Signorina Rosina … una narrazione ed annotazioni
SIGNORINA ROSINA – una ‘narrazione’ di ANTONIO PIZZUTO
NOTE ED APPROFONDIMENTI SU UN CONVEGNO svoltosi giovedì 23 marzo 2017 in Roma, presso l’ Auditorium ICBSA a Palazzo Mattei di Giove
__________________ a cura di PIETO De SANTIS *
Antonino Pizzuto (Palermo 1893 – Roma 1976), firmatosi poi Antonio (1951), nacque in una famiglia agiata: il padre, Giovanni, svolgeva la professione di avvocato e la madre, Maria, era una discreta poetessa. Nel 1915 si laureò in Giurisprudenza; nel 1918 venne arruolato nella Polizia di Stato con il grado di Vicecommissario. Nel 1922 si laureò in Filosofia con Cosmo Guastella, la cui teoria ‘Fenomenista’ della conoscenza contribuì a strutturare la sua visione del mondo. Nel 1930 venne trasferito a Roma, al Ministero dell’Interno; gli incarichi nella Polizia Internazionale lo portarono in Austria, Francia, Inghilterra, Germania, Danimarca, Romania e negli Stati Uniti d’America. Proprio quest’ultima esperienza venne più volte ironicamente ricordata nei suoi romanzi. Nel dopoguerra, fu vicequestore a Trento, questore a Bolzano e ad Arezzo. Nel 1950 fu collocato a riposo.
Cultore della lingua greca e latina, Pizzuto era un profondo conoscitore della lingua inglese, francese e tedesca; da questa lingua tradusse un’opera di Kant (Fondamenti della metafisica dei costumi, con sue introduzione e note, edita da Sandron, Palermo, 1942). La carriera di narratore iniziò nel 1912 con la novella Rosalia. Nel 1923 pubblicò la raccolta di novelle Sinfonia, poi ripresa nel 1927; nel 1938, con lo pseudonimo di Heis, pubblicò il primo notevole romanzo: Sul ponte di Avignone.
Ma la nascita come scrittore in veste ufficiale arrivò dopo il pensionamento, con la stesura delle Memorie di un questore e del romanzo Così, e le collaborazioni al periodico Polizia Moderna, per il quale scrisse racconti e saggi; e con la rivista filosofica Sophia dove pubblicò recensioni e traduzioni. Nel 1959 ripubblicò con grande successo Signorina Rosina (già apparso con tiratura limitata, per l’editore Macchia, nel 1956) grazie all’appoggio di Romano Bilenchi e Mario Luzi. I suoi scritti, ricchi di citazioni colte e di novità lessicali si liberano dalle regole temporali per divenire una rappresentazione della porzione di mondo osservata. La sua opera venne apprezzata, tra gli altri, dal famoso critico Gianfranco Contini, al quale fu legato da una profonda amicizia e con il quale intessé un notevole carteggio (Coup de foudre).
La scrittura di Antonio Pizzuto
Anna Maria Milone – ICBSA – 23 marzo 2017
Parlare della scrittura di Antonio Pizzuto vuole dire misurarsi con una dimensione intima dell’esperienza di lettore. Accettare di sentirsi compresi nelle scene che leggiamo su pagine scritte più di 60 anni fa, vuol dire lasciarsi guidare e cedere all’invito velato di uno scrittore che scrive per se stesso, solo per esprimersi sinceramente sulla pagina. La storia che ci presenta lascia increduli e infastiditi dopo la prima lettura: per arrivare ad essere complici di Pizzuto è necessario indossare delle lenti speciali, mettere a fuoco i sentimenti, trovare un sentire antico, quasi nascosto e rinnegato. Sin dalla prima scena, dove la realtà procede nonostante la vita interiore dei personaggi, codificare e condividere il disagio di Bibi e la rabbia di Compiuta presuppone che il lettore si sia legato di una simpatia profonda al testo. Leggere Pizzuto non è semplice e non si risolve nell’impegno rilassante di un pomeriggio accomodati in poltrona, ma invece è un’attività che implica fantasiose energie e sinergie interpretative. Il lettore mette in campo tutto il suo bagaglio culturale e prova a partecipare. Signorina Rosina è un testo che si presta a molteplici significati, letture, interpretazioni per la caratteristica universale che gli appartiene. Bibi e Compiuta, due amanti che discutono davanti al tram pieno nell’ora di punta, lei adirata, lui zittito, una scena ordinaria, comune a molte storie, comune a tanti contesti urbani. Il lettore si chiede quale storia mai dovrà seguire per i