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San Giuseppe frittellaro perché a Roma il 19 marzo si mangiano i bignè fritti?

“San Giuseppe frittellaro, ttanto bbono e ttanto caro, tu cche ssei ccosì ppotente, da ajiutà la pora ggente”

Così scrisse in romanesco Checco Durante, nel 1950, una sorta di motto tra preghiera e poesia per onorare il celebre santo romano delle frittelle.

Ci sono alcuni santi a cui il popolo è più affezionato e a cui si raccomanda volentieri. Alcuni riescono a dare un senso d’identità come se fossero in qualche modo più vicini di un altro a un mestiere o a un particolare rione. A Roma è il caso di San Giuseppe venerato con particolari feste e tradizioni che proseguono sin dall’antichità.

La ricorrenza cristiana, come spesso accade, deriva da una più antica ricorrenza romana. In questo caso si trattava dei Liberalia; nel xv secolo la tradizione cristiana fissò la data del 19 marzo, quale giorno dedicato al protettore dei poveri, patrono dei falegnami e padre putativo di Gesù. Oggi è conosciuta più semplicemente come la Festa del Papà. 

Essendo il giorno prima dell’equinozio di primavera, un momento in cui celebrare la fertilità e la rinascita della terra, il popolo di Roma, anticamente, commemorava la ricorrenza con grandi festeggiamenti presso tutte le chiese a lui dedicate, in particolare presso la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami al Foro Romano. I festeggiamenti consistevano in riti solenni, processioni e i famosissimi banchetti a base di frittelle, e da qui deriva la tradizione di mangiarle ancora oggi. Ci sono moltissime varianti di queste frittelle, ma quelle vere romane non sono altro che grandi bignè fritti (o al forno) farciti di crema pasticciera, da non confondere con le zeppole, uguali ma con l’aggiunta delle amarene.

 

 

 

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