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Carnevale in Campania dove i cibi tipi sono un’altra cosa

I napoletani, ma i campani tutti in generale, sono ossessionati dal carnem levare: il Carnevale, l’ultima festività che precede il periodo di Quaresima, prevede una ricchezza di piatti ed abbondanze quasi fuori misura. Ogni zona della Campania ha i suoi cibi tipici legati al Carnevale, dunque non fate i campanilisti, cari amici campani, se le tradizioni gastronomiche del vostro paesello non sono tra quelle che citeremo. Sono davvero troppe!

Brevissima storia del Carnevale in Campania

Salteremo a pie’ pari tutte le tradizioni pressappoco “ciarnavalesche” del mondo magnogreco e dell’Impero Romano: tanti erano i riti, principalmente di stampo dionisiaco e di altre ritualità pagane per andare direttamente in epoca moderna, dove ritroviamo molte testimonianze di prima mano.

Avete mai sentito dire di una festa di addio al celibato concomitante col Martedì Grasso? Bene, a Napoli abbiamo un illustre esempio di ciò.

Largo di Palazzo, attuale Piazza del Plebiscito: 1737 circa. Carlo di Borbone, capostipite della dinastia omonima arrivato scapolo al trono, intersecò i festeggiamenti del Carnevale con quelli del suo “addio al celibato”. La città di Napoli, ben avvezza ai festeggiamenti, mise da parte le differenze di caste e si riversò in strada per danzare, fare baldoria, mangiare fuori misura. Si dice che Carlo stesso si prestò fieramente ai festeggiamenti, indossando sontuose vesti da indiano ed elargendo cibi, lastricando praticamente la piazza di provoloni, soppressate ed altre cibarie.

Da qui nacquero le “cuccagne“: prima della Quaresima, ce n’erano fino a cinque nella città partenopea e non c’era molto da ridere. Il palo della cuccagna o “palo di sapone” carnevalesco colpì anche il Marquis Donatien Alphonse-François De Sade, in viaggio a Napoli. Il Divin Marchese descrisse con parole di sommo stupore il popolino napoletano che si graffiava, picchiava fino a stramazzare sul suolo pur di afferrare le mercanzie messe a disposizione dalla dinastia borbonica. Il Carnevale, a Napoli, si tingeva di sangue: non era infrequente che ci scappasse il morto, pur di portare le vivande a casa.

Se queste erano le tradizioni cittadini, quelle “di provincia” erano più parche: tradizionalmente agresti, si soleva festeggiare con gli insaccati e le ultime parti del maiale macellato poco tempo prima. Per questo motivo, nella nostra lista di cibi e tradizioni del Carnevale in Campania; troverete anche preparazioni tipiche di un solo comune, fuori dal perimetro napoletano, magari anche di altre province.

 

Lasagna

lasagne

Bboni, state bboni: lo sappiamo fin troppo bene che le lasagne hanno origini e dibattute, ma è innegabile l’importanza che esse hanno avuto ed hanno sulle tavole napoletane e di tutta la Campania. Dopotutto, abbiamo avuto anche un Re Lasagna: parlo di Ferdinando II di Borbone, così soprannominato perché ghiotto di questa preparazione.

Le lagane, cioè sfoglie di pasta sia fresca che secca, erano diffuse sin dall’antichità: la fama dei napoletani come “maccheronari”, poi, ha contribuito alla diffusione. Di lasagne borboniche abbiamo traccia finanche nei primi trattati di cucina meridionale: in quelli della corte angioina datati tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, troviamo la ricetta De lasanis , una sorta di pasticcio di pasta antenata della nostra.

La lasagna napoletana solitamente non prevede l’utilizzo della pasta all’uovo; è composta da un ragù molto ricco al quale viene aggiunto abbondante formaggio, a volte uova, qualcuno osa anche con i salumi. La lasagna napoletana prevede anche l’inserimento, ad ogni strato, di una quantità variabile di polpettine (vedi sotto per le specifiche), che rendono la nostra “riggiola” di pasta ripiena molto golosa e calorica: l’ideale prima di iniziare la Quaresima.

 

Migliaccio dolce (ma anche salato)

migliaccio-napoletano-taglio

Il migliaccio, dal latino miliaccium, è un piatto radicato nella più profonda tradizione contadina campana: si narra che in origine gli ingredienti fossero il miglio (diffuso nella civiltà contadina) insieme al sangue di maiale. Attualmente – bandito il sangue di maiale – , usata è la semola rimacinata abbondante ricotta, zucchero, latte, uova, una quantità variabile di essenza di fiori d’arancio, cannella. Se vi ricorda l’interno di una sfogliatella napoletana, beh, non andate molto lontani dalla realtà.  Preparato e riposto in un tegame di rame, dopo una cottura in forno di circa sessanta minuti, il nostro migliaccio avrà una crosta morbida, umida e dal colore dorato.

