Dopo la Grande Guerra si apriva per il giovane Regno d’Italia e per le grandi potenze mondiali un periodo di grande trasformazione e innovazione, fortemente condizionato dalle conseguenze della Conferenza di pace di Parigi. Con l’Unificazione territoriale l’Italia mirava all’Unificazione spirituale, secondo il motto risorgimentale “fatta l’Italia, ora bisogna fare gli Italiani”, compito che la Storia sembrava aver affidato al Regime Fascista. Negli Anni Trenta questo obiettivo sembrava raggiunto. Definiti dagli storici gli annidel consenso.
Il segreto della pasta, i prodotti Dop e un successo imprevisto anche grazie alla “pizza con le orecchie”. La storia di Ciro, giovane trentenne del napoletano, che ha scelto di portare in Lombardia la pizza “Sono partito con 350 euro in tasca, ora i calciatori del Brescia vengono a cena da me”.
Frattamaggiore è un comune del Napoletano di cui si occupa più la cronaca giudiziaria che non quella enogastronomica. Trentamila abitanti, povertà diffusa e la Camorra come unica via per arrivare a fine mese. Nel 1990 è qui che nasce Ciro Di Maio. Mamma casalinga, papà che oscilla tra lavoretti senza futuro e le sirene della malavita, sorelle che si portano a casa il lavoro da calzolaie per pagare le bollette. Ciro cresce qui, senza immaginarsi un futuro diverso. Le sue prime esperienze nel lavoro sono a 14 anni, poi si iscrive all’Alberghiero, ma a 18 anni lascia gli studi e inizia a lavorare.
Il rischio che la Camorra lo inghiotta è sempre alto ed il padre Eugenio “Geggè” lo sa bene a causa del suo passato ma – con tutte le sue forze, con grande coraggio e rischio – è riuscito ad abbandonare quel mondo per fare crescere i suoi figli lontano dai soldi facili e le minacce, abbracciando la fede e l’estrema povertà.
“Mio padre è cambiato completamente per salvare la sua famiglia. Ha rischiato la sua vita per noi – racconta Ciro – Ha scelto di farci vivere in povertà proprio per non farci tentare dalla ricchezza, l’esca della camorra per tanti ragazzi”.
Nel 2015 la svolta della sua vita. Trova per caso un lavoretto a Brescia da pizzaiolo per la catena “Rossopomodoro”, che ha aperto uno spazio a ridosso del multisala cittadino, a due minuti dal casello autostradale. È l’inizio di un’avventura che non immagina. La catena decide di lasciare la gestione in mano a sei soci, tra di loro c’è anche Ciro, che si era distinto tra tutti per il suo impegno. A poco a poco compera le quote degli altri, aiutato anche da un manager che di nome fa Eugenio, come il padre. E riesce poi a riassumere tutti i colleghi di lavoro che rischiavano di rimanere a casa.
È così che è iniziata l’avventura “Pizza Madre”, il suo locale a Brescia che oggi impiega una quindicina di persone ed è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menù alla carta di alta cucina. “Ci amano perché rappresentiamo la tradizione napoletana della buona cucina”, dice Ciro. In menù ha la pizza verace, ma anche il “battilocchio”, la pizza fatta da un impasto fritto nell’olio bollente e subito servito avvolto in carta paglia. “Utilizziamo ingredienti semplici, ma tutti freschi e selezionati. Anche per questo abbiamo ottenuto la fiducia di alcuni calciatori del Brescia Calcio, che mi chiedono dopo le partite o in certe occasioni speciali di cucinare per loro”.
Il passaparola è la miglior arma, tra le altre anche Eva Henger è stata da lui e per una sera si è messa a cucinare pizze, usando i presidi che Ciro dona a tutte le sue pizze. Solo per citarne alcuni: Olio Dop, Mozzarella di Bufala Campana dop, pomodorino del Piennolo, Ricotta di Bufala omogeneizzata e Porchetta di Ariccia Igp. Alla fine, però, l’elemento premiante è sempre la pasta.
