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Salute, politiche sanitarie … e non solo:
il bisturi nella piaga

La salute in Italia, le politiche sanitarie e le conseguenze dei flussi migratori sulla nostra condizione demografica”

A seguito di un articolo già pubblicato su questo web, riguardante un incontro – conferenza svoltosi sabato 14 gennaio, presso la Libreria Raido in Roma,  con le EDIZIONI di Ar, rappresentate per l’occasione da SILVIA VALERIO, MASSIMO PACILIO e CRISTINA COCCIA, nonché dalla stessa presenza – in sala, tra il pubblico – dell’Editore, viene ora qui di seguito riportato integralmente 

l’ intervento di Cristina Coccia *

In questo particolare corso degli eventi, è fondamentale porre l’attenzione sulle questioni che riguardano la conservazione umana ed etnica dell’Italia.

Attualmente la popolazione italiana complessiva ammonta a 60.665.551 persone, la componente straniera è di 5.054.000 unità, ovvero l’8,3% della popolazione complessiva e presenta, come tutti ben sappiamo, un trend positivo a causa degli sbarchi avvenuti negli ultimi 4 anni. Nel 2015 c’è stata una perdita di 179 mila residenti italiani emigrati all’estero in cerca di lavoro, le morti sono aumentate di 54 mila rispetto all’anno precedente e le nascite sono state 15 mila in meno (in totale 488 mila circa). Intanto, sempre nel 2015, sono arrivati 153 mila profughi, che nel 2016 hanno raggiunto le 181.000 unità (il 18,3% in più dell’anno precedente). In Europa, l’anno scorso, sono entrati 361.678 stranieri. I paesi dai quali provengono sono principalmente la Siria (23%), l’Afghanistan (12%) e la Nigeria (10%). Il numero di siriani e afghani è crollato, però, nel 2016, dal momento che, con la chiusura della rotta balcanica, i migranti provenienti da questi due paesi arrivavano quasi esclusivamente dalla Grecia. Sono quindi aumentati i nigeriani e, con essi, gli stranieri provenienti da Eritrea, Guinea, Gambia e Costa d’Avorio. Osservando i dati, si sa che essi sono per il 71% uomini, per il 13% donne e per il 16% minori.

I primi stranieri sono arrivati con il sistema delle adozioni internazionali che hanno visto una crescita a partire dagli anni ’80. Nel 2010 in Italia sono entrati 4130 minori stranieri, a fronte dei 1797 del 2001. Si dovrebbero, invece, incrementare le adozioni nazionali evitando di sostenere il cosiddetto diritto delle donne all’aborto, quando si tratta di figli sani, a causa di situazioni familiari o economiche sfavorevoli. In una Nazione in cui il decremento delle nascite si aggrava di anno in anno, favorire anche gli aborti di bambini sani è quantomeno criminale. Altro discorso è quello degli aborti di feti con malformazioni congenite o tare ereditarie che, alla loro nascita, rappresenterebbero un peso per il sistema sanitario nazionale.

 Oltre alle adozioni, che determinano un lento, ma costante, apporto di stranieri nella nostra  popolazione, si sono verificati, come tutti noi ben sappiamo, arrivi in massa di popolazioni  africane sulle nostre coste. Si tratta di stranieri che spesso, arrivati in Italia, hanno iniziato a  lavorare in regime di vera e propria schiavitù e in maniera totalmente irregolare, a mendicare  dinanzi agli esercizi commerciali, a delinquere e sicuramente ad arricchire italiani senza scrupoli che hanno pensato di trarre profitto, in modo spesso illegale, direzionando le proprie energie verso il business dell’accoglienza.

Inoltre si può valutare anche il peso di questi stranieri sui costi della salute pubblica: da fonti Eurostat si evince che la spesa per ognuno di loro è di 2400 euro pro-capite, a fronte di 1340 euro pro-capite che gli stranieri versano nel sistema fiscale. Restano quindi circa 1060 euro pro-capite che gli italiani pagano per dare loro l’assistenza sanitaria, senza considerare le rimesse (circa 64 miliardi di euro inviati all’estero dagli stranieri in dieci anni). La cifra è di 5,3 miliardi di euro di spesa complessiva per l’assistenza degli stranieri.

Da un punto di vista biologico e genetico, ciò che sta avvenendo in Europa – e in maniera più evidente in Italia – prende il nome di ‘sommersione genetica’, un fenomeno descritto nell’àmbito della cosiddetta ‘genetic pollution’, cioè contaminazione genetica. Possiamo definirla una immissione incontrollata di geni esogeni provenienti da popolazioni non indigene, in un territorio in cui la popolazione locale è in forte decremento per cause endogene (calo delle aspettative di vita e peggioramento delle condizioni di salute). La sommersione genetica origina una serie di modifiche irreversibili e deleterie nel pool genico di una popolazione e nei suoi gruppi etnici.

