Un “EXODUS dall’ITALIA”….. emigrazione di giovani talenti
UN DOCUMENTARIO CHE FA DISCUTERE, MA METTE D’ACCORDO CUORE E CERVELLO
La visione del documentario “Italia addio. Non tornerò”, svoltasi martedì 19 nella libreria capitolina Horafelix, ha innescato un intenso dibattito sulla fuga all’estero di un gran numero di giovani compatrioti.
Sono stati tirati in ballo, spesso con cognizione di causa, per spiegare le ragioni del mesto esodo, il controcampo negativo del Piano Marshall, gli inopinati effetti nefasti dovuti all’era del libero scambio di mercato, le mire utopiche delle presunte forze motrici in campo finanziario. Persino la cosiddetta guerra silenziosa, connessa alle politiche di austerity.
Agli amanti dei classici, estranei al pur comprensibile impeto delle opinioni di schieramento esibite con trasporto nella tavola rotonda, viene in mente l’adagio latino “Quot capita tot sententiae”. I seguaci dell’università della strada nella Città Eterna forse preferirebbero il modo di dire “Ogni capoccia è un tribunale”. Comunque siamo lì. Il senso è lo stesso. Ed è, in ogni caso, una bella testa pensante quella della regista per cuore Barbara Pavarotti, a cui va riconosciuto soprattutto il merito di essere andata oltre i limiti congiunti alla tecnica del telegiornale.
La spinosa questione dell’assenza di “confort zone” nel Bel Paese, dove premiare competenze e diritto al merito, ispira all’alacre giornalista un film d’arte col quale cogliere dal vivo la faccenda. La realtà, verrebbe da dire. Appunto la realtà, dissero al termine di una memorabile intervista Pier Paolo Pasolini ed Ezra Pound, due persone che agli occhi di chi si crede profondo ma invece veleggia solo in superficie sarebbero dovute apparire l’uno la nemesi dell’altro, non la si può dimostrare; tuttavia la si può mostrare.
E, al di là dei facili giochi di parole, è assai più importante mostrare la realtà, svilita dal risentimento, o alimentata dal desiderio di riscatto, che dimostrare, dati alla mano, i segni di una crisi esacerbata dal clientelismo, dal nepotismo, dal commensalismo e chi più ne ha, più ne metta. Così come è più importante, anziché scegliere con chi e contro chi stare, dire quello che si pensa e fare quello che si dice.
Nessuno, a parte il Padreterno, è depositario della Verità assoluta. La fragranza, al contrario, della sincerità affiora sin dalle prime immagini della docufiction. L’interazione del filmato in bianco e nero con quello a colori dà l’acqua della vita al talento di scrivere con la luce. Peccato solo che il carattere troppo esplicativo delle canzoni scelte per accompagnare, in crescendo, i cinquanta minuti della pellicola, talvolta in modo più incalzante che poetico, finisca col prevalere sull’acume di contrapporre gamme cromatiche composite ed emblematiche. In esse, lontano da qualunque tecnicismo vano ed esornativo esercizio di stile, risiede il significato degli slanci e delle diffidenze, degli aspetti chiari e degli angoli scuri riguardanti il clima di scoraggiamento che spinge all’immigrazione gli abitanti dello Stivale nel fiore degli anni.
Le fotografie antiche degli esuli, con le valigie di cartone al posto dei trolley, all’inizio del secolo breve, traggono linfa dai movimenti di macchina all’indietro. Alla ricerca della giusta distanza. Un concetto ormai arcinoto in ambito giornalistico, dove la gerarchia dei ruoli di missionario, mediatore e testimone lascia il tempo che trova. Un concetto, viceversa, in grado di passare dalla teoria alla prassi nel terreno dell’arte.
Perché le opere d’inchiesta possono scomodare sociologi ed economisti, pure illustri, senza nondimeno esprimere stilemi di particolare pregio culturale, mentre i film d’arte comunicano l’opinione dell’autore sul mondo preso in esame. Barbara, come autrice, intervistando circa trenta italiani trasferitisi all’estero, stimola il livello intellettuale ed emotivo dello spettatore.
Nell’ordine naturale delle cose, rappresentato dalle piante colme di foglie e di petali in boccio, dalle quali compare il profilo dei palazzi, degli orologi delle torri, delle basiliche, dei monumenti sparsi a New York, Parigi, Melbourne, Monaco di Baviera, Barcellona, risiede la forza significante della geografia emozionale.
Mentre l’imprinting tecnico delle correzioni di fuoco comunica in modo troppo programmatico il senso della scoperta di elementi tristi e rivelatori; mentre le riprese accellerate delle automobili nelle varie giungle metropolitane sottolineano, da copione, la frenesia di un tempo tiranno che impone agli esuli il coraggio di buttarsi per dare del tu alle proprie ambizioni, la bravura nel porre l’accento sul carattere evocativo di ogni posto lontano o vicino merita un supplemento di applausi. In quanto svela l’egemonia dello spirito sulla materia di Barbara, le sue radici, l’amore per le zone piene di verde, come il quartiere Prati a Roma, e il bisogno di sottoporre il frutto dello schietto carattere d’ingegno creativo al giudizio del grande pubblico. Un giudizio basato sulla giustizia, sulla spontaneità, assai superiore al vacuo luccicore di ogni vetrina, per far scoprire a più persone possibili un raggio di sole e di speranza finanche nell’ineluttabile logica dell’incubo della crisi. Magie della fabbrica dei sogni.
MASSIMILIANO SERRIELLO
Per visionare il docufilm
Ecco link del trailer: https://www.youtube.com/watch?v=6IR03bSZhtM