capitoli a venire: una coppia di cui si stenta a vedere la complicità, nessun gesto di passione eclatante, nessuna situazione che attiri e stuzzichi la curiosità, solo gesti quotidiani. Pizzuto, lontano dall’ansia di farsi leggere dalle folle acclamanti, propone una semplice e ordinaria scena di vita vissuta, puntando sulla disposizione sentimentale del lettore davanti al testo. I personaggi hanno caratteristiche anomale, l’assenza di descrizioni fisiche, la frammentarietà delle loro espressioni, il riserbo del non detto delle loro reazioni, non facilitano il lettore nel seguire le loro evoluzioni nella storia, così che diventa un’operazione eccessivamente onerosa tracciare la loro storia coerentemente e anche in modo sensatamente interessante all’interno del romanzo. Una volta che il lettore si pacifica che il modo tradizionale di leggere il testo non è la chiave corretta per giungere alla sua completa fruizione, si avventura per percorsi più insoliti. L’idea che l’intero romanzo sia un punto irrinunciabile della narrativa italiana è sostenuta da R.S. Dombroski, noto linguista statunitense nel suo saggio Le ideologie del testo1. Selezionando nove capolavori che segnano altrettanti passaggi sociali, Signorina Rosina si fa specchio dei tempi che cambiano, di una società intaccata dalla nuova economia post bellica. E Pizzuto, esprimendosi attraverso il suo stile difficile e poco allettante per i lettori dell’ultima ora, lancia una sfida di senso. La scrittura, come viene suggerito dalla similitudine carte geografiche che nella loro perfezione contengono carte geografiche dentro carte geografiche all’infinito2, è un modo per realizzare la scrittura stessa. Quanto suggerito da Dombroski, sebbene sembri avventato, esagerato, quasi pretestuoso – inserisce Antonio Pizzuto e il suo limbo di notorietà accanto a Manzoni e Gadda, stranoti e senza bisogno di ulteriori categorizzazioni o sottolineature – mette in luce che è l’elemento più originale dell’autore che deve essere apprezzato. Il lettore deve sottomettersi al cambiamento come tutto il tessuto sociale che lo circonda, e mutare gusti e modalità di intendimento. La sfida è aperta e la strada e tortuosa. Pizzuto guida il lettore in una storia che non ha nulla di esplicito, i cui personaggi sono appena coerentemente riconoscibili come tali, in cui il tempo è assecondato al ritmo dello scrivere, i luoghi sono non luoghi e Signorina Rosina stuzzica la curiosità per tutto il testo, prendendosi gioco del lettore.
Diventa quindi palese ripensare i significati e alla posizione di quello che viene proposto, partendo da Dombroski: la scrittura come segno dei tempi che cambiano. Pizzuto che rinuncia esplicitamente allo scrivere canonico, rinuncia alla creazione dei personaggi, della trama, dei luoghi, eppure si esprime attraverso un testo scritto. Sebbene sia evidente l’anomalia pizzutiana, il testo, arrangiato sulla pagina, viene sottomesso necessariamente ad alcune regole che devono comunque essere rispettate, considerate. I personaggi, chiamati così in virtù della loro presenza e ricorrenza sul testo scritto, nonostante le mancanze che li caratterizzano, si fanno seguire dal lettore che inevitabilmente si interroga sulla loro vicenda. Bibi, si presenta e si propone attraverso il suo manoscritto Ravenna, che puntualmente non viene letto, compreso, accolto. Bibi viene scalzato da una posizione che vorrebbe avere, come in occasione della gita fin sulla vetta del monte per vedere gli effetti del terremoto, come durante il ricevimento alla villa dei consoli a cui partecipa con tante aspettative, avvolto scomodamente nel vestito fuori taglia. La sua volontà di esistere ed avere riconosciuto un posto nel mondo viene puntualmente disattesa, così come vengono troncate le sue parole di giustificazione nei confronti di Compiuta, così come viene frainteso il suo manoscritto, così come non verranno mai recapitate le lettere che scrive, né saranno chiare le sue lettere a Compiuta. Bibi intende che è necessario cambiare, percepisce il suo essere fuori moda e fuori luogo e sente la necessità di