Skip to main content

Un “Guaglione”, dal San Paolo di Napoli
a San Pietroburgo in Russia

STORIA VEROSIMILE DI UN  “JACK LONDON ITALIANO”,
CRESCIUTO A POMIGLIANO D’ARCO ED APPRODATO ALLA FARNESINA

in una narrazione di TORQUATO CARDILLI   

Avete presente Jack London, il giovane californiano che dopo essere stato strillone di giornali, pescatore clandestino di ostriche, lavandaio, cacciatore di foche, agente di assicurazioni,  pugile e coltivatore, alla fine si buttò a pesce nella corsa all’oro del Klondike in Canada e, fatto un tesoretto, si diede a scrivere romanzi e libri di avventura?
Bene!
Guardando alla politica italiana ed alla corsa per raccogliere il consenso delle masse in quella miniera d’oro scoperta dal fondatore del M5S con pepite come macigni di risentimento popolare per una classe politica di affaristi e di corrotti, viene subito in mente il percorso di vita di  Luigi di Maio.

Ci si è tuffato per fare il suo bottino di bonanza grillina. Raggiunto il successo (a 27 anni vice Presidente della Camera dei Deputati, a 32 anni Capo del movimento politico maggioritario, vice Presidente del Consiglio, Ministro del lavoro e dello sviluppo economico, a 33 anni Ministro degli Esteri), non si è accontentato di aver battuto ogni record segnato dai predecessori Ciano e Grandi.
Folgorato dall’ambizione di poter fare e disfare a piacimento,  ha dimenticato da dove era venuto, e dopo aver conquistato quelle poltrone di assoluto prestigio, ha seminato dietro di sé varie mine per impedire ad altri di raggiungerlo e si è tolto lo sfizio di dedicarsi persino alla scrittura  di un saggio sulla sua vita.

Quando, dopo le elezioni del 5 marzo di 4 anni fa, passata l’euforia e consumati i lenti ritmi bizantini della nostra politica, sono iniziati gli abboccamenti e le trattative per la formazione del nuovo governo, nel circolo dei suoi consiglieri, inebriati dalla vittoria, si sono fatti largo gli adulatori, incompetenti e velleitari, chiusi in una turris eburnea, senza che vi fosse alcun Laocoonte che provasse a metterlo in guardia dall’affidare alte responsabilità di governo e di rappresentanza a chi al massimo avrebbe potuto gestire un negozietto di cose inutili.  

Da capo del M5S aveva stravinto le elezioni, come Milziade a Maratona, perché aveva promesso la lotta senza quartiere alla mafia, alla criminalità varia inclusa quella ambientale, all’evasione fiscale, alla disoccupazione, alla corruzione, allo sfruttamento del suolo e del sottosuolo, nonché in positivo la riforma sociale, quella sanitaria, quella scolastica, quella dell’acqua pubblica, dell’amministrazione dello stato e delle energie rinnovabili.

Con quel 33% di voti (oltre 11 milioni di elettori) frutto del sudore e dei sacrifici di tanti attivisti volontari, che costituivano un potere immenso, si è comportato come il guaglione che si vuole sedere al tavolo da gioco con chi è più lungimirante, più esperto. L’agognato esecutivo  del cambiamento è svanito nella nebbia parolaia dei conciliaboli.

Il guaglione si è illuso  di poter governare allo stesso tempo sia il paese che il Movimento, ma il primo gli ha voltato le spalle facendolo precipitare in un anno dal 33% al 18% e il secondo, raffigurato nei suoi sogni come testuggine, si è trasformato in un alveare impazzito che non ubbidisce più all’ape regina.

Non ha ascoltato il parere della base che nel 2019 gli chiedeva di tracciare una chiara piattaforma programmatica, con l’urgenza di mettere mano all’organizzazione per accompagnare il cambiamento della società e del modo di amministrare la cosa pubblica. 
Ogni rivoluzione che si basi solo sullo spontaneismo dei propri militanti e adepti è destinata ad estinguersi col tempo, se non ha una solida organizzazione che ne regoli la vita, che faccia emergere le migliori qualità individuali attraverso il confronto di idee.

Il guaglione, non ha imparato la lezione di Masaniello, della sua rivoluzione fallita contro un regime reazionario, contro i privilegi dell’aristocrazia e lo sfruttamento della plebe, perché non pratico dell’arte di governo non aveva preso alcuna contromisura per smontare le manovre della nobiltà che si era vista privata in pochi giorni delle proprie rendite e prerogative. 
L’essersi spogliato della carica di capo politico lasciando la reggenza a Crimi non ha fatto che peggiorare la situazione, mentre il suo rapporto con il nuovo capo politico Conte incoronato dalla base è stato opaco sin dall’inizio. Ha cercato in tutti i modi di salvaguardare il proprio potere a scapito della forza politica che lo aveva innalzato ai vertici di Governo dimentico del crescente disagio sociale.

L’elenco degli errori marchiani è consistente: a cominciare dalla puerile ispezione dell’aereo acquistato a peso d’oro da Renzi, all’avventato sostegno ai gilet gialli a Parigi con ritiro dell’ambasciatore francese da Roma, passando per la dichiarazione di aver abolito la povertà, la richiesta di impeachment del presidente Mattarella, il proclama del “mai con quelli di Bibbiano”, la visita da Ministro all’ambasciatore cinese e non viceversa, la questione irrisolta del ponte Morandi,  le minacce di portare in tribunale chi dei suoi parlamentari non  avesse versato il dovuto, dell’insuccesso plateale nelle vicende Ilva, Autostrade, Alitalia, del mancato contrasto alle delocalizzazioni industriali, della crescente disoccupazione (whirpool-embraco e tante altre), dell’invenzione fasulla  dei “navigator” e dei “facilitator”, dell’inefficacia delle misure antifrode nel reddito di cittadinanza.

Come Ministro del lavoro non ha reagito con provvedimenti politici immediati per frenare la marea di decine imprese che chiudevano ogni giorno, non ha capito che quando un’azienda muore si spengono drammaticamente i sogni di vita delle persone, quando saracinesche e cancelli si chiudono in una notte bisogna fare l’impossibile e qualcosa di più per proteggere il presente e il futuro dei lavoratori.

Con l’acqua alla gola per il depauperamento dei consensi non ha fatto nessuna battaglia per non provocare un’onda che lo avrebbe fatto affogare, ma è rimasto ancorato a obiettivi minimi (riduzione dei parlamentari, mannaia sui vitalizi, restituzione degli emolumenti, ecc.), perdendo di vista la legge del mercato che si applica anche alla politica: l’incontro della domanda e dell’offerta. Quali prospettive offrire agli italiani che chiedevano giustizia ed equità sociale mentre ingrossavano le file alla Caritas per un piatto di minestra? Quale offerta ai giovani che chiedevano un salto di qualità della scuola e della sanità da sempre considerate le cenerentole dei servizi?

Pur di occupare la prestigiosa carica (già di Cavour, Visconti, De Pretis, De Gasperi, Martino, Andreotti), ha accettato che il M5S entrasse nel Governo Draghi come ruota di scorta anziché da sterzo di guida, rinunciando ad incidere significativamente sui trasporti, sulla difesa dell’ambiente, sulla scuola, sulla sanità. 
E in questa nuova funzione di direzione della politica estera ha collezionato ripetuti buchi nell’acqua e passi falsi per l’assenza di una strategia che assicurasse la strenua difesa degli interessi e del prestigio nazionali  (dal caso Giulio Regeni, al caso Chico Forti, al ruolo da “yes man” con gli USA sull’Afghanistan e sugli armamenti, ai rapporti fallimentari con la Libia, all’assassinio del nostro ambasciatore in Congo Luca Attanasio, al mancato contrasto all’immigrazione clandestina).

Il capitolo più penoso è stato scritto in questi giorni con i negoziati e i colpi bassi sotterranei per la rielezione del Presidente Mattarella. Irrispettoso delle regole, credendosi ancora il capo del Movimento, ha manovrato nell’ombra, a latere o in modo non allineato con l’impostazione di Conte incontrando, secondo quanto riferisce la stampa, questo o quella candidata da Amato alla Moratti, dalla Casellati a Casini.

Il giorno dello showdown, alla deflagrazione del quadro politico che ha mandato in pezzi l’alleanza di destra, ha fatto da contrappeso la polemica al calor bianco tra lui  e Conte, ormai destinati a viaggiare su treni diversi.

Torquato Cardilli –  2 febbraio 2022*

La Redazione della Consul Press si scusa con l’Ambasciatore Torquato Cardilli – autore dell’articolo e nostro collaboratore fin dal 2014 – per il ritardo della pubblicazione di questo suo intervento. 

Condividi:

Lascia un commento