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Un’Analisi Integrata del Concetto di Giustizia nelle Società Moderne

a cura di Fulvio Muliere

Esplorazione delle dimensioni normative, etiche e relazionali della giustizia e delle loro interconnessioni nelle dinamiche sociali contemporanee

Il concetto di giustizia è da sempre un elemento centrale nella riflessione filosofica, giuridica e politica. Esso ha subito nel corso della storia numerosi sviluppi, assumendo forme diverse e talvolta contrastanti. Tradizionalmente, la giustizia è stata intesa come il rispetto delle leggi e l’applicazione di norme generali che regolano la vita in comunità. Tuttavia, la giustizia non si limita alla mera osservanza di regole scritte, ma si intreccia anche con altre dimensioni fondamentali della vita umana, come il perdono e le relazioni sociali. Il perdono, infatti, sfida spesso l’aspetto punitivo della giustizia normativa, mentre la giustizia relazionale suggerisce che ogni atto di giustizia deve essere valutato anche in funzione dei legami e delle dinamiche sociali in cui è inserito.

Il presente articolo si propone di esplorare la giustizia sotto tre angolazioni principali: quella normativa, quella del perdono e quella relazionale. