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Una nuova “Riconquista del Mondo” mediante la Nostalgia degli Dei

“NOSTALGIA DEGLI DÈI”: UN LIBRO SULLE PAROLE PIENE  E SUL SALE DELLA SAPIENZA 

Nella libreria capitolina Hora  Felix si respira la fragranza della sincerità. Se scuotiamo l’albero dei desideri, è possibile raccogliere frutti preziosi. Oltre al carattere d’ingegno della materia grigia, emerge, cum grano salis, il piacere delle affinità elettive.

Alla presentazione del bel libro “Nostalgia degli dèi” scritto dal saggista Marcello Veneziani con la nota verve i valori ereditati dalla tradizione costituiscono l’antidoto contro il tanfo dell’ipocrisia. Eppure la parola valore, anche per l’evidente richiamo mercantile, trova poco spazio nel lessico di un uomo di cultura ed estrema trasparenza.

Lo sottolinea, senza mai cadere nelle secche della retorica, l’alacre docente Simonetta Bartolini che pone l’accento, in una forbita premessa aliena ai timbri troppo cipigliosi, sulla forza significante della sintesi. Ed è lì che risiede il senso compiuto del sale della sapienza. A cui basta un pizzico per restituire la valenza folgorante ed eterna del mito, del sacro e della ritualità. 

A fungere da ottimo pungolo per i processi associativi spontanei delle parole spese con garbo, facendone  un uso sobrio ed erudito, provvede il rimando ai numi tutelari – con i filosofi greci e Nietzsche sugli scudi – da opporre agli automatismi della tecnologia. Il desiderio di scrostare i luoghi comuni, adottati da coloro che vedono nella fedeltà al passato un attentato alla democrazia, spinge Veneziani ad apporre molteplici distinzioni. Viene così a galla l’urgenza dei sani “ripulisti”.  Pensando ai mondi remoti e immaginari, al grido di Achille, al quale viene negata la facilità del trionfo ad appannaggio degli dèi, che la società del consumismo, del contrattualismo e delle mille contraddizioni crede di aver consegnato all’oblio, acquista vigore la voglia di parlare chiaro e tondo. Non in punta di forchetta. I tormentoni etimologici, che rischiavano di cedere il posto all’adagio “repetita iuvant” anziché alla misura di partenza, scaldano in tal modo il cuore, ancor prima dell’intelletto, degli ospiti stipati nel salone a semicerchio della Hora Felix.  Nomen omen. Perché sono davvero momenti lieti, al di là dei colpi di gomito o dei segni di ammicco dettati dall’ovvia solidarietà di casta, quelli trascorsi ad approfondire il pensiero sugli dèi ritenuti, invece, falsi e bugiardi da Viriglio ne “La Divina Commedia”.

Dopo aver specificato di voler guardare il mondo con lenti diverse, privilegiate, sia pure con la debita coscienza del limite, prendono piede le domande del pubblico. Il bandolo della conversazione e di argute controdomande si sposta con notevole brio dallo spettro della solitudine, prospettato dalla febbre del consumo connessa al cupio dissolvi, sino ad aneddoti colmi di arguzia.  

La facondia dialogica dell’oratore smagliante viene un po’ a cadere dinanzi all’implicito invito a uscire dall’impasse dei salotti, seppur proficui, per passare dalla teoria alla prassi. Forse vince la stanchezza. La carne al fuoco, come si suol dire, era tanta. Nondimeno la ferma convinzione del grintoso giornalista Guglielmo Quagliarotti, mentre tiene tra le mani il microfono con l’indomita disinvoltura degli eclettici alfieri dei dotti prosceni e delle audaci trincee in difesa dei ritorni spirituali di fiamma, strappa l’applauso. 

Ci sarà tempo per ulteriori ritrovi. All’insegna dell’alta densità lessicale della lingua italiana. Dell’attitudine ad amare la polis, ed ergo Roma, al pari di “un’eterna idea della mente divina” (per citare Laurence Olivier in “Spartacus”). Del cielo stellato caro a Kant. Un genio della critica che seppe anteporre lo spirito alla materia. Per padroneggiare il domani guardando al passato. E in cielo. La parola più pronunciata. A Dio piacendo. 

MASSIMILIANO SERRIELLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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