Esiste anche la versione salata del migliaccio, che ugualmente viene preparata nel periodo di Carnevale: si tratta di uno sformato di farina fioretto, lavorato con strutto ed arricchito di formaggi e salumi vari.

Polpette

Polpette napoletane

‘nnoja

'nnoja

Carnuluvaro mio chino re ‘nnoglie, oj maccaruni e rimani foglie.”. Facilmente tradotto: Carnuluvaro (personaggio di fantasia, uno straccione dedito ai vizi) pieno di noglie, oggi pasta e domani foglie. Ancor più tradotto: oggi si mangia grasso, domani ci saranno solo le foglie. Così si dice in quella parte di Campania chiamata Cilento.  Sì, ma che cos’è la ‘nnoja? La noglia era considerata la salsiccia dei poveri, ottenuta da parti di stomaco del maiale ed altri tagli meno nobili, aromatizzati per “stordirne” il sapore forte con finocchio selvatico, peperoncino e tavolta vino, poi insaccati in budello. Questa salsiccia è diffusa in Cilento così come in Irpinia, non soltanto a Carnevale: ad esempio, proprio in Irpinia, la noglia è usata per insaporire la minestra maritata di Natale. Essendo il Carnevale l’ultimo periodo utile per festeggiare l’uccisione del maiale prima della Quaresima, ne vediamo un grande consumo proprio in occasione di questa festività.

 

Scartellate

Cartellate

Ci troviamo qui a Baselice, comune del Sannio. L’alto Sannio è crocevia di diversi confini, tra i quali quello col vicino Molise e l’immediata Puglia: più che normale quindi che le tradizioni si fondano e sia pressoché impossibile stabilire dove sia l’origine di questa o quella cosa. Un esempio indicativo è quello delle scartellate, le “cartellate” pugliesi, che qui sono iconiche di Baselice. Si tratta nella fattispecie di striscioline di pasta dolce lievitata, successivamente cosparse di miele oppure zucchero.

Pastiere

Pastiera "capellini d'angelo" (con la pasta)

Al maschile a questo giro, troviamo IL pastiere, protagonista delle tavole in Irpinia e che può essere sia dolce, sia salato: a dimostrazione di quanto storicamente ci viene tramandato, cioè che la pasta veniva incondizionatamente condita sia con ingredienti dolci, che con ingredienti salati. Una cosa molto diversa dalla pastiera napoletana, fatta di ricotta, grano, semolino, canditi, fiori d’arancio e pettola di pastafrolla, anche se ci sono alcune cose in comune.

Il pastiere dolce è una specie di torta di spaghetti arricchita di zucchero, ricotta, uova, canditi ed eventualmente uva locale. La versione salata, invece, prevede che il pastiere sia condito con salsiccia fresca, formaggi vari e pepe. Viene preparato a Carnevale ma, passato il periodo di Quaresima, spesso viene riproposto anche per la Pasqua. Se una simile variante sul vi confonde, vi consigliamo un’approfondita lettura sul tema pastierE.

Vermicelli pertosani

Una ricetta davvero singolare quella dei vermicelli pertosani, tipici del comune di Pertosa (Salerno), famoso per le sue suggestive grotte carsiche; questa preparazione è così sentita che solitamente si tiene anche una sagra, la cui serata culmina proprio il Martedì Grasso. Andando più nel dettaglio, parliamo di pasta lunga tirata a mano, condita con tagli secondari del maiale come piede, orecchie, cotica a cui vanno aggiunti poi uova e formaggio (solitamente di pecora o similari). La presenza dell’uovo – qui ben cotto, tanto da formare una sorta di “frittatina” e altri ritagli di maiale potrebbe ricordare vagamente ben altra ricetta… lascio a voi le interpretazioni.

Scarpella di Castelvenere

Scarpella di Castelvenere

Parliamo qui di un particolare tipo di primo piatto, diffuso nel comune di Castelvenere, altra cittadina del Sannio. Questo piatto è tradizionalmente associato al Carnevale, ma viene anche abbinato al santo patrono locale, San Barbato, che cade il 19 febbraio. Potrebbe sembrare l’ennesima frittata di maccheroni, ma così non è: ci troviamo di fronte ad un esempio di lasagna bianca: il timballo viene unito a salumi, formaggio primo sale ed uova.

 

 

Zeppole dolci di Carnevale

Zeppole dolci di Carnevale

Come abbiamo già ampiamente detto nel nostro trattato sulla zeppola, la venerata tsippola può essere sia dolce che salata, proposta in diverse varianti, con crema o senza, cambiando di volta in volta foggia, nome e festività. In questo caso la zeppola è la graffa (dall’austroungarico krapfen, bomba fritta ripiena solitamente di crema), impastata insieme a patate e cannella, fritta in abbondante olio e cosparsa poi di granelli di zucchero. Sì, certo: obietterete che ormai la si trova tutto l’anno e che non è diffusa soltanto a Napoli… ma a Carnevale si frigge: volete forse perdervi un’occasione in più?

 

Iginio Massari VS Ernst Knam i due mostri sacri della pasticceria si scontrano sul temperaggio del cioccolato

Mai nella vita avremmo immaginato di dover decidere se schierarci con Iginio Massari o con Ernst Knam per capire chi ha in mano il vero segreto per temperare il cioccolato. Né mai avremmo pensato che i due titani si scontrassero l’uno contro l’altro.

E invece è in corso una vera e propria guerra fratricida tra pasticceri, senza nessuna esclusione di colpi, e d’altronde l’argomento è di importanza vitale: ma come si tempera il cioccolato per realizzare una perfetta sfera tale da incavarci un dessert?

C’è chi non ci dorme la notte, chi la mattina si sveglia con decine di messaggi a riguardo (come Debora Massari, figlia del Maestro) e chi diligentemente prende appunti nell’eventualità che domani sia il caso di prepararsi l’uovo di Pasqua da soli, ché non si sa mai che torniamo in lockdown e rimaniamo senza lievito per la pizza.

Il caso: Iginio Massari a Masterchef

MasterChef Italia, Barbieri e Massari

Il pomo (di cioccolato) della discordia è l’ultima apparizione di Iginio Massari a Masterchef. Di fronte a una classe con gli occhi a palla in un misto di disperazione e preoccupazione, il Maestro ha mostrato come realizzare un perfetto dessert d’alta cucina. Ha temperato il cioccolato, lo ha messo nello stampo, e ha pure dato sfoggio dei superpoteri del suo mignolo che ha la sensibilità di un termometro da precisione.

Come da copione, la prova di pasticceria con protagonista Iginio Massari è stata una strage per gli aspiranti chef di Masterchef, che non sono riusciti neanche a tirar fuori dallo stampo mezza sfera, fatta eccezione per quel volpone di Maxwell che ha nove vite come i gatti.

Colpa della pasticceria, branca complessa e insidiosa della cucina, pensiamo noi da casa.

Colpa di un maestro poco competente, pensa qualcun altro.

La risposta di Ernst Knam

 

Perché dopo la prova di Masterchef viene fuori che l’altro maestro super pop della pasticceria italiana, Ernst Knam, in proposito, avrebbe pure qualcosa da dire. Ma come? Lui è il “re del cioccolato” e voi fate fare le sfere di cioccolato a Iginio Massari? Che affronto.

Eh no, cari autori di Masterchef, col cioccolato non si scherza mica – pensa Knam. E, in un impeto di rabbia per aver sentito tante inesattezze, decide di vendicare tutti gli aspiranti Masterchef d’Italia, e far sapere a tutti che Iginio Massari sul temperaggio del cioccolato ha preso una cantonata dietro l’altra. Almeno, questa è la sensazione che si ha guardando il suo video, postato su Instagram all’indomani della messa in onda dell’ultimo episodio del cooking show, in cui Ernst spiega “come si tempera VERAMENTE il cioccolato”, per esempio, chessò, “per fare una piccola sfera per nascondere un tiramisù e poi versare una cioccolata calda così si scioglie”.

Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale, pare di leggere in sovraimpressione, mentre le istruzioni date da Massari ai concorrenti di Masterchef vengono smentite una ad una dal pasticcere italo-tedesco.

Chapeau, caro Knam, ci va una bella dose di sicurezza (e di eleganza) per far le pulci pubblicamente a un illustre collega.

Perché la verità è che, ascoltando Knam, pare che Massari abbia sbagliato tutto, ma proprio tutto, nello spiegare la ricetta alla Masterclass.

Che poi per carità, ognuno fa la carbonara come vuole, col guanciale o con la pancetta, ma noi eravamo rimasti che la pasticceria era una scienza esatta più che un’arte creativa, e alla fine se fai la carbonara con la pancetta forse forse qualche problema lo abbiamo.

