, l’indirizzo su cui puntare a colpo sicuro è quello di Sabatino Sirica.
Ma da un po’ di tempo si sta registrando una vera e propria crisi che sta portando attentatando l’ortodossia della sfogliatella con esperimenti che prevedono forme kitsch e ripieni poco convenzionali, ibridi e mash-up anticonformisti.
Alcuni anche interessanti, come la “sfogliacampanella“, una sfogliatella ripiena di babà che è schizzata in cima alle preferenze dei napoletani, insieme alla loro glicemia.
L’impasto della sfogliatella riccia viene lavorato a forma di campana e farcito con uno strato di crema al cioccolato, ricotta e all’interno un mezzo babà.
La sfogliacampanella è un’invenzione di Vincenzo Ferrieri, rispettabile pasticciere di Sfogliate Lab, uno dei format che, insieme a Cuori di Sfogliatella (proprietà di un altro Ferrieri, stavolta Antonio) prepara sfogliatelle alternative, dai ripieni quasi eretici ma amati dai napoletani: alla crema di pistacchio, di limone, di frutti rossi (e per Natale anche quella di panettone).
Oppure, ripieni salati come salsiccia e friarielli, e addirittura una sfogliatella al baccalà.
L’altro cruccio, come già detto, sono i semilavorati. I pasticcieri che preparano le sfogliatelle ricce senza l’ausilio di gusci già pronti e surgelati, che fanno risparmiare tempo e denaro, diminuiscono a vista d’occhio.
[Crediti | Link: Gazzagolosa, immagini: La cuoca del presidente, SfogliateLab, dissapore.com]
La Russia sperimenta la prima e importante inversione di tendenza sui luxury goods nel 2016, e spera in un rilancio quest’anno. Secondo un rapporto stilato congiuntamente da Exane Bnp Paribas e Contactlab, nel 2016 il mercato dei beni di lusso russo è cresciuto tra il 5 e il 10%, raggiungendo un valore stimato di 3,5 miliardi di euro.