Salvini e il Crocefisso: è giusto affermare il ruolo pubblico del cristianesimo
I gesti e le pubbliche manifestazioni di Matteo Salvini di mostrare la corona del rosario, di baciare il crocifisso, di invocare i santi patroni dell’Europa, di affidare la sua vita, quella dei suoi elettori ed il destino dell’Italia al cuore immacolato di Maria, al di là dell’opportunità o meno di utilizzare simboli cristiani in riunioni, in convegni di partito ed in comizi, ha suscitato, come era prevedibile, non solo prese di posizioni a favore e contro, ma un dibattito più o meno serio sul ruolo pubblico del cristianesimo che vogliamo riprendere, ora che gli animi si sono calmati.
A me non interessa sapere quali siano le intenzioni di Salvini, se cioè faccia questi gesti per agganciare l’elettorato cattolico, oppure se l’ex ministro dell’interno sia davvero mosso da un autentica professione di Fede e tenda a fare in modo che il cristianesimo torni ad essere protagonista della vita pubblica italiana.
Sta di fatto che va stabilito se la nostra religione debba avere un ruolo pubblico da svolgere o debba rimanere solamente una questione privata.
“Non abbiate paura di Cristo, non temete il ruolo anche pubblico che il Cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia”, aveva detto il San Giovanni Paolo II a Loreto nel 1985, in occasione del Convegno nazionale della Chiesa italiana.
Ed, invece, proprio questo ruolo pubblico della Chiesa e questa rilevanza sociale del Cristianesimo che vengono dimenticati e messi in discussione, alle volte, dagli stessi cristiani che ancora oggi ritengono di dover mutuare da altri sistemi filosofici e politici le soluzioni ai problemi della società contemporanea, non avendo più alcuna fiducia nella loro visione della realtà.
“Nella loro religiosità privata – disse il Cardinale Ratzinger in una conferenza tenuta a Pescara su iniziativa anche di scrive – si tengono ben fermi alla fede, ma non hanno il coraggio di intuire che questa fede ha qualcosa da dire all’uomo in una prospettiva totale, che essa è anche una visione del suo futuro e della sua storia. Dal peccato originale fino alla redenzione l’intero edificio della verità tramandata appare ad essi troppo irrazionale e irreale per osare di portarlo alla luce del sole nel dibattito pubblico”.
E questo non era l’obiettivo che si erano posti i nemici della Chiesa di tutti i tempi? Servendosi dei pretesti più falsi, come era avvenuto con la Riforma protestante del XVI secolo, fomentando le passioni più istintive, come era successo per le rivoluzioni borghese e proletaria; strumentalizzando i disagi e la miseria di intere popolazioni, come si è tentato di fare con la “Teologia della liberazione”.
Fu, infatti proprio la Riforma con la teoria della predestinazione e quindi con il suo fatalismo, ad attuare la prima fase del divorzio tra la fede e le opere, iniziando un processo inarrestabile di laicizzazione delle coscienze e degli istituti giuridici, con la defenestrazione del sacerdozio dalla vita sociale e della Chiesa dallo Stato e dalla società.
In pratica il falso spiritualismo interioristico del protestantesimo, esasperando il dogma della caduta originale fino a giustificare qualsiasi errore, a ritenere inutile ogni attività benefica ed a negare, addirittura, la indispensabile cooperazione dell’uomo alla sua salvezza, sconsacra definitivamente la vita e la separa per sempre dalla fede.
Nasce cosi, il laicismo che avrà successivamente la sua sistemazione e la sua esaltazione nelle dottrine che dettero luogo alla Rivoluzione francese ed in quella marxista che determinò quella d’ottobre.
Affrancare l’uomo dai timori di una vita che abbia fini soprannaturali, impedendogli ogni contatto con la Trascendenza ed evitandogli ogni preoccupazione religiosa; liberare la moderna società da ogni tutela spirituale e da ogni invadenza della Chiesa, separando, secondo la più accreditata interpretazione di Macchiavelli, la politica dalla morale e dall’etica; consentire la libertà di culto, purché questo resti un fatto individuale ed intimo; mettere sullo stesso piano e considerare uguali fra loro tutte le religioni, che restano solo delle associazioni privatistiche senza alcuna rilevanza pubblica; in poche parole allontanare l’uomo da Dio, la terra dal cielo, la società dalla religione: questi sono gli scopi e le caratteristiche del laicismo.
E gli effetti di questo processo di laicizzazione sono sotto gli occhi di tutti. Ad esso hanno contribuito un po’ tutte le forme di pensiero oggi tanto in voga: agnosticismo, indifferentismo, naturalismo, umanesimo, hegelismo, marxismo, evoluzionismo, positivismo e chi più ne ha più ne metta, in un intreccio nel quale è impossibile stabilire quali di esse abbiano avuto un ruolo predominante.
Proprio per questo la formazione all’impegno sociale e politico è dovere della Chiesa, che deve fornire dottrina e stimoli ai cristiani, specialmente ai laici, perché proprio attraverso l’impegno sociale e politico la loro fede cresca e lieviti, aiutandoli a vivere in pienezza la loro condizione di cristiani e di cittadini.
“Per loro vocazione – recitava la nota pastorale emessa dalla Conferenza Episcopale nel 1989, promuovendo ed istituendo le scuole di Dottrina sociale, – è proprio dei laici cercare il regno di Dio, trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”: questa vocazione, però, deve essere aiutata e sollecitata a maturare, in modo che, diventando testimone di fede, di carità e di esperienza, il cristiano intenda l’esercizio della politica come servizio all’uomo ed al bene comune sia a livello locale che nazionale ed internazionale”.
E’ un invito quello del Magistero della Chiesa “alla sintesi coerente fra l’interiore tensione verso un cristianesimo esigente e l’efficacia delle azioni sociali e politiche nella nostra società complessa”, indicando “la coerenza e la capacità di sintesi tra vita personale e impegno sociale e politico”.
RICCARDO PEDRIZZI