Quindi ora resta da capire: chi ha ragione dei due? Chi ha dato i suggerimenti giusti e chi ha tentato di depistare il pubblico a casa non svelando i segreti del suo cioccolato?

Massari VS Knam: le differenze

I gradi: 27 sono i gradi a cui deve stare il cioccolato quando lo lavoriamo inizialmente, dice Massari. E Knam, neanche lo avesse sentito, in diretta, dice che no, assolutamente non deve essere a 27, ma a 22 gradi.

Mestolo o pennello?: per far aderire bene il cioccolato allo stampo, Massari a Masterchef usa un mestolo. NO! Dice Knam, che sostiene che in questo modo non abbiamo modo di misurare lo spessore finale della sfera. Per questo lui usa il pennello.

Abbattitore o frigo?: una volta messo il cioccolato nello stampo, basta infilarli cinque minuti in abbattitore, spiega Massari alla Masterclass. La versione di Knam è in frigorifero tra i 12 e i 16 gradi. “Non va messo assolutamente in abbattitore”, perché c’è troppo sbalzo di temperatura e il cioccolato potrebbe prendere umidità.

La scienza del temperaggio

A risolvere la questione arriva Debora Massari, figlia d’arte e pasticciera anche lei, che posta un video di dieci minuti (dieci!) spiegando come si tempera il cioccolato. Ed è evidente che non ce n’eravamo accorti, ma il tema è diventato trending topic più della conferenza di Matteo Renzi in Arabia Saudita.

Insomma, Debora Massari decide di risolvere il problema come farebbe nostro padre quando ci racconta un fatto accaduto durante la sua giornata, e cioè partendo da Noè. Così, carta e penna alla mano, ci spiega la teoria del cioccolato, le molecole, la scomposizione eccetera eccetera. E mette fine alla questione. O almeno così crede, visto che poi qualcuno dei suoi follower, che non deve aver notato la strana coincidenza di un video sul temperaggio dopo un video del temperaggio dopo una prova a Masterchef sul temperaggio, le chiede ingenuamente: “ma sa che ho visto un video di Knam…?”.

 

 

Nutella nel mondo – tutte le creme spalmabili diventate oggetto di “culto” nazionale

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UNA RIFLESSIONE nella ricorrenza della Giornata della Memoria

XXVII  GENNAIO  A.D  ….. 

E’ chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce, anzi è un pesce e come pesce è difficile da bloccare perché lo protegge il mare”, così Lucio Dalla celebra, sostiene il pensiero critico e riflessivo nel suo “Com’è profondo il mare” del 1977.
Ed io, proprio da questi versi, nella ricorrenza della Giornata della Memoria vorrei muovere una riflessione sul razzismo e l’antisemitismo, sempre espressione di un disegno autoritario o, addirittura, totalitario contro il mare della libertà e della democrazia.

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Uffizi da mangiare – il nuovo format della Galleria d’arte di Firenze

Arte sul piatto e cucina da incorniciare – i capolavori della storia dell’arte diventano piatti da gustare.

Arte e cibo rappresentano un connubio perfetto e per questo la Galleria degli Uffizi si mette in gioco con un nuovo format video.

Uffizi da mangiare, ogni settimana su Facebook a partire dal 17 gennaio, vedrà come protagonisti non solo le opere d’arte ma anche chef e personaggi del mondo enogastronomico che daranno vita ad un vero e proprio spettacolo artistico. Saranno infatti realizzati piatti particolari che interpreteranno le famose opere e i dipinti delle collezioni degli Uffizi.

Il nostro intento è quello di creare un legame ancora più stretto con le opere del museo, inserendole in un contesto attuale e vitale – spiega il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt– “Il cibo dipinto e quello cucinato si incontrano così su un piano di verità che stimola l’attenzione dell’osservatore e porta alla ribalta i significati profondi e inaspettati nascosti nelle scene e nelle nature morte create dai pittori“.

In ogni puntata ci sarà un noto cuoco che sceglierà un’opera dalle collezioni e, ispirandosi agli ingredienti raffigurati nel dipinto, proporrà una sua ricetta, sviluppandola durante il video.

Tra gli artisti protagonisti ci saranno Fabio Picchi del Cibrèo di Firenze che si confronterà con il Ragazzo con pescedi Giacomo Ceruti; Dario Cecchini, macellaio e ristoratore di Panzano in Chianti, che “servirà” la sua versione della Dispensa con botte, selvaggina, carni e vasellame di Jacopo Chimenti detto L’Empoli; la chef stellata Valeria Piccini, del ristorante Da Caino a Montemerano (Grosseto) che proporrà una sua ricetta da una ‘Natura morta’ sempre dell’Empoli, e il suo collega, sempre stellato, Marco Stabile, de L’ora d’Aria a Firenze, che “sfiderà” i ‘Peperoni e uva’ di Giorgio De Chirico.

Tra le altre opere, fonte di ispirazioni culinarie, non mancherannoCaravaggio, Felice Casorati e Giovanna Garzoni.

 

 

 

Mulino Bianco – gli Abbracci vestono di azzurro per un’edizione dedicata agli infermieri

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L’Associazione Le Soste per Antica Corte Pallavicina, una eccellenza della nostra filiera enogastronomica

A Parma i fratelli Spigaroli
hanno fatto del culatello di Zibello il loro marchio.

La Corte Pallavicina ha una lunghissima storia di più di 500 anni. Fu un podere dove si allevavano gli animali, guardia di frontiera sotto Maria Luigia Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla (nonché moglie di Napoleone), utilizzata da contadini, pescatori e carrettieri che ne fecero loro dimora, finquando il Po crebbe talmente da spostarsi ed impadronirsene.

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“La Pizza è meglio della Camorra”: la storia di un trentenne che ha portato la pizza a Brescia

“PIZZA MADRE”*… *   DA FRATTAMAGGIORE A BRESCIA

Il segreto della pasta, i prodotti Dop e un successo imprevisto anche grazie alla “pizza con le orecchie”. La storia di Ciro, giovane trentenne del napoletano, che ha scelto di portare in Lombardia la pizza “Sono partito con 350 euro in tasca, ora i calciatori del Brescia vengono a cena da me”.

Frattamaggiore è un comune del Napoletano di cui si occupa più la cronaca giudiziaria che non quella enogastronomica. Trentamila abitanti, povertà diffusa e la Camorra come unica via per arrivare a fine mese. Nel 1990 è qui che nasce Ciro Di Maio. Mamma casalinga, papà che oscilla tra lavoretti senza futuro e le sirene della malavita, sorelle che si portano a casa il lavoro da calzolaie per pagare le bollette. Ciro cresce qui, senza immaginarsi un futuro diverso. Le sue prime esperienze nel lavoro sono a 14 anni, poi si iscrive all’Alberghiero, ma a 18 anni lascia gli studi e inizia a lavorare.
Il rischio che la Camorra lo inghiotta è sempre alto ed il padre Eugenio “Geggè” lo sa bene a causa del suo passato ma – con tutte le sue forze, con grande coraggio e rischio – è riuscito ad abbandonare quel mondo per fare crescere i suoi figli lontano dai soldi facili e le minacce, abbracciando la fede e l’estrema povertà.
Mio padre è cambiato completamente per salvare la sua famiglia. Ha rischiato la sua vita per noi – racconta Ciro – Ha scelto di farci vivere in povertà proprio per non farci tentare dalla ricchezza, l’esca della camorra per tanti ragazzi”.

Nel 2015 la svolta della sua vita. Trova per caso un lavoretto a Brescia da pizzaiolo per la catena “Rossopomodoro”, che ha aperto uno spazio a ridosso del multisala cittadino, a due minuti dal casello autostradale. È l’inizio di un’avventura che non immagina. La catena decide di lasciare la gestione in mano a sei soci, tra di loro c’è anche Ciro, che si era distinto tra tutti per il suo impegno. A poco a poco compera le quote degli altri, aiutato anche da un manager che di nome fa Eugenio, come il padre. E riesce poi a riassumere tutti i colleghi di lavoro che rischiavano di rimanere a casa.

È così che è iniziata l’avventura “Pizza Madre”, il suo locale a Brescia che oggi impiega una quindicina di persone ed è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menù alla carta di alta cucina. “Ci amano perché rappresentiamo la tradizione napoletana della buona cucina”, dice Ciro. In menù ha la pizza verace, ma anche il “battilocchio”, la pizza fatta da un impasto fritto nell’olio bollente e subito servito avvolto in carta paglia. “Utilizziamo ingredienti semplici, ma tutti freschi e selezionati. Anche per questo abbiamo ottenuto la fiducia di alcuni calciatori del Brescia Calcio, che mi chiedono dopo le partite o in certe occasioni speciali di cucinare per loro”.

Il passaparola è la miglior arma, tra le altre anche Eva Henger è stata da lui e per una sera si è messa a cucinare pizze, usando i presidi che Ciro dona a tutte le sue pizze. Solo per citarne alcuni: Olio Dop, Mozzarella di Bufala Campana dop, pomodorino del Piennolo, Ricotta di Bufala omogeneizzata e Porchetta di Ariccia Igp. Alla fine, però, l’elemento premiante è sempre la pasta.
Scegliamo ogni giorno il livello esatto di idratazione, in base all’umidità di giornata”, spiega. “Ne esce un impasto molto lievitato, morbido, idratato. Seguiamo la tradizione anche nelle forme. Odio le pizze rotonde e realizzate come fossero un programma di un computer. Le pizze devono avere le orecchie e se c’è più pomodoro da una parte è perché usiamo pomodori veri, non salsine che si spalmano omogeneamente. Siamo veraci, anche le nostre pizze devono esserlo”.

FONTE:   Ufficio Stampa PK Communication

*UN’AVVENTURA …..INIZIATA PER SFUGGIRE DAI RISCHI E DAI PERICOLI DELLA CAMORRA,
DIVENUTA UN IMPEGNO DI RISCATTO SOCIALE …E CHE, PER MOLTI GIOVANI,
GIA’ POTRA’ ASSUMERE GLI ASPETTI DI UNA SPERANZA O DI UNA LEGGENDA.

 

 

 

 

 

Gentilini i biscotti romani da 130 anni

 

fonte https://www.vitasumarte.com

I biscotti Gentilini sono i biscotti di Roma per antonomasia. Lo storico marchio che da centotrent’anni sforna prelibatezze e quando si passa sulla Tiburtina, vicino la loro azienda, l’odore di burro che inebria la strada è quello buono, quello dei biscotti della nonna di una volta.

Una storia fatta di dolci e biscotti che, da quasi un secolo e mezzo, appartiene sempre alla stessa famiglia. “Tutto ha inizio nel 1890 quando Pietro Gentilini, dopo aver lavorato come garzone tra Toscana ed Emilia Romagna e dopo un’importante esperienza in vari Paesi dell’America Latina, approda a Roma e apre il suo primo forno, situato in uno dei quartieri simbolo della città, l’Esquilino” dice Francesca Germanò, la responsabile marketing dell’azienda.

I classici Osvego, i Vittorio profumati al limone, le Margherite, i Brasil al cacao, i Novellini e le fette biscottate sono i prodotti di punta del marchio, quelli che hanno fatto la storia dei biscotti Gentilini, ma periodicamente compaiono anche nuovi prodotti assortite, come la crema spalmabile al latte e miele,

Per i biscotti storici seguiamo le nostre ricette antiche, patrimonio prezioso per la nostra azienda. Le nuove ricette sono frutto di un attento studio, sia del mercato, per riuscire a comprendere al meglio le esigenze dei consumatori, sia delle materie prime e delle tecniche di lavorazione. L’attenzione agli ingredienti ha ruolo fondamentale ed è per questo che selezioniamo soltanto le materie prime di più alta qualità. La nostra strategia rimarrà salda ai valori fino ad oggi condivisi, ossia diffondere e difendere la cultura della qualità in tutti i suoi aspetti. Questo significa una continua ricerca di miglioramento, la ricerca di prodotti gustosi, nutrienti e dai sapori autentici, proseguendo nell’utilizzo di ingredienti preziosi e unici”.

Unire la tradizione con l’innovazione funziona sempre, visto che oggi Biscotti Gentilini vanta un fatturato pari a trenta milioni di euro (le cifre sono del 2019) e settemila biscotti e fette biscottate sfornate ogni minuto. 
Un made in Italy da preservare.

News da “Le Soste” per lo Chef Ciccio Sultano,
ovvero….dalla Sicilia con Amore

LA CUCINA  E’ “AMORE E RIGORE ……… parola di CHEF ! 

Con imprevedibili restrizioni in tutto il mondo che costringono alla riprogrammazione dei soliti piani di viaggio, lo chef bistellato Ciccio Sultano ha trovato un modo per portare un assaggio della sua amata isola a casa vostra. 