Questi gruppi etnici, all’interno della razza bianca europea, si sono plasmati, nei millenni, da un profondo equilibrio tra ambiente e genoma. Quando si parla di genoma si intende l’insieme di canoni genetici che regolano le funzioni vitali e la fisionomia di un popolo, di un gruppo umano. Quando invece ci si riferisce all’ambiente si prendono in considerazione le tipiche matrici ambientali – acqua, suolo, aria – ma anche l’aspetto fondamentale legato alle abitudini alimentari. La nutrizione condiziona l’espressione dei geni, agendo mediante quella che viene definita epigenetica, cioè con l’aggiunta o la rimozione di gruppi molecolari sulle sequenze di DNA, determinando, in questo modo, l’espressione o non espressione – definita ‘silenziamento’ – di geni e quindi di caratteri. I fattori ambientali, tra i quali i principî nutritivi che si assumono con gli alimenti, inducono alterazioni epigenetiche nelle cellule germinali che possono potenzialmente essere trasmesse con modalità transgenerazionale.

Questo dinamico equilibrio tra ambiente e DNA coinvolge anche lo sviluppo dell’organismo dai primi giorni di vita intrauterina e si può asserire che, modificando l’assetto stabilitosi tra genoma e ambiente, si operi, nel tempo, una modifica di ciò che è la forma originaria di una popolazione e di una razza. Gli squilibri nel paesaggio esteriore creano uno squilibrio anche in quello interiore. L’ambiente in cui viviamo reca la nostra effigie quindi la dicotomia esterno-interno è una falsa dicotomia, un’illusione della percezione. Occorre innanzitutto incominciare a pensare che non esista un ambiente separato da una popolazione, ma che sia tutto parte di una unità organica. Non ci sono elementi esterni o interni, ma popolazioni che acquisiscono la loro forma e la loro fisionomia in un contesto ambientale che sia a loro corrispondente e conforme.
In una visione ecologica arcaica e tradizionale non trovava posto l’ambientalismo, una vera e propria distorsione che non avrebbe potuto avere alcuna ragion d’essere. La terra abitata da una popolazione è parte di essa, è sacra per quel gruppo umano: si appartiene a un ambiente esattamente come si appartiene a una stirpe. È ciò che ci hanno insegnato i popoli arcaici e che è stato affermato da Walther Darré ne La nuova nobiltà di sangue e suolo e da Silvio Waldner nel saggio La deformazione della natura. Per questo motivo, nel voler difendere la biodiversità terrestre, è fondamentale conservare tanto la pluralità degli ambienti, con la loro flora e fauna autoctone, quanto le diverse razze nella loro integrità, forza e bellezza.
È bene ricordare che, tra i primi naturalisti a osservare e ammirare le differenze morfologiche tra le razze, ci fu proprio Charles Darwin che arrivò a definirle ‘specie incipienti’. La biodiversità umana e razziale è quindi un importantissimo indice di ricchezza nella biosfera. Così come si conservano le parti di un unico organismo, che non possono convertirsi le une nelle altre né generare aberranti forme intermedie che risulterebbero inefficaci per il corretto funzionamento dell’organismo, si dovrebbero tutelare le diverse razze umane. L’equilibrio dinamico che si genera in questo sistema vivente è facilmente assimilabile all’omeostasi che viene a stabilirsi in un organismo. È fondamentale, quindi, affrontare la questione da un punto di vista organico e non più esclusivamente deterministico e meccanicistico.

Dobbiamo porci una domanda: nell’alterazione di questo equilibrio, fino a quando il nostro assetto reggerà? Fino a quando riusciremo a mantenere la nostra forma e riconoscerci nelle immagini dell’iconografia classica, greca e latina, nell’arte rinascimentale?  Nel genoma umano è racchiusa una forma da tramandare alle future generazioni, mediante la discen-denza e le unioni. Noi dovremmo immaginarci come un organismo etnico che si radica in un ambiente e che, se in salute, riesce a difendersi dalle contaminazioni esterne.

Qual è il centro della vostra vita etnica? A quale gruppo sentite di appartenere? Quali legami avete? Quali di questi sono reali e quali sono invece illusori? Chi riconoscete come vostri simili? Domandatevelo costantemente…

Per comprendere a fondo il funzionamento di un organismo è indispensabile capire come esso riesce a difendere la sua integrità e come reagisce alle aggressioni esterne.

 Il nostro sistema immunitario si occupa di questo compito: esso è una rete complessa in cui i vari  elementi – cellule, tessuti, organi – possono agire in maniera coordinata e armonica e, al  contempo, regolamentare il funzionamento delle varie parti. Ogni parte ha la sua funzione, il suo  ‘destino’, proprio come ogni cellula, nel suo processo di differenziamento, acquisisce il suo  destino cellulare. Solo in questo modo si possono attivare le barriere e ripristinare le armi di  difesa. Senza differenziazione l’organismo etnico non può funzionare; ciò che ne consegue è la  perdita dei legami, intesi anche come dissoluzione di legami familiari e nazionali, l’annullamento  di ogni difesa immunitaria e infine la morte.

