Dal 1986 vivo a Forlì e da 37 anni compro il “pane quotidiano”, invocato nella preghiera filiale al Padre, dallo stesso fornaio, nonostante abbia cambiato più volte la residenza in zone distanti da questo stesso esercizio commerciale. Ne è sempre valsa e ne vale la pena, il pane è eccellente, come tutti gli altri prodotti dalle mani di questa famiglia di panettieri: ora, i titolari iniziali, una solida coppia d’amore e tanto lavoro, si godono la meritata pensione, tutto è passato nelle mani dei figli che, giovani, hanno rinnovato locali e laboratorio, ma continuano a lavorare a mano gli impasti perché, come sempre ha sostenuto il loro “vecchio”, il pane buono è un prodotto artigianale di abilità manuale. Vecchio cliente, quasi di casa, mi basta solo telefonare “arrivo” senza aggiungere altro e. già al mio ingresso, mi vedo porgere la sportina consueta del mio mezzo toscano insipido con qualche zoccoletto e michetta.
Sabato scorso, libero da impegni, sono andato senza preavviso, trovandomi costretto, cosa incredibile, mai prima d’ora, a fare la fila fuori, ultimo al settimo posto, rassegnato all’attesa evangelica “beati gli ultimi perché saranno i primi”. Chi prima di me ha subito soddisfatto la curiosità perché quella fila, mai prima a mia memoria di cliente: “Tre lavoranti a casa a spalare fango, perdipiù persa parte della farina nel deposito alluvionato, a pochi isolati da qui, per questo meno pane in vendita e non è facile accontentare tutti”; “Dentro, solo in due a servire, s’entra un po’ alla volta ed ecco la fila.”; “Bel casino questa alluvione, in coda per il pane, come mia nonna al tempo dell’ultima guerra coi bollini della tessera!” Così, rassegnato ed egoisticamente contrariato, lo confesso, a conquistare il mio pane quotidiano, mai, prima, tanto desiderato, nell’attesa di quella fila, da ultimo a primo, mi sono lasciato a tanti pensieri.
Certo, la scarsità di pane ha mosso le rivoluzioni, nessuna esclusa, checché ne dicesse la regina Maria Antonietta con la sua proposta alternativa di brioche per sfamare e sopire l’ira dei rivoltosi parigini. Senza pane, dunque con la fame, magari in aggiunta a qualche altra pena, perché, si sa, a volte le disgrazie viaggiano a coppie, si è spesso costretti ad arrendersi, come nei versi del patriota Arnaldo Fusinato nella sua Ultima ora di Venezia, a ricordo della resa nell’agosto 1849 della Repubblica di San Marco, guidata da Daniele Manin: “…il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca…” A pancia vuota, neppure un tozzo di pane, magari sempre più caro di prezzo, s’infiamma la parte peggiore dell’animo umano e, allora, la fame fa l’unione, muove folle incazzate a saccheggiare forni, come quello delle grucce nel capitolo XII de I Promessi Sposi, oppure soffia sul primo fuoco, sabato scorso, per fortuna, tenuto d’occhio dal buon Dio, di sette forlivesi alluvionati in fila. Sicuramente, le file per il pane sono state e sono tuttora ricorrenti: dalle file a Roma dell’ultima guerra per una razione di pane, farina e segatura, come nel racconto dello splendido Pane Nero di Miriam Mafai, all’interminabile coda odierna davanti all’ingresso dell’associazione benefica milanese Il Pane Quotidiano, poco distante dall’Università Bocconi, tempio di tanta cultura economica della ricca impresa.
Certo, molti diranno che esagero, in fondo la mia fila di sabato scorso era piccola cosa, abbastanza sopportabile. È vero, tuttavia, pur se su scala minore, che quella mia fila aveva tutte le premesse di avvenimenti, insofferenze, contrarietà, mossi da ben più gravi, scarse disponibilità di pane per la vita quotidiana. Comunque, alla fine, è in me prevalsa la convinzione quanto, sempre più, debba apprezzarsi il valore del minimo essenziale, dunque un pezzo di pane, anche condiviso con altri, come taluno spezzò con i suoi discepoli o moltiplicò per una folla affamata, certo del miracolo della finalità del bene. Rassicuro quanti ironizzeranno su questo mio volo di fede, inevitabile ad una certa età, resto un cristiano di scarsa professione, ma sicuramente credente, ancora di più per la consapevolezza delle mie debolezze, della mia fragilità: la fede aiuta a superare la miseria propria e del mondo.