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Le Soste – la guida enogastronomica
delle eccellenze italiane

Per alcune  “SOSTE tra AMICI e RISTORATORI”

__________ SVEVA MARCHETTI   

Cosa c’è dietro Le Soste, una tra le guide enogastronomiche più prestigiose di Italia? Innanzitutto Le Soste è un’associazione di ristoratori, ma soprattutto di amici, che fanno parte dell’eccellenza italiana. Il gruppo nacque un po’ per caso, quando nel 1982  alcuni ristoratori si incontrarono a cena nel ristorante di Gualtiero Marchesi, con l’idea di creare un sistema che permettesse un periodico scambio di idee ed iniziative sull’enogastronomia italiana. Si ispirarono alle associazioni francesi quali Traditions et Qualité e Relais Gourmands e, dopo, quasi dieci anni, il sogno si concretizzò nel 1994, anno nel quale diventò ufficialmente associazione.

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Mangiare gli insetti

Insetti commestibili

Potrebbero essere una variante ecologica al riscaldamento globale, con  benefici contro osteoporosi e contrazioni muscolari per omega3 e la ricercata Vitamina D. Anche l’Europa, nonostante i numerosi tabù sull’alimentazioni di insetti, sta definendo decreti per il mercato e le industrie alimentari europee risultano nel mondo le più affascinanti. Esiste già un Made in Italy di prodotti a base di insetti da esportazione.

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Sdijuno abruzzese, la storia del pasto tradizionale dei contadini

di Michela Becchi via gamberorosso.it

È stato recentemente definito un elisir di lunga vita dai ricercatori dell’Università di Teramo, ma lo sdijuno abruzzese esiste da sempre. Una sorta di aperitivo ante litteram, pasto di metà mattino a base dei prodotti semplici del territorio, quelli della tradizione contadina: un po’ di formaggio, una fetta di pane, qualche uova con le verdure. Sdijuno, perché in grado di lasciare il corpo a digiuno per diverse ore, sostenendo così i lavoratori nelle campagne, una merenda abbondante che da secoli rappresenta il pasto portante dell’intera giornata e che la scorsa estate è stata oggetto dello studio “Centenari”, un’indagine sulle abitudini alimentari della popolazione abruzzese tra i novanta e i cento anni.

Un rituale del passato che persiste ancora oggi fra le persone anziane, come ha spiegato Mauro Serafini, docente di alimentazione e nutrizione umana alla facoltà di Bioscienze dell’università di Teramo: “Lo sdijuno è una tradizione che rimane, il primo pasto abbondante della giornata”. Da consumare dopo una colazione leggera, attorno alle 11 del mattino, per garantire all’organismo “un periodo di digiuno di circa 14/16 ore”. Un’abitudine alimentare del passato che è perfettamente in linea con le più recenti ricerche scientifiche, “che hanno evidenziato l’importanza di concentrare i pasti della giornata, ma soprattutto di limitare l’apporto calorico la sera, quando il metabolismo rallenta”, ha aggiunto Serafini.

Si tratta quindi di un modello salutare, “in grado di spiegare, insieme a fattori ambientali, nutrizionali e genetici, la longevità abruzzese”. Sono infatti più di 150 i Comuni con un alto tasso di longevità, quasi tutti localizzati nelle aree interne contigue ai Parchi del Gran Sasso, della Majella e alla Marsica. Luoghi dove i ritmi di vita lenti e cadenzati non hanno ceduto il passo a quelli serrati di oggi, borghi fermi nel tempo dove gli anziani continuano a rispettare il rito dello sdijuno, concedendosi una ricca merenda di metà mattina, per concludere poi la giornata con una cena leggera.

Pane e olio

Ma cosa si mangia durante lo sdijuno? Pane onde (pane e olio), formaggio, salame ma anche pipidune e ove, i peperoni con le uova strapazzate cotti in padella, oppure pizza e foje, una pizzetta di granoturco cotta sotto il coppo, coperchio di ferro utilizzato per cuocere gli alimenti alla brace o direttamente nel camino, accompagnata da cicoria selvatica o casigne, ovvero il crespigno, pianta che cresce spontanea del territorio.

 

Frittata con i peperoni

Ma anche uova al sugo o frittate, come ha raccontato ai ricercatori Carina, nonna di 90 anni di Collecorvino, in provincia di Pescara: “Intorno alle 10,30/11 arrivava il piatto più importante del giorno, che consumavamo direttamente all’aria aperta, nei campi. Un pasto unico ipercalorico composto da pane, formaggio, prosciutto, uova al sugo, frittate coi peperoni, minestra, tagliatelle fatte in casa in brodo, vino. Ci bastava per il resto delle 24 ore”. A cena, pochi alimenti, “al massimo qualcosa di frugale poco prima del tramonto: un’insalata, qualche verdura. E poco dopo a letto”. I dolci? “Al bando. E continuo a onorare questo rito anche oggi, che passo le mie giornate a casa”.