cambiare stile, canale, versione di sé. La consapevolezza del mutamento avviene nell’episodio della gita sul monte, dove il capo gli toglie brutalmente quel momento di visibilità che gli spetta. Da quel punto, un moto interiore intenso lo spinge verso una pratica di scrittura che non verrà mai recapitata; inoltre, un gruppo di immagini simboliche fa da corollario al momento di crisi. L’asino Rosina, al quale Bibi sente di dover dare un accento particolare – quasi volesse farsi gioco dell’attenzione del lettore, in caso avesse smesso di chiedersi chi mai sia Signorina Rosina – la cavallina ribelle che scappa e prima di arrendersi incontra gli occhi di Bibi, le allucinazioni della zia e della gatta Camilla decedute qualche capitolo prima: questi elementi convergono nel disagio che Bibi prova a combattere, e che esprime nel vigore della scrittura. Alla fine, Bibi, vivendo tutte le fasi della crisi, dai tentativi ridicoli di partecipare alla consapevolezza di essere escluso, dall’isolamento nel penitenziario alla scelta di avviarsi in cura da uno psicoanalista, non trova una risposta alle sue ubbie, ma viene mandato in pensione prima, gesto che implica che ormai è fuori dal cerchio produttivo, messo a riposo, quindi è inutile che continui la sua ricerca. La sua volontà di avere un posto qualsiasi nella gerarchia di personaggi militari, religiosi, impiegati viene negata: Bibi alla fine del romanzo è solo l’amante di Compiuta. La loro relazione, di fatto non esiste, poiché, come tutte le relazioni extraconiugali, non è iscritta in nessuno schema: esiste solo il legame che di fatto entrambi si riconoscono. Compiuta è una donna incredibilmente moderna: lavora come stenografa, riesce a comprare casa, decide chi saranno i suoi conteggiatori e ha fatto una scelta sentimentale che la porta a rimanere a vivere in casa con sua sorella, il marito e i nipoti. Compiuta trasferisce la sua realizzazione sentimentale e professionale su quelle dei nipoti, cercando così di riscattarsi di ciò che le è mancato. Anche per questo personaggio, il legame con la scrittura è fondamentale: riempie di lettere di Bibi il baule destinato al corredo. Decisa verso una relazione sentimentale che non le riconoscerà la posizione tradizionale di sposa e madre, il corredo tramandatogli dalla famiglia non ha alcun valore. Invece le sembra opportuno riempire il baule delle lettere di Bibi, lettere chele danno una esistenza come amante, donna e amata3. Quelle lettere segnano umori e vicissitudini per Compiuta: donna incredibilmente abitudinaria e incastrata nel meccanismo quotidiano di routine, è disposta ad interromperlo solo in conseguenza di messaggi ambigui, fraintendimenti generati dalla scrittura di Bibi. Ecco spiegato il loro dialogo infruttuoso, la loro misteriosa complicità: questi personaggi sono comprensibili ed esistenti solo attraverso il filtro della scrittura. Mentre seguitiamo a leggere, ripetute volte e anche ad alta voce se necessario, ci rendiamo conto che rimane una domanda a cui non siamo riusciti a dare una risposta nonostante le repliche di lettura: chi è Signorina Rosina? Mettendo in campo una completa partecipazione attiva, ogni lettore può considerare Signorina Rosina seguendo le proprie inclinazioni. Questo non vuol dire che il testo manca di significato, la giustificazione sommaria non può essere intesa come un atto di lassismo arreso, invece si conferisce al testo un valore assoluto: l’apertura di significati e la poliedricità della sua resa. Antonio Pizzuto non è ansioso di farsi riconoscere come scrittore, tuttavia è attento al modo di fare letteratura in Europa, ai fermenti sociali che vibrano, al caos che confonde. Signorina Rosina torna e ritorna nel testo come un collante a tutti i riferimenti che Pizzuto offre al lettore, manifesti e sommersi: i miti di Apuleio, di Tantalo, le carte dei tarocchi, la filosofia di Nietzsche e di Heidegger, due persone comuni, la vita urbana, tutto tenuto insieme da due parole, Signorina Rosina che ci confortano, ci guidano in silenzio per tutto il testo e con cui alla fine ci sentiamo complici.
