
Tradimento o realpolitik?
Scritto da Gabriele Felice il . Pubblicato in Italia ed Esteri, Esteri, Diplomazia e Internazionalizzazione.
Trump elogia Putin e attacca l’Europa: tradimento o realpolitik? Analisi critica delle sue politiche globali. Scopri di più.
C’è chi direbbe che Trump sta solo reinterpretando quei valori: libertà come indipendenza totale, anche a costo di isolarsi; democrazia come volontà della sua base, non delle élite di Washington.
O ancora, che sta cercando di evitare in tutti i modi la terza guerra mondiale o magari di smantellare il deep state mondiale globalista e guerrafondaio.
Gli Stati Uniti non possono più fare i gendarmi globali,
non lo possono più per ragioni economiche e di forza militare.
Gli Stati Uniti non sono mai stati solo una superpotenza militare o economica: sono stati un simbolo, la “culla della democrazia”, un Paese che si è fatto portabandiera di valori come la libertà individuale, lo stato di diritto e la resistenza all’autoritarismo.
La Dichiarazione d’Indipendenza, la Costituzione, il ruolo nella Seconda Guerra Mondiale e nella Guerra Fredda: tutta la loro storia racconta di una nazione che, pur con i suoi difetti, si è proposta come faro per chi cercava un’alternativa alla tirannia.
Ma perché continuare a farlo se l’alternativa è la terza guerra mondiale avendo oltretutto in Europa alleati poco “collaborativi”, recalcitranti e spesso (almeno a livello di opinione pubblica) irriconoscenti?
Trump ha deciso di parlare la lingua degli autocrati mondiali.
Ma c’è una linea oltre la quale la “reinterpretazione” dei valori americani diventa insostenibile, e Trump sembra averla superata di gran lunga.
Se si fosse fermato a chiedere all’Europa di contribuire di più alla difesa comune portando le spese militari al 5% del PIL, si potrebbe ancora parlare di una posizione dura ma comprensibile, in continuità con un’America che vuole dai tempi di Obama alleati più responsabili.
Persino il ritiro delle truppe, di fronte a un’Europa percepita come ignava o incapace di reggersi in piedi da sola, potrebbe passare come una mossa pragmatica, un richiamo alla realtà per un continente troppo abituato a dipendere da Washington.
Ma qui si va oltre, e di molto.
Elogiare Putin, un despota che reprime il dissenso, abbatte ogni libertà di espressione, nega il diritto a popoli e nazioni ad autodeterminarsi, non è solo una provocazione: è un cortocircuito rispetto a tutto ciò che gli Stati Uniti hanno rappresentato.
Le democrazie europee, per quanto malconce e bisognose di una revisione profonda – c’è tanto da rifare – restano comunque sistemi basati su libertà e pluralismo.
Attaccarle frontalmente, con dazi punitivi e accuse di essere nemici economici, mentre si strizza l’occhio a Mosca, è una contraddizione che stride con la storia americana.
Dare la colpa all’Europa
per il precipitare degli eventi è altrettanto assurdo: gli Stati Uniti erano in prima linea nello spingere per le sanzioni alla Russia, nel rafforzare la NATO, nel portare truppe ai confini in Finlandia, nei Baltici, in Polonia e Romania.
Chi guidava quel fronte? Washington, non Bruxelles.
Trump non può fare tabula rasa di tutto questo e presentarsi come se nulla fosse accaduto prima del suo ritorno.
Non è l’anno zero: l’America che lui rappresenta ha un passato recente, fatto di scelte chiare contro l’aggressione russa, e non può permettersi di rinnegarlo senza perdere credibilità.
Questo andare “ben oltre”
– lodare un tiranno, riscrivere la storia, colpire gli alleati – non è una reinterpretazione, è un tradimento dell’identità stessa dell’America. O almeno di quell’America che molti, dentro e fuori i suoi confini, hanno conosciuto e rispettato.
Siamo decisamente oltre il punto di non ritorno, e ho netta l’impressione che Trump non abbia alcuna intenzione di fare marcia indietro.
Sembra seguire un copione ben definito, e lo sta portando avanti con una determinazione che lascia poco spazio al dubbio. Non è un caso o una serie di improvvisazioni: c’è un disegno, una visione che vuole imporre, costi quel che costi.
Il canovaccio, per come lo vedo io, punta a un’America svincolata da ogni obbligo internazionale, che tratta con chi conviene – Putin incluso – e che non si fa scrupoli a colpire anche gli alleati storici se questo serve a rafforzare la sua narrazione di potenza autosufficiente.
È un mix di isolazionismo e cinico pragmatismo spinto, condito da una dose di populismo che riscrive la storia per compiacere la sua base.
L’Ucraina sacrificata, l’Europa punita, Putin rivalutato: non sono incidenti di percorso, ma tappe di un piano che mette l’“America First” sopra ogni altra considerazione, valori inclusi.
Non tornerà indietro.
Trump non è tipo da mezze misure o ripensamenti: ha sempre raddoppiato la posta quando messo alle strette, e ora che ha il controllo della Casa Bianca sembra deciso a spingere fino in fondo.
Il problema è che questo canovaccio, per quanto chiaro nella sua testa, rischia di lasciare dietro di sé un’America sola e un Occidente frammentato, con conseguenze che è convinto di controllare ma che potrebbero sfuggirgli di mano.