“Scegliamo ogni giorno il livello esatto di idratazione, in base all’umidità di giornata”, spiega. “Ne esce un impasto molto lievitato, morbido, idratato. Seguiamo la tradizione anche nelle forme. Odio le pizze rotonde e realizzate come fossero un programma di un computer. Le pizze devono avere le orecchie e se c’è più pomodoro da una parte è perché usiamo pomodori veri, non salsine che si spalmano omogeneamente. Siamo veraci, anche le nostre pizze devono esserlo”.
FONTE: Ufficio Stampa PK Communication
*UN’AVVENTURA …..INIZIATA PER SFUGGIRE DAI RISCHI E DAI PERICOLI DELLA CAMORRA,
DIVENUTA UN IMPEGNO DI RISCATTO SOCIALE …E CHE, PER MOLTI GIOVANI,
GIA’ POTRA’ ASSUMERE GLI ASPETTI DI UNA SPERANZA O DI UNA LEGGENDA.
I biscotti Gentilini sono i biscotti di Roma per antonomasia. Lo storico marchio che da centotrent’anni sforna prelibatezze e quando si passa sulla Tiburtina, vicino la loro azienda, l’odore di burro che inebria la strada è quello buono, quello dei biscotti della nonna di una volta.
Una storia fatta di dolci e biscotti che, da quasi un secolo e mezzo, appartiene sempre alla stessa famiglia. “Tutto ha inizio nel 1890 quando Pietro Gentilini, dopo aver lavorato come garzone tra Toscana ed Emilia Romagna e dopo un’importante esperienza in vari Paesi dell’America Latina, approda a Roma e apre il suo primo forno, situato in uno dei quartieri simbolo della città, l’Esquilino” dice Francesca Germanò, la responsabile marketing dell’azienda.
“Da bottega con forno” continua Francesca “oggi siamo un’affermata azienda nel mercato dei biscotti e delle fette biscottate. È guidata da tre generazioni dalla famiglia Gentilini con la stessa passione, gli stessi valori e una missione: offrire soltanto prodotti di eccellenza. Sono proprio questi valori, la manualità, la conoscenza, l’esperienza, il tempo e la ricerca che ci hanno permesso di conciliare una domanda sempre più ampia e una dimensione comunque familiare e artigianale. Curiamo con grande attenzione la realizzazione dei nostri prodotti attraverso l’utilizzo di ricette antiche, la selezione di materie prime eccellenti, il rispetto dei tempi di lavorazione, tutto garantito da minuziosi controlli lungo l’intera filiera produttiva. È questa l’arte di difendere la virtuosa coesistenza tra processi industriali all’avanguardia e l’artigianalità”.
L’azienda, con il trascorrere degli anni passa alle nuove generazioni, da Pietro al figlio Ettore, il più piccolo di otto fratelli, e cresce nonostante le difficoltà della guerra, trasferendosi, nel 1958, in uno stabilimento più grande, che ancora oggi è lo stesso sulla via Tiburtina.
I classici Osvego, i Vittorio profumati al limone, le Margherite, i Brasil al cacao, i Novellini e le fette biscottate sono i prodotti di punta del marchio, quelli che hanno fatto la storia dei biscotti Gentilini, ma periodicamente compaiono anche nuovi prodotti assortite, come la crema spalmabile al latte e miele,
“Per i biscotti storici seguiamo le nostre ricette antiche, patrimonio prezioso per la nostra azienda. Le nuove ricette sono frutto di un attento studio, sia del mercato, per riuscire a comprendere al meglio le esigenze dei consumatori, sia delle materie prime e delle tecniche di lavorazione. L’attenzione agli ingredienti ha ruolo fondamentale ed è per questo che selezioniamo soltanto le materie prime di più alta qualità. La nostra strategia rimarrà salda ai valori fino ad oggi condivisi, ossia diffondere e difendere la cultura della qualità in tutti i suoi aspetti. Questo significa una continua ricerca di miglioramento, la ricerca di prodotti gustosi, nutrienti e dai sapori autentici, proseguendo nell’utilizzo di ingredienti preziosi e unici”.
Unire la tradizione con l’innovazione funziona sempre, visto che oggi Biscotti Gentilini vanta un fatturato pari a trenta milioni di euro (le cifre sono del 2019) e settemila biscotti e fette biscottate sfornate ogni minuto. Un made in Italy da preservare.
Con imprevedibili restrizioni in tutto il mondo che costringono alla riprogrammazione dei soliti piani di viaggio, lo chef bistellato Ciccio Sultano ha trovato un modo per portare un assaggio della sua amata isola a casa vostra.
Cosa c’è dietro Le Soste, una tra le guide enogastronomiche più prestigiose di Italia? Innanzitutto Le Soste è un’associazione di ristoratori, ma soprattutto di amici, che fanno parte dell’eccellenza italiana. Il gruppo nacque un po’ per caso, quando nel 1982 alcuni ristoratori si incontrarono a cena nel ristorante di Gualtiero Marchesi, con l’idea di creare un sistema che permettesse un periodico scambio di idee ed iniziative sull’enogastronomia italiana. Si ispirarono alle associazioni francesi quali Traditions et Qualité e Relais Gourmands e, dopo, quasi dieci anni, il sogno si concretizzò nel 1994, anno nel quale diventò ufficialmente associazione.
Una giornata alla LIBRERIA HORAFELIX dedicata a “STORIA E MILITARIA” per appassionati e collezionisti di oggetti d’Epoca Medaglie, Monete, Soldatini, Cartoline, Stampe, Libri, Riviste d’Epoca.
IL VITTORIANO CELEBRA L’UNITA’ D’ITALIA
E LA LIBERTA’ DEGLI ITALIANI
Il Secolo si è ormai inoltrato, è tempo di prenderne Atto. Il Primo Ventennio del Terzo Millennio volge alla fine. L’anno che verrà rinnovellerà la Missione Capitale della Città Eterna e Ci proietterà verso il Centenario del Milite Ignoto. La Storia ha scelto, come guida suprema il Sommo Poeta Dante Alighieri, che Ci insegnerà, ancora una volta, il Sacrificio per l’Unità e la Libertà. Il senso del Dovere sia a fondamento della Sacra Unione, che sta all’origine di quel desiderio d’agire, che fu costitutivo e caratterizzò il Nostro Risorgimento. Questo processo Unitario e Liberatorio è inciso nella pietra e nel bronzo del Vittoriano e trova il suo compimento sull’Altare della Patria.
Rakovski con i suoi 33 nomi era Consulente dello Zar Nicola II, di Kerenskij il capo
dei menscevichi, poi amico di Lenin, intimo di Trotsky, e di Stalin, che lo farà fuori
Raffaele Panico
Il preludio. Negli anni del fuoco di paglia oggi estinto nell’oblio del rapporto Mitrokhin, verso il finire degli anni Novanta e l’inizio degli anni Dieci, in una conversazione tra giornalisti in salone di un bar, a Roma, in via del Corso, alcune note anch’esse dimenticate sono interessati rileggerle, a vent’anni dalla conversazione tra thè e biscotti, e ad oltre 100 dalla fiamma della rivoluzione d’Ottobre. Nulla hanno a che fare con le 6 casse del rapporto Mitrokhin, che erano una rilettura dell’Intelligence inglese relativa alla documentazione scritta a mano e portata, in diverse occasioni dall’ex agente appunto, Mitrokhin, che trascriveva su voluminosi quaderni i suoi appunti ispirati alla lettura dei documenti sovietici. Dalla Russia li portava nei paesi Baltici e quindi a Londra.
Potrebbero essere una variante ecologica al riscaldamento globale, con benefici contro osteoporosi e contrazioni muscolari per omega3 e la ricercata Vitamina D. Anche l’Europa, nonostante i numerosi tabù sull’alimentazioni di insetti, sta definendo decreti per il mercato e le industrie alimentari europee risultano nel mondo le più affascinanti. Esiste già un Made in Italy di prodotti a base di insetti da esportazione.
Il lockdown e la pandemia hanno messo in evidenza le debolezze dei comparti moda e lusso. Per affrontare le continue e crescenti incertezze del mercato, le aziende hanno capito che non basta più semplicemente diversificare, sia geograficamente che per segmenti, ma è necessario dimostrare una certa solidità finanziaria diversificando i finanziamenti. È così che abbiamo visto moltiplicarsi le operazioni finanziarie durante la pandemia.
PERCORSO FORMATIVO INTERAMENTE GRATUITO PER GLIASSOCIATI FIAVET LAZIO ISCRITTI ALFONDO FORTE
“Siamo orgogliosi di poter annunciare che l’Associazione, dopo un lungo periodo di lavoro, ha dato il via al primo corso di Formazione per Intermediario Assicurativo a titolo accessorio, che apre le porte a nuove opportunità lavorative nell’ambito del settore dell’intermediazione”. E’ quanto ha comunicato il Presidente di Fiavet Lazio, Ernesto Mazzi, nell’annunciare, non senza una nota di soddisfazione, questa importante iniziativa che offre la possibilità agli agenti di viaggio, soprattutto in questo sfortunatissimo periodo, di trovare nuovi sbocchi lavorativi.
Piattaforma russa: il portale digitale per l’assistenza e lo sviluppo internazionale promosso con dati e fonti pubbliche
Raffaele Panico
Il 23 novembre l’Agenzia Federale Rossotrudnichestvo ha presentato la prima piattaforma russa dedicata agli aiuti umanitari – “Gumanitarnaja Karta” (“Mappa di aiuti umanitari”) – che consoliderà i dati provenienti da fonti pubbliche sull’assistenza umanitaria fornita dalla Federazione Russa e sui progetti volti alla promozione dello sviluppo internazionale.
In occasione del 150° Anniversario della Breccia di Porta Pia
la Casa Editrice Le Frecce ha pubblicato un libro
dove sono proposti una serie di Discorsi d’epoca scritti dagli artefici del Risorgimento Italiano
che parteciparono attivamente alla Presa di Roma.
Presentazione del Libro
ROMA O MORTE DISCORSI DEGLI EROI RISORGIMENTALI G. Mameli, C. Pisacane, G. Garibaldi, G. Mazzini, R. Cadorna
Nonna Papera è un’icona longeva, che da più di qualche decennio, ormai, appartiene al mondo dell’infanzia. Certo i grandi, poi, quando crescono tendono a portarsi dietro i loro miti infantili e proiettarli, talvolta in modo ironico, nella vita reale. Quante volte ci è capitato di dire: “sono più sfortunato di Paperino”, oppure “non sono mica Paperon de’ Paperoni!”, mettendo tristemente mano al portafogli. Anche Nonna Papera è un modello al quale ci rapportiamo spesso: “Cucini meglio di Nonna Papera”, se ve lo dicono vuol dire che ci sapete veramente fare. Ma chi è questa signora tanto amata non solo dagli assidui lettori di Topolino?
LA PAPERA DIETRO AL MITO
Difficile che non la conosciate, perché lei è la nonna col becco più famosa d’Italia. Vive in una fattoria a Quack Town, fuori dalla nota città di Paperopoli, insieme al pronipote Ciccio. Il suo è un nome d’arte, in realtà si chiama Elvira Coot, figlia di Clinton Coot, che fondò le Giovani Marmotte e nipote dell’impavido Cornelius, che fondò Paperopoli a seguito della conquista di un fortino inglese.
Ha sposato Humperdink Duck, dal quale ha avuto tre paperini: Eider, Dafne e Quackmore, rispettivamente genitori a loro volta di Paperoga e Abner “Chiarafonte” Duck, Gastone, Paperino e Della (la mamma di Qui, Quo e Qua). In inglese il suo cognome significa folaga, che è un uccello dal manto nero, ma è sempre stata rappresentata come un’anatra bianca: capello raccolto in un morbido chignon e occhialletto a mezzaluna.
Il disegno fu creato da Al Taliaferro, che s’ispirò alla suocera.
Elvira fece la sua prima apparizione negli anni ’40 sui quotidiani statunitensi, in una strip di Donald Duck intitolata “Arriva Nonna Papera!”.
Lei rappresenta decisamente il punto d’unione dell’intera famiglia, col suo carattere tenero e affettuoso, ma anche molto risolutivo: è il riferimento di tutti. Ottima cuoca e papera di campagna, sforna manicaretti e si occupa di guidare con saggezza chi le sta intorno verso la propria crescita interiore, proprio come farebbe una nonna autentica.
In Italia, chi è cresciuto a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, ha imparato a cucinare con il Dolce Forno e Il Manuale di Nonna Papera. Oggi li definiscono giochi vintage, ma hanno tirato su intere generazioni, che ancora ne portano nel cuore il nostalgico ricordo.
Pubblicato nel 1970 da Mondadori questo libro per bambini è una raccolta di ricette molto semplici, giuste per chi è alle primissime armi. Ognuna di esse è ispirata a personaggi storici o mitologici: La frittata di Paride, La torta Monna Lisa, Spinaci alla Napoleone. Se adesso siamo abituatissimi a consultare manuali di cucina con fotografie mozzafiato, sappiate che il manuale è totalmente illustrato, com’è giusto che sia.
NONNA PAPERA, SABRINE D’AUBERGINE E LA RISTAMPA DEL MITICO MANUALE
Questa è proprio una di quelle storie che vanno raccontate, non solo, probabilmente oggi è diventata anche imprescindibile quando si parla di Nonna Papera.
Sabrine è una blogger e, ormai quasi del tutto, un’autrice di libri di cucina. Lei ha fondato Fragole a merenda un bel po’ di anni fa, ha pubblicato ricette e raccontato le vicende della sua piccola cucina con grazia e charme, fino a diventare uno dei nomi di punta di Guido Tommasi Editore.
Per festeggiare i 40 anni del Manuale di Nonna Papera, nel 2010 lanciò una simpatica raccolta di ricette tratte dal libro. Questo per ricordare insieme ad altri affezionati lettori un testo sul quale molti, come lei, impararono a cimentarsi nelle loro prime ricette.
La raccolta fu un successo, creò una fortissima connessione fra gli utenti e chi non aveva il libro cominciò a cercarlo fra annunci di eBay e bancarelle.
Nel frattempo Sabrine, fra un commento ai post e l’altro, entrò in contatto con una giornalista americana che le raccontò qualcosa di molto interessante: in America Nonna Papera non ha mai cucinato un granché, oltretutto è sempre stata anche un personaggio abbastanza marginale… da qui l’autrice ebbe un’illuminazione: e se l’identità segreta della nonna-cuoca provetta fosse italiana? Così iniziò la sua ricerca.Dopo anni trascorsi a pensare che il mito di Nonna Papera provenisse dall’America, Sabrine si rese conto che la verità era tutt’altra.
Non fu facile reperire qualcuno che avesse lavorato al libro: Mario Gentilini, direttore di Topolino, Elisa Penna, una degli autori, e l’illustratore Giovan Battista Carpi erano già scomparsi. Mondadori e Disney avevano preso strade diverse e la ricerca si fece per un attimo parecchio sconfortante. Fu il fato, anzi, fu proprio Google a condurre questa vicenda verso un lieto fine. Un giorno a Sabrine arrivò la mail di Luisa Ribolzi, che raccontava come avesse trovato il suo blog e avesse letto la storia della sua iniziativa fin dal primo post. Le due s’incontrarono e venne fuori che la Bolzi lavorò al manuale qualche tempo dopo essersi laureata, prima di dare abbrivio a tutt’altra carriera. Di questa faccenda si occuparono anche i giornali, mentre i prezzi delle prime edizioni diventavano sempre più alti. Non rimaneva che fare una ristampa! A questo pensò l’editore Giunti, che all’epoca aveva già acquisito Disney Publishing, ovvero la casa editrice che fino ad allora aveva pubblicato tutti i libri Disney. La pubblicazione fu così teneramente fedele all’originale, da accontentare anche chi aveva trascorso gli ultimi anni a frugare fra i libri vintage. A pagina 9, la presentazione è questa:
“Cari amici, attenti a…! Attenti a come sfogliate questo manuale. È altamente esplosivo. È il Manuale infatti in cui sono raccolti, svelati e documentati tutti i segreti di Nonna Papera. Da questo momento le sue celebri torte (caramelle, panini imbottiti, aranciate e falsi minestroni) non saranno più un mistero per voi! A voi il mestolo amici: leggete e cucinate!“
NONNA PAPERA: MODELLO FEMMINILE DI FORZA E SAGGEZZA
Nonna Papera è un un personaggio d’immensa dolcezza. Un mix perfetto di materna accoglienza, premura, forza e indipendenza. Non ha paura di faticare e accudire le generazioni future. Molte donne alle quali da bambine è stato regalato il suo mitico Manuale sono cresciute cimentandosi con le sue ricette e, oggi, la sua tenera influenza continua ad imprimersi grazie a quei racconti senza tempo, che hanno conquistato praticamente tutti, una generazione dopo l’altra.
Dai Manifesti Politici e delle Avanguardie dell’800 e del ‘900
alla leggera frivola inconsistenza dei Twitter, di Instagram e di Fb
Raffaele Panico
Tra gli scrittori del Mondo antico, Virgilio ed Ovidio, trasmettono il senso del proprio tempo storico che giunge al fruitore della coscienza storica, attraverso secoli, grazie alla contemporaneità filosofica del pensiero virtuoso vitalistico verificabile
Esiste un rapporto della coscienza per la conoscenza storica intimamente e profondamente connesso ad altri campi della comprensione delle cose inerenti all’indagine? Meglio ancora: è il mestiere dello storico una condizione mentale esercitata criticamente sulle fonti che appartengono tanto al passato quanto al presente? Condizione che si sviluppa e dipana sull’accertamento di fatti, su una grande quantità di documenti, anche con provenienze di luoghi ed età diverse. Fatti osservati, analizzati, sistematizzati e come dire schedati, catalogati, archiviati, digitalizzati. Ovviamente discorriamo di storia, della grande storia profonda e di lunga durata e non della storiografia. Approccio importante che affianca a ben vedere altri mestieri quali il magistrato, il giudice, l’opera dell’investigazione tanto giudiziaria di forze di polizia o della ricerca scientifica.
I giuliani, i dalmati e gli italiani del Regno arrivano in terra pontina. Uno studio sui documenti della Prefettura di Latina anni 1936-54: dalla proclamazione dell’Impero Italiano al ritorno di Triesteall’Italia
Raffaele Panico
Presso il Fondo Prefettura dell’Archivio di Stato di Latina[1] sono conservati documenti che consentono di esaminare l’opera del Governo italiano nei confronti dei profughi giuliano-dalmati in arrivo.
Le note sono particolareggiate per ciò che concerne l’assistenza ai connazionali rimasti fuori dai nuovi confini imposti dal Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947.