 Il funzionamento del sistema immunitario si basa su due componenti principali: il   riconoscimento e la comunicazione tra le parti. La disfunzione, che conduce spesso a malattie  autoimmuni, è causata da un riconoscimento errato e dall’impossibilità di stabilire i corretti legami tra individui appartenenti alla stessa razza e quindi tra le parti dell’organismo etnico. Il riconoscimento tra self e non-self si fonda sulla percezione dell’identità di specie e quindi di razza.

L’arrivo degli stranieri sul suolo italiano dà origine a una serie di conseguenze, su diversi piani: conseguenze sanitarie, genetiche, ecologiche e morfologiche, quindi etniche. I nati italiani diminuiscono e non si ha più cura della generazione, che, come affermava Tommaso Campanella ne La Città del Sole, vuol dire “unir li maschi e le femine in modo che faccin buona razza”. In questa situazione di decremento della quantità degli italiani, è fondamentale guardare alla qualità delle nuove generazioni che, per resistere alle ostilità, dovranno essere più sane e più forti. Attualmente stiamo assistendo invece a un calo dell’aspettativa di vita sia degli uomini che delle donne italiane, ma soprattutto di un calo del sistema immunitario, con un indebolimento delle difese contro gli agenti esterni, una maggiore contaminazione delle matrici ambientali, una maggiore attività sedentaria e un peggioramento delle abitudini alimentari. La nostra attuale dipendenza dai farmaci, il costante apporto farmaceutico alle nostre esistenze indebolisce sempre di più la naturale e fisiologica facoltà del sistema immunitario di riuscire a contrastare le minacce esterne.

Contemporaneamente a questo indebolimento stiamo lasciando entrare in Italia degli agenti infettivi che, in Europa, sono del tutto sconosciuti e che i nostri organismi non saprebbero come affrontare. Oltre alle tre grandi malattie tropicali, cioè malaria, tubercolosi e AIDS, ci sono anche le cosiddette malattie tropicali neglette, provocate da virus, batteri, elminti, protozoi. Tra queste ci sono, ad esempio, la tripanosomiasi umana, l’echinococcosi, la febbre Dengue, l’elmintiasi e un’altra decina almeno di patologie di questo tipo.

La malattia nasce da uno squilibrio e gli elementi esterni, come i virus, hanno la capacità di inserirsi nel nostro genoma etnico modificandone l’equilibrio genetico. È esattamente ciò che avviene con l’ibridazione e con l’introduzione di geni esogeni nel nostro patrimonio ereditario.

Tuttavia esiste un antidoto a questa malattia: la selezione. Alla base di ogni modificazione filogenetica adattativa c’è sempre la sostituzione di alleli (quindi anche di caratteri) svantaggiosi con altri vantaggiosi. Se è vantaggioso, anche un allele recessivo può raggiungere la fissazione rapidamente perché gli alleli, seppur dominanti, se fossero deleteri, verrebbero sistematicamente eliminati dalla selezione naturale. Si tratta, in questo caso, di una selezione purificante.

La selezione opera rendendo vantaggiosi alcuni caratteri e svantaggiosi altri in relazione alle limitazioni ambientali. Un tipo particolare di selezione che opera esclusivamente in questo modo è la selezione direzionale. Attualmente i tipi umani maggiormente favoriti da questo tipo di selezione sono gli ibridi, quindi il vantaggio in questo ambiente si sta spostando nella direzione degli individui ibridi, ma si può volontariamente decidere di rendere questo ambiente più favorevole agli individui delle linee pure.

È pura una linea di discendenza in cui gli individui di una specie mostrano in misura maggiore, le caratteristiche genetiche distintive di una popolazione o di una razza, in uno stato inalterato, quindi senza mutazioni rilevanti. Il nostro compito deve essere quello di preservare lo stato di salute degli italiani, migliorando le condizioni di vita e riducendo le malattie ereditarie senza ricorrere al supporto delle terapie farmacologiche, ma solo mediante le unioni di individui sani.

