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Tardigradi nello spazio

Forse non tutti sanno che, nel 2019, a bordo di un razzo Falcon 9 di SpaceX, è partito un lander privato con la missione di raggiungere il suolo lunare. Il veicolo spaziale chiamato Beresheet, commissionato dall’azienda israeliana SpaceIL, è stato seguito fino alle fasi finali dell’allunaggio. Ma proprio durante gli ultimissimi minuti della discesa qualcosa è andato storto. Un guasto al motore principale ha fatto perdere i contatti con il centro di controllo, e poco dopo Beresheet si è schiantato sulla superficie lunare e, oltre ad altri elementi costituenti il carico, sono stati liberati sulla superficie lunare alcune migliaia di tardigradi. Quindi possiamo affermare che un carico di circa duemila viventi, estremamente resistenti ad avverse condizioni ambientali, si trova dal 2019 libero sulla superficie lunare. Ma che tipo di animali sono?

I tardigradi sono invertebrati presenti sulla terra in circa un migliaio di specie. Le dimensioni degli adulti possono variare da meno di 0,1 mm a 1,5 mm. In origine vivevano esclusivamente in ambienti di acqua dolce prima di adattarsi a colonizzare la terraferma, cercando habitat umidi come suolo, muschi, lettiera e licheni. La loro caratteristica particolare, oltre al loro aspetto che li fa sembrare dei piccoli orsetti, è quella di sopravvivere in condizioni estreme. Possono vivere da tre mesi sino a due anni, a meno che non entrino in stato dormiente. In tal caso il loro orologio biologico si sospende, potendo rimanere in questo stato anche per decine di anni. La disidratazione li fa passare in questa forma di vita “sospesa” che può venire interrotta se si idratano di nuovo ritornando nello stato precedente. In altre parole possiamo dire che quando si disidratano, ritraggono la testa e le otto zampe, si raggrinziscono in una minuscola palla ed entrano in un profondo stato di “vita sospesa“. Di fatto entrano in una specie di morte apparente dalla quale poi passano nuovamente alla rianimazione, anche dopo decenni se vengono idratati.

Quando si trovano nello stato dormiente perdono quasi tutta l’acqua nel loro corpo e il loro metabolismo si riduce enormemente. Il professor Roberto Guidetti dell’Università di Modena e Reggio Emilia ritiene che questo comportamento possa spiegare la loro sopravvivenza in condizioni estreme e finanche nello spazio e cioè in assenza di atmosfera e di ossigeno. “I tardigradi possono essere trovati in tutto il Mondo dall’Artico all’Antartide, dalle alte montagne ai deserti, nelle aree urbane e nei giardini dietro casa”, ha spiegato. “Negli ambienti terrestri, richiedono sempre almeno un velo d’acqua che circonda i loro corpi per svolgere le attività necessarie alla vita”. Ma se queste condizioni cambiano, i tardigradi sono in grado di entrare in una forma estrema di riposo chiamata criptobiosi. In questo stato, possono resistere al congelamento e all’essiccazione. E se reintrodotti nell’acqua, anche decenni dopo, sono in grado di rianimarsi.

Dopo il fallimento della missione Beresheet l’azienda israeliana SpaceIL ha messo insieme i suoi esperti per capire se il carico dei tardigradi potesse essere sopravvissuto allo schianto della navicella. Ricostruita la dinamica dell’incidente, la risposta sembra essere positiva: il carico del lander forse è arrivato sulla Luna integro o quasi. “I tardigradi inviati nella forma disseccata, e quindi metabolicamente inattiva”, commenta Daniela Billi, leader del laboratorio di Astrobiologia e Biologia Molecolare dei Cianobatteri all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata “hanno tutte le possibilità di resistere anche sulla Luna”. Non ci sono quindi ragioni scientifiche provate per affermare che questi organismi siano morti.

Non dobbiamo pensare a una sorta di colonizzazione del nostro satellite, come qualcuno ha ipotizzato. “Ammesso che i tardigradi abbiano resistito all’impatto”, spiega Lorena Rebecchi, leader del Laboratorio di Zoologia evoluzionistica dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, “in questo momento dovrebbero trovarsi in uno stato di quiescenza: non mangiano, non si muovono e non possono riprodursi. È una condizione chiamata anidrobiosi, che consente a questi animali di mantenere la possibilità di tornare metabolicamente attivi solo con l’aggiunta di acqua allo stato liquido”. Un ingrediente che sulla Luna non c’è, e quindi è impossibile pensare a un risveglio, e tanto meno a un’invasione dei tardigradi.

Qualcuno si chiede se con questo incidente spaziale abbiamo contaminato un ambiente extraterrestre. Ad esempio c’è il commento preoccupato della professoressa Monica Grady: “Ciò significa che il cosiddetto ambiente incontaminato della luna è stato distrutto. Quando i veicoli spaziali lasciano la Terra, sono vincolati dal trattato sullo spazio esterno a non contaminare il loro ambiente. Si potrebbe dire che si è rotto nel 1969 quando c’erano Neil Armstrong e Buzz Aldrin, il che è vero, ma da allora siamo diventati molto più consapevoli di come dovremmo preservare questi corpi planetari. Non credo che nessuno avrebbe avuto il permesso di distribuire tardigradi disidratati sulla superficie della luna. Quindi non è una buona cosa”.

Nonostante le preoccupazioni si potrebbe dire che l’incidente potrebbe essere una opportunità per avere nuove informazioni utili sulla colonizzazione umana dello spazio. Sarebbe teoricamente possibile, infatti, raccogliere i tardigradi, riportarli sulla terra, rianimarli e studiarli per vedere gli effetti dell’essere stati sulla Luna. In conclusione, al di là dello strano episodio che si è venuto a creare e delle possibili pericolosità cui si potrebbe andare incontro, tuttavia esiste un valore scientifico della missione in sé. La Luna è il luogo, oltre la stazione spaziale internazionale, dove ci interessa testare i limiti di sopravvivenza di organismi utilizzati fino ad ora in bassa orbita terrestre. Se mai fosse possibile recuperare e reidratare questi tardigradi, avremmo modo di valutare la loro capacità di riaccendere il metabolismo e riparare eventuali danni accumulati nel corso degli anni. Questo sarebbe un dato scientifico molto interessante utilizzabile anche per la colonizzazione umana dello spazio.

Nicola Sparvieri

Foto © Focus.it

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