“T-shirt: Cult, Culture & Subversion”, la mostra a Londra
La parola t-shirt compare per la prima volta nel 1920 nel romanzo Di qua dal paradiso di Francis Scott Fitzgerald e subito dopo venne inserita nel Merriam Webster’s Dictionary. La prima t-shirt merchandising invece è stata realizzata per l’uscita del film Il mago di Oz nel 1939, mentre Marlon Brando e poi James Dean in Gioventù bruciata l’hanno resa iconica nel suo classico colore bianco.
Quella che noi chiamiamo più semplicemente maglietta è ormai diventato un capo storico un must have. La t-shirt è democratica, accessibile a chiunque e capace di reinventarsi, ma al tempo stesso è un capo forte capace di lanciare messaggi che vadano al di là del semplice vestire.
Per questo il Fashion and Textile Museum di Londra le rende omaggio con la mostra T-Shirt: Cult – Culture – Subversion: 12 sezioni attraverso le quali si ripercorre il ruolo e l’evoluzione della classica maglietta, passata attraverso la ribellione del rock ‘n’ roll e le manifestazioni politiche del punk, fino a essere reinterpretata dai grandi marchi del lusso.
L’esposizione si focalizza sia sulla storia dell’indumento con una timeline degli avvenimenti più importanti, sia sul ruolo che questo capo ha giocato negli anni, passando dalla semplice dalla moda alla politica.
Nella sezione Personal Political, infatti, si esplorano i lavori di designer sovversivi che sono diventati veri e propri slogan di protesta; un esempio è il famoso incontro di Katharine Hamnett, nel marzo del 1984, con Margaret Thatcher, dove si presentò con una lunga t-shirt che gridava «58% Don’t Want Pershing» contro i missili nucleari.
Unisex è una sezione che dimostra come sia proprio attraverso la t-shirt che, negli anni, la moda è riuscita ad attraversare e poi superare le differenze di genere.
With the band è dedicata alla musica e soprattutto ai suoi fan, che hanno fatto della t-shirt una bandiera d’appartenenza a gruppi giovanili e movimenti culturali: pensiamo a quello punk.
Basic è invece dedicata all’evoluzione tecnologica e produttiva della maglia, oltre che l’importantissima Ethics and Ecology, dove partendo dal famoso progetto di Vivienne Westwood del 2009 a denuncia dei cambiamenti climatici, si esplorano nuovi tessuti e metodi di lavorazione eco-friendly.
Passato e presente si amalgamano lungo il percorso espositivo, in una riflessione che ci mostra come un indumento così semplice sia riuscito ad oltrepassare il suo regno di origine, la moda, per trasformarsi in altro: in uno slogan, in un messaggio, in un segno di appartenenza.
La t-shirt in questi anni è diventata ancora una volta canale comunicativo preferenziale per operazioni di brand marketing e di rottura come quella di Vetements, che nel 2016 replica una t-shirt di DHL facendola pagare £200, a critica e dimostrazione di come l’hype se ne infischi del buonsenso e del consumismo. Anche quella di Maria Grazia Chiuri che, come prima donna a capo di Dior e in concomitanza con i dibattiti culturali, politici e sociali legati alla questione femminile, nel 2017 ha fatto sfilare le sue modelle con la famosa t-shirt «We Should All Be Feminists».
La mostra comprende più di 100 pezzi celebri, da Vivienne Westwood a Moschino; stampe iconiche, dalla banana di Andy Warhol per i Velvet Underground a quelle di Joy Division o Rolling Stones.
La t-shirt tra sport, moda, musica, arte e cinema ha toccato davvero, in modi diversi, qualsiasi forma d’espressione umana, un manifesto ed una tela comunicativa di movimenti, proteste, gruppi d’appartenenza, fenomeni culto, mode e rivoluzioni, la storia della famosa maglia di cotone non può prescindere da quella della comunità.
T-shirt: Cult, Culture & Subversion, al Fashion & Textile Museum di Londra. Dal 9 febbraio al 6 maggio 2018.