Inoltre, grazie alle innovazioni in campo biomedico e molecolare, esistono sconfinati archivi denominati banche dati biologiche con sequenze relative al genoma, al trascrittoma (cioè ai geni che effettivamente arrivano ad esprimersi nell’organismo) e al proteoma (cioè all’insieme delle proteine che fanno parte della struttura del nostro corpo e che sono indispensabili per il suo funzionamento). Si possono quindi collegare i principî attivi dei farmaci, o i nutrienti introdotti mediante l’alimentazione, agli effetti sulle funzioni organiche. Si può quindi valutare l’espressione genica e l’impronta epigenetica di ogni individuo. Si potrebbero quindi elaborare algoritmi capaci di individuare set di geni e caratteri che costituiscono e meglio rappresentano il nostro patrimonio genetico e quindi personalizzare non solo farmaci, ma regimi alimentari, per potenziare e prolungare lo stato di salute di tutti. I farmaci, al contrario, non servono ad altro che al mantenimento costante di ogni malattia allo stato cronico.

Noi desideriamo e operiamo per raggiungere la salute e la bellezza, perché bellezza vuol dire prosperità, equilibrio, felicità. La necessità ha agito nei millenni determinando le differenze morfologiche, le diversità etniche e noi abbiamo la possibilità di mantenere queste differenze, mettendo tra i primi punti dei nostri programmi l’ortogenetica, fondamento della salute del corpo, dei pensieri e quindi delle idee. I geni rappresentano una continuità che abbiamo il dovere di confermare nelle future generazioni. Adesso è arrivato il momento di decidere di farlo in maniera sempre più consapevole.

Dall’ibridazione possono generarsi soltanto forme intermedie e sradicate dai loro ambienti. In questo modo l’organismo etnico non potrà attivare le naturali difese immunitarie al percepire di un attacco esterno e il suo corretto funzionamento sarà compromesso.

Nell’odierna situazione italiana esiste una forte propensione all’autodistruzione che sembra guidare le esistenze degli italiani. Ma c’è ancora chi conosce quali dovrebbero essere i principî di un vero Stato, chi ancora vede il suo destino e che, per questo, ha il diritto di affermarlo, ad ogni costo. Rafforzando il nostro patrimonio ereditario, e con esso il nostro destino, riedificheremo anche la nostra Nazione fondata sul senso di appartenenza a un gruppo etnico che condivide una stessa nascita e che ha il dovere di difendere il proprio territorio e la propria discendenza con decisione. Soltanto mediante il riconoscimento e la comunicazione tra di noi sarà possibile resistere a ogni forma di colonizzazione economica, finanziaria e soprattutto etnica che minaccia la nostra salute e la nostra prosperità.

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*Cristina Coccia  risiede in Avellino, ove esercita la attività di biologa dopo aver terminato gli studi in Scienze  Biologiche presso l’ Università Federico II in Napoli nel 2014, con competenze professionali in Biodiversità –  Conservation genetics – Enviromental quality – Etnozoologia – Nutrizione  e Zoologia.

  Cristina Coccia coltiva una notevole passione per la critica cinematografica ed è autrice di numerosi articoli.  

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LA PROBLEMATICA INTEGRAZIONE DELLA SALUTE DI TUTTI – UNA NOSTRA NOTA REDAZIONALE  

Nei primi decenni dell’Ottocento Charles Darwin, al culmine delle sue esperienze di viaggio, analizzando le differenze morfologiche tra le razze umane, esaltò proprio lo splendore di queste “specie incipienti” che traevano la loro forza vitale dalle Regioni di appartenenza.

Oggi, nel marasma di una epocale immigrazione dal Sud del mondo, queste differenze ben tratteggiate dalla Dottoressa Cristina Coccia nel suo intervento sulla salute in Italia e le conseguenze dei flussi migratori, non sembrano divenire escludenti di questa o quell’altra etnia, ma , al contrario, appaiono più un esame dei pericoli di sradicamento che la trasmigrazione di milioni di persone comporta. La perdita dell’habitat, il conseguente, traumatico cambiamento, dal clima all’alimentazione ed in primo luogo la scarsa immunizzazione della nostra gente, da decenni sottoposta ad un bombardamento farmacologico, pone al centro dell’attenzione un significativo ritorno di malattie estinte da più di un secolo.

E’ necessario, proprio per evitare la radicalizzazione di un razzismo comunque estraneo agli italiani, un più severo controllo igienico-sanitario, congiuntamente alla pur difficile politica del rientro nelle regioni d’origine.

La bellezza, fatta di molteplici elementi, di ogni etnia, è quella che geneticamente viene prodotta dal luogo d’appartenenza, in termini di clima ed alimentazione, ma innanzitutto per il consolidamento identitario. Parlare di integrazione, considerando l’impossibilità di rendere omogenee popolazioni di diverse provenienze e culture lascia il tempo che trova; al massimo, oggi, l’integrazione è solo e soltanto uniformità di consumi.

Ben venga, quindi, l’unica politica possibile: quella di “bonificare” quelle regioni del mondo dove la stessa natura può regalare, con il lavoro contro il parassitismo tutte le necessarie aspettative, che, altrimenti, rimarrebbero irraggiungibili in Paesi così diversi e così indifesi com’è il caso dell’Italia.

Alessandro P. Benini

 

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