La documentazione evidenzia un’attenzione “di basso profilo” da parte della gerarchia ecclesiastica nei confronti della cerimonia di accoglienza ai profughi, sia per quel che riguarda la Diocesi di Gaeta [2], sia per ciò che concerne la Curia di Velletri e la Diocesi di Terracina [3]. Nel dopoguerra la stampa locale del Lazio prefigurò la fondazione di una sesta città (battezzata Giuliana) per dare sistemazione ai profughi giuliani e dalmati.
È stato recentemente definito un elisir di lunga vita dai ricercatori dell’Università di Teramo, ma lo sdijuno abruzzese esiste da sempre. Una sorta di aperitivo ante litteram, pasto di metà mattino a base dei prodotti semplici del territorio, quelli della tradizione contadina: un po’ di formaggio, una fetta di pane, qualche uova con le verdure. Sdijuno, perché in grado di lasciare il corpo a digiuno per diverse ore, sostenendo così i lavoratori nelle campagne, una merenda abbondante che da secoli rappresenta il pasto portante dell’intera giornata e che la scorsa estate è stata oggetto dello studio “Centenari”, un’indagine sulle abitudini alimentari della popolazione abruzzese tra i novanta e i cento anni.
Un rituale del passato che persiste ancora oggi fra le persone anziane, come ha spiegato MauroSerafini, docente di alimentazione e nutrizione umana alla facoltà di Bioscienze dell’università di Teramo: “Lo sdijuno è una tradizione che rimane, il primo pasto abbondante della giornata”. Da consumare dopo una colazione leggera, attorno alle 11 del mattino, per garantire all’organismo “un periodo di digiuno di circa 14/16 ore”. Un’abitudine alimentare del passato che è perfettamente in linea con le più recenti ricerche scientifiche, “che hanno evidenziato l’importanza di concentrare i pasti della giornata, ma soprattutto di limitare l’apporto calorico la sera, quando il metabolismo rallenta”, ha aggiunto Serafini.
Si tratta quindi di un modello salutare, “in grado di spiegare, insieme a fattori ambientali, nutrizionali e genetici, la longevità abruzzese”. Sono infatti più di 150 i Comuni con un alto tasso di longevità, quasi tutti localizzati nelle aree interne contigue ai Parchi del Gran Sasso, della Majella e alla Marsica. Luoghi dove i ritmi di vita lenti e cadenzati non hanno ceduto il passo a quelli serrati di oggi, borghi fermi nel tempo dove gli anziani continuano a rispettare il rito dello sdijuno, concedendosi una ricca merenda di metà mattina, per concludere poi la giornata con una cena leggera.
Ma cosa si mangia durante lo sdijuno? Paneonde (pane e olio), formaggio, salame ma anche pipidune e ove, i peperoni con le uova strapazzate cotti in padella, oppurepizzaefoje, una pizzetta di granoturco cotta sotto il coppo, coperchio di ferro utilizzato per cuocere gli alimenti alla brace o direttamente nel camino, accompagnata da cicoria selvatica o casigne, ovvero il crespigno, pianta che cresce spontanea del territorio.
Ma anche uova al sugo o frittate, come ha raccontato ai ricercatori Carina, nonna di 90 anni di Collecorvino, in provincia di Pescara: “Intorno alle 10,30/11 arrivava il piatto più importante del giorno, che consumavamo direttamente all’aria aperta, nei campi. Un pasto unico ipercalorico composto da pane, formaggio, prosciutto, uova al sugo, frittate coi peperoni, minestra, tagliatelle fatte in casa in brodo, vino. Ci bastava per il resto delle 24 ore”. A cena, pochi alimenti, “al massimo qualcosa di frugale poco prima del tramonto: un’insalata, qualche verdura. E poco dopo a letto”. I dolci? “Al bando. E continuo a onorare questo rito anche oggi, che passo le mie giornate a casa”.