 

 

 

McDonald’s Japan lancia i rice burgers il riso al posto del classico panino

McDonald’s Japan lancia nuovamente i rice burger, hamburger classici dove la differenza sta nella sostituire il classico panino con due “polpette” di riso. 

In Oriente si preferisce il riso al pane, e McDonald’s ha quindi deciso di modificare il proprio hamburger. Un tentativo già fatto  con un buon successo di pubblico, ed è per questo che la catena americana ha pensato ad un ritorno dei rice burger. La novità più attesa è decisamente il Double Cheeseburger , che nella versione al “riso” diventa Gohan Dabuchi, dove gohan significa riso e Dabuchi è il soprannome giapponese per il Double Cheeseburger.

I nuovi panini di riso saranno in vendita in edizione limitata, solo fino a metà novembre, nel menu serale,  a 3,70 dollari l’uno (390 JPY) e nel menu a 6,50 dollari americani (690 JPY).

 

    Meat Sounding – il via libera del Parlamento Europeo alla “carne vegetale”

    Come il termine carbonara non può stare vicino all’aggettivo vegana anche il termine carne non può stare vicino a vegetale. Invece a quanto pare possono essere accostati. Infatti il Parlamento Europeo ha bocciato gli emendamenti che chiedevano di vietare l’utilizzo di nomenclatura tipica della carne per riferirsi a prodotti vegetali.

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    Hostaria “Al Monumento”, tra tradizione e sapore

    IL MONUMENTO PER RENDERE ONORE AI “FINANZIERI 
    E IL RISTORANTE “DA GIULIO,
    PER GUSTARE LA  CUCINA  ROMANA !

    _______________________________Testo di MATTEO PLATANIA
    con al centro inserimenti polemici o quasi e note personali di Giuliano Marchetti

     

    IN ROMA, alle spalle del Monumento ai Caduti della Regia Guardia di Finanza, si trova il ristoranteDa Giulio al Monumento”.
    Il Ristorante sito in Largo XXI Aprile – quasi a sottolinearne con la “Storica  Data” della Fondazione di Roma la sua “Romanità” – ed esattamente  all’incrocio tra via De Rossi e viale XXI Aprile, fa da spartiacque a due note piazze capitoline: Piazza Bologna e Piazza Istria
    Il Monumento ai Caduti – alquanto imponente in travertino e bronzo alto circa 20 mt., sulla sua sommità è posizionata una statua della Dea Roma – è stato realizzato nel 1930 dallo scultore Amleto Cataldi, autore della Fontana dell’Anfora a Casina Valadier (Pincio – Villa Borghese) e di altre numerose statue; la sua ubicazione non è casuale: è stato infatti collocato dinnanzi il Comando Generale della Guardia di Finanza.

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    L’azienda trevigiana che insegna ai francesi come piantare le vigne

    Sika di Casier produce 400 mila pali per vigna all’anno, molti di questi finiscono in Francia tra la zona dello Champagne e Bordeaux. “Ci scelgono perché siamo capaci di lavorare il Corten, l’acciaio che somiglia al legno”

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    “I Sapori del Grano” – II^ Edizione il 19 e 20 settembre a Sammichele di Bari

    OGGI IN PUGLIA,  DAI “SAPORI DEL GRANO”
    ALLA  RICERCA MEDICO SCIENTIFICA… 

      CON  SALDE RADICI NELLA TRADIZIONE ED UN FORTE SLANCIO VERSO IL  FUTURO 

    Sabato 19 e domenica 20 settembre presso il Castello Caracciolo in Sammichele di Bari (BA), “L’Albero Verde della Vita” organizza “I Sapori del Grano – II° edizione”, una manifestazione d’interscambio culturale a carattere internazionale e diffusione nazionale, affrontando tematiche quali l’alimentazione, l’ambiente, l’economia, la dimensione sociale, nel variegato contesto passato e attuale che caratterizza il mondo dei cereali.
    La manifestazione è stata accreditata negli eventi del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso da ASVIS, agenda 2030 dell’ONU.

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    Bistrot 54 – la cucina di mare
    nel cuore del quartiere Coppedè

    Un bancone con cucina a vista, confortevole e raccolto all’interno ma con una spazio maggiore all’esterno coperto da un gradevole pergolato. Questo è il piccolo bistrot di pesce che si torva nel cuore quartiere Coppedè in via Adige 30-e.

    I tavoli non sono molti ma proprio per questo l’ambiente risulta familiare e perfetto per una cena tranquilla.

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