Antonio Pizzuto: l’inconscio rivelato
Pietro De Santis – ICBSA – 23 marzo 2017
Chi svolge l’attività di psicoterapeuta diviene necessariamente un professionista della presunzione: presume infatti di capire, interpretare, descrivere un mondo interiore che il diretto interessato, rivoltosi a lui per qualche valido motivo, talvolta nega persino di riconoscere. Sono uno psicoterapeuta. Il mio interesse per le lettere deriva non soltanto dal piacere di leggere ma, anche, dalla volontà di cercare spunti utili al mio lavoro: descrizioni del mondo e delle cose, frasi stimolo, riflessioni… che possano costituire, successivamente nella pratica professionale, metafore calzanti o ‘specchi psichici’….. Per accreditarmi pubblicamente e soprattutto delineare il mio àmbito culturale, ricorro all’antico procedimento di elencare le successioni genealogiche: negli antichi libri sacri, la narrazione dei fatti era frequentemente preceduta da una genealogia. Così avvenne nel definire l’origine degli dèi nel mondo greco4, al fine di esporne l’intervento nel mondo; così è dato nella Bibbia5 e nei Vangeli di Matteo6 e di Luca7. Quindi, ammantandomi di credibilità, propongo una personale genealogia psicoanalitica, tra le centinaia e più possibili.
All’inizio c’è Sigmund Freud.
Tra i suoi allievi si annovera un giovane triestino: Edoardo Weiss, di famiglia ebrea. Weiss era nato nel 1889 nella città allora asburgica8; si era recato a studiare medicina nella capitale dell’impero all’età di 19 anni. In realtà ebbe un solo colloquio privato con il Padre della Psicoanalisi, che lo accolse come collega nella sua cerchia; invece studiò principalmente con Paul Federn. Divenuto psichiatra e tornato a Trieste, si ritrovò suddito di Sua Maestà il Re d’Italia. Lavorò nel Civico Frenocomio di Trieste fino a quando il Partito Nazionale Fascista introdusse l’obbligo di iscrizione per i dipendenti pubblici: «Nel 1927 lasciai l’Ospedale Psichiatrico di Trieste. In quel momento chiunque avesse una posizione ufficiale era obbligato ad iscriversi al Partito Fascista ed io mi rifiutavo di aderirvi.»9 scrisse a Freud. Nel 1931 si trasferì a Roma ed ebbe allievi Nicola Perrotti ed Emilio Servadio. Tra gli allievi di Perrotti si annovera il figlio: Paolo Perrotti, che nel 1972 fondò “Lo spazio psicoanalitico” cui aderì Sandro Gindro, psicoanalista torinese trasferitosi a Roma nel 1971. Sandro Gindro successivamente fondò Una propria scuola: Psicoanalisi Contro nel 1976, nella quale sono entrato nel 1978.
Scendendo dall’albero genealogico per riprendere la rotta verso Antonio Pizzuto, ho premura di raccontare l’incontro con l’autore: nel 2011, in libreria alla ricerca di suggestioni, mi si offrì tra le mani Si riparano bambole. Sulla prima di copertina, una casa color pastello in pieno sole, sotto un cielo azzurro; all’angolo, su di uno sgabello e appoggiandosi al muro, un anziano vestito di scuro pare sonnecchiare. Ritenevo l’autore un esordiente ma, in quarta di copertina, il commento di Alberto Moravia (scomparso nel 1990) assicura trattarsi di ‘un libro notevole’…
Comperato e letto il libro, sono caduto innamorato: la prosa inconsueta e difficile; l’atmosfera antica in un gusto modernissimo; la ricerca stilistica; l’equilibrio delle parole; la prosa musicale in un ritmo calmo e senza tempo… soprattutto lo strano rapporto con il tempo. Tutte caratteristiche successivamente studiate con rigore e riversate in un saggio, ammirato della visione perdutamente nostalgica e priva di perimetro: l’elemento poetico della vita. Una potente introspezione psicologica – ostinatamente negata dall’autore – fa delle pagine pizzutiane un caleidoscopio pieno di sorprese. In successione ho comperato Ravenna, Sul ponte di Avignone, Signorina Rosina ed ho iniziato a descrivere la scrittura di Pizzuto ad amici e colleghi ed a regalare copie dei libri: soprattutto Signorina Rosina che trovo di più facile lettura per un primo approccio all’autore.
La bellezza inconsueta della prosa di Pizzuto, frutto di una grandissima cultura, si delinea attraverso alcuni tratti. Importanti gli aspetti grammaticali: l’eterogeneità dei fenomeni raccontati – fisici e psichici – non è mai segnalata da distinzioni verbali o segni di punteggiatura ma posta in un’unica visione; il transito della soggettività da un personaggio all’altro o il cambiamento di prospettiva da una situazione ad un’altra non vengono annunciati in alcun modo; le forme verbali sono quasi sempre declinate al passato, spesso all’infinito; gli aspetti marginali, relativi ad un dato evento, sono trattati con la stessa importanza formale degli aspetti principali; è interdetto il ricorso alla retorica e non c’è spazio per le riflessioni personali dell’io narrante. Vi è inoltre un importante studio linguistico che lascio volentieri agli esperti del scampo.
Quanto ho cercato di delineare rientra nell’autodenuncia10 che l’autore fa di se stesso, definendo i suoi scritti rappresentazioni che oltrepassano gli aspetti puramente narrativi e dichiarando di non rivolgersi ad un lettore distratto. Come anticipato, trovo nella scrittura di Pizzuto una notevole affinità con la psicoanalisi – in particolar modo con la psicoanalisi Gindriana nella quale mi sono formato – soprattutto per tre aspetti: la collocazione dell’inconscio tra l’individuo e l’altro; i tre contributi: istintuale, individuale e sociale dell’inconscio; il meccanismo dell’appercezione.
La topografia dell’inconscio descritta11 da Gindro modo scientifico risulta presente consapevolmente, da tempo immemore, nella nostra cultura; basti ricordare la favola delle due bisacce12: «Ciascun uomo porta due bisacce, una davanti, l’altra dietro, e ciascuna delle due è piena di difetti, ma quella davanti è piena dei difetti altrui, quella dietro dei difetti dello stesso che la porta. E per questo gli uomini non vedono i difetti che vengono da loro stessi, mentre vedono assai perfettamente quelli altrui». Con grande eleganza, e non senza poesia ed ironia, Pizzuto delinea questi fatti:
«Gli sportelli vennero sbarrati; su ogni cristallo si rifletté via via la loro imbronciata immagine. Altrettanto avvenne quando ne sopraggiunse un altro, e così pure col terzo, col quarto e coi successivi. Ogni volta egli ripigliava la valigetta per ridepositarla fra i piedi, dopo l’infruttuosa occhiata interrogativa a lei, così ferma di atteggiamento. Passeggeri smontavano, passeggeri montavano, ciascuno disinvolto e tranquillo. Ella cominciò a piangere silenziosamente, ed era come se le lacrime le uscissero dalle narici.»13
L’inconscio della protagonista, Compiuta, parla direbbe Lacan14; si distende tra lei e gli altri e si rivela verso l’esterno indipendente dalla sua volontà: l’imbronciata immagine, la fermezza dell’atteggiamento, il pianto silenzioso come se le lacrime uscissero dalle narici… L’inconscio parla agli altri, ma sa sua individualità è l’elemento fondante della persona, che ne è caratterizzata, oltre che per la storia privata, anche negli aspetti istintuali e in quelli sociali. Afferma Gindro: «L’inconscio istintuale è quel complesso di messaggi genetici che ci inducono a rispondere in un determinato modo agli stimoli ed a comportarci secondo criteri precisi in situazioni schematicamente prefissate, che però viene modificandosi col divenire storico… …La seconda parte è l’inconscio individuale, composto da tutte le esperienze personali ed i ricordi di ciascuno… …La terza istanza è l’inconscio sociale, il quale veicola i messaggi, i contenuti e i valori che sovrastano la realtà individuale, ma che nello stesso tempo la formano, in un continuo scambio tra l’io e gli altri. L’inconscio sociale non è dato una volta per tutte: i suoi contenuti divengono con la storia e nello stesso tempo la costruiscono. Ogni epoca ha i suoi concetti di bello e di brutto, di maschio e di femmina, di giusto e d’ingiusto. Questi sono valori che mutano continuamente, talvolta fino a capovolgersi.»15
Navigando attraverso le pagine di Signorina Rosina troviamo questo brano la cui straordinaria efficacia illustra il meccanismo della appercezione e l’inconscio della protagonista nei tre aspetti istintuale, individuale, sociale: «Appena ella fu dentro, il battente si chiuse da sé mandando un tonfo di pietra che cade in acqua. Vi era scuro. Ma sulla parete si proiettava sinistra l’ombra dondolante di un impiccato, due occhi brillavano dietro gli intagli dello stipo, scarpe di assassini appiattiti apparvero sotto la tenda rigonfia del ripostiglio. Compiuta lanciando quanto aveva fra le braccia contro gli aggressori corse corse, ebbe a stento il tempo di aprire, uscì sulle scale e tirò a sé la maniglia con tutte le forze. Convulsa rinserrava la toppa, un giro sull’altro, fini a quando poté. Qualcuno scendeva. Ella si ricompose. Era il professore del terzo, che la salutò al passaggio.», Signorina Rosina, pag. 74
Compiuta ha paura del buio e della solitudine; ciò denuncia una vicenda personale che non conosciamo perché l’autore ne lascia al lettore la competenza dell’immaginazione: nel buio, nella solitudine, le paure inconsce si concretizzano. Paure per cosa? L’impiccato, uno degli arcani maggiori dei tarocchi, rappresenta un giovane appeso a testa in giù con l’espressione distesa nel piacere, si direbbe sessuale – in un passo del libro, la ragazza consulta per l’appunto una cartomante –; gli assassini danno corpo al suo timore di essere aggredita, forse violentata… Compiuta compie un gesto istintuale lanciando quanto aveva fra le braccia contro gli aggressori. Interessante è la frase conclusiva del capitolo: uscita precipitosamente di casa la donna si ricompone immediatamente poiché ‘non è bene esibire il proprio turbamento’ dichiara il nostro inconscio sociale…
Personalmente credo che le qualità artistiche di un autore e la bellezza della sua scrittura si misurino proporzionalmente alla ‘profondità psicologica’ concessa ai personaggi che rappresenta: chi non pensa di conoscere Renzo Tramaglino o lady Macbeth, o il grande eroe Achille oppure Zeno Cosini, intento a fumare la sempiterna ultima sigaretta? Sono persone che fanno parte della vita di chi le ha conosciute leggendo. Cos’è mai lo spessore psicologico se non la rappresentazione dell’inconscio?
«…Fra lo sdegno ondeggiando e la ragione
l’agitato pensier, corse la mano
sovra la spada, e dalla gran vagina
traendo la venìa; quando veloce
dal ciel Minerva accorse, a lui spedita
dalla diva Giunon, che d’ambo i duci
egual cura ed amor nudrìa nel petto.
Gli venne a tergo, e per la bionda chioma
prese il fiero Pelìde, a tutti occulta,
a lui sol manifesta.»16
Nel primo canto dell’Iliade Omero descrive fatti che avvengono in successione: l’ira di Achille, le parole violente, la mano che estrae lentamente la spada, la dea Minerva che trattiene l’eroe per i capelli… Chi attribuisce ad essi una coerenza è l’autore, che convocati gli ascoltatori ed i lettori e certifica fatti inconsci grazie alla testimonianza degli dèi. Testimoni dell’ira disperata di Compiuta furono i cristalli degli autobus e la leggera valigia del suo amato: non i passeggeri, che salivano o scendevano disinvolti e tranquilli, alla cui disinvoltura si contrapponeva l’occhiata interrogativa di Conte Alberto, in amore Bibi; alle tranquillità altrui facevano contrasto le lacrime silenziose di Compiuta.
Omero descriveva l’inconscio di Achille offrendogli un corpo con la dea Atena (Minerva per il traduttore Pindemonte); Pizzuto rivelava l’inconscio di Compiuta e di Bibi per mezzo dei cristalli degli autobus e di una valigia: segno dei tempi…
* PIETRO De SANTIS, Fisico, Psicologo – Psicoterapeuta,
componente dell’ I.P.R.S. – Istituto Psicoanalitico Ricerche Sociali
*** *** ***
1 Robert S. Dombroski, Le ideologie del testo. Saggi sulla narrativa italiana moderna e contemporanea, traduzione italiana a cura di A. Dicuonzo, Manni, 2003 # 2 Antonio Pizzuto, Signorina Rosina, Polistampa, 1956, p.48 # 3Antonio Pizzuto, Signorina Rosina, ed.cit., p. 61 # 4 Esiodo, Teogonia # 5 Sacra Bibbia, Genesi # 6Matteo (1,1-16) # 7Vangelo di Luca (3,23-38) # 8 Trattato di Campoformio, 1797 # 9Edoardo Weiss, Sigmund Freud as a consultant, Roma, 1971, p. 82 # 10 Antonio Pizzuto, Dello scrivere difficile, Nuovi Argomenti, Milano, 1969 aprile-giugno, nuova serie n. 14 # 11 Sandro Gindro, L’oro della psicoanalisi, Napoli, 1993 # 12Aἰσώπου μῦθοι, VI secolo a.C # 13Signorina Rosina, pag. 6 # 14 Jacques Lacan, Scritti, 1966 # 15 Sandro Gindro, L’origine della vita psichica, Psicoanalisi Contro n. 29, giugno 1998 # 16 Omero, Iliade, I canto, Traduzione di Ippolito Pindemonte