Riscrivere la storia, abbracciare despoti come Putin, abbandonare alleati e smantellare le istituzioni democratiche interne è un pugnale a tutto questo. È un attacco a ciò che gli americani, per generazioni, hanno creduto di essere.
Gli americani glielo consentiranno?
Qui si apre il grande interrogativo.
Da un lato, c’è una parte del Paese – la sua base, consistente, rumorosa e “settaria” – che sembra pronta ad accettarlo.
Ma questo in linea di massima perché, se è vero che Donald aveva promesso lo stop di aiuti all’Ucraina, è altrettanto vero (da quello che mi risulta) che si è ben guardato dal dire che gli Stati Uniti sarebbero diventati il “fido” alleato della Russia di Putin.
L’idea che gli Stati Uniti, il Paese che ha combattuto la Guerra Fredda, che ha costruito la NATO e che ha fatto della resistenza all’espansionismo sovietico – e poi russo – una bandiera, possano ora andare a braccetto con Putin è un corto circuito difficile da digerire.
Roosevelt che guida l’America contro il totalitarismo, Kennedy che sfida Khrushchev, Nixon che gioca la partita con la Cina ma tiene Mosca sotto pressione, Carter con le prime trattative per il disarmo nucleare (gli accordi SALT), Reagan che chiama l’URSS “l’impero del male” e contribuisce a farlo crollare: tutta questa eredità sembra incompatibile con un Trump che elogia il despota del Cremlino e abbandona l’Europa alle sue mire.
Tutti coloro che lo hanno votato e seguito accetteranno tutto questo? Non lo so, non ci metterei la mano sul fuoco.
C’è un’America che non starà a guardare in silenzio.
Ci sono i cittadini che ancora si riconoscono in quell’idea tradizionale di America come faro di democrazia. E non dimentichiamo il mondo degli affari: se i dazi e l’isolazionismo iniziano a pesare sull’economia, anche i suoi sostenitori tra i grandi imprenditori potrebbero vacillare.
Eppure, dobbiamo fare i conti
con il fatto che una parte degli americani sembra disposta ad accettarlo, o almeno a tollerarlo.
Perché?
Forse perché la memoria storica si è sbiadita: per molti, la Guerra Fredda è un capitolo chiuso, lontano, e le minacce di oggi – reali o percepite – non sono più Mosca, ma la Cina, il terrorismo o i problemi interni come l’immigrazione e l’economia.
Trump ha abilmente spostato il focus: non parla di Putin come di un nemico ideologico, ma come di un “tipo tosto” con cui si può trattare, un uomo d’ordine in un mondo caotico. Questo può piacere a chi vuole un’America che non deve giustificarsi con nessuno, nemmeno con la sua storia.
Inoltre per i sostenitori di Trump, l’Europa non è più un alleato da proteggere: è un concorrente economico, un peso che succhia risorse americane senza dare abbastanza in cambio. È una visione cinica, ma ha presa su chi si sente stanco di portare il mondo sulle spalle.
Tutto questo può essere letto da Putin come
Un segnale inequivocabile:
gli Stati Uniti stanno alzando le mani, lasciando il campo libero.
Per un leader come lui, che ragiona in termini di potenza e opportunità, è praticamente un invito a cena: “Fai quello che vuoi, tanto Washington non muoverà un dito”.
La Russia ha già mostrato di non farsi scrupoli quando percepisce un vuoto di potere. L’invasione dell’Ucraina è nata proprio dalla convinzione che l’Occidente non avrebbe reagito con abbastanza forza.
E non è solo una questione militare. Putin potrebbe approfittarne anche sul piano energetico, cyber o politico, destabilizzando ulteriormente l’Europa con la certezza che gli Stati Uniti non faranno da scudo.
Un ferreo isolazionismo
sembra proprio il cuore del suo canovaccio.
Questo isolazionismo, però, ha un prezzo. Mollare tutti non significa solo risparmiare dollari: significa lasciare che Russia, Cina e altri riempiano i vuoti, ridisegnando il mondo a loro immagine. Putin si prenderebbe l’Europa orientale, la Cina il Pacifico, e gli Stati Uniti? Potrebbero ritrovarsi più ricchi nel breve termine, ma più isolati e vulnerabili nel lungo.
È una scommessa enorme: Trump pensa che l’America possa prosperare da sola, come una fortezza autosufficiente, ma la storia – dai romani in poi – insegna che l’isolamento raramente funziona contro nemici che si espandono.
Insomma, è un segnale forte di un’America che guarda sempre più dentro i suoi confini, ma che potrebbe ritrovarsi a pagare un prezzo per questa scelta, non subito, ma tra qualche anno.
Gli Stati Uniti, chiudendosi in un isolazionismo così rigido potrebbero davvero ritrovarsi odiati da tutti e senza amici, anche una superpotenza diventa vulnerabile.
FONTI:
- Mattarella: “L’invasione russa come il Terzo Reich. Isolazionismo Usa preludio alla Guerra Mondiale”
- Merz sottolinea l’urgenza di difendere l’Europa di fronte alle politiche isolazioniste degli Stati Uniti
- Altro che isolazionismo: Donald Trump rispolvera la Dottrina Monroe in chiave anticinese
- Le proteste contro Vance: ‘Traditore! Vai a sciare in Russia’
- Malumori d’America dopo lo scontro Trump-Zelensky: Vance contestato sugli sci e i parlamentari costretti a cancellare eventi pubblici
- USA 2030: isolazionisti nel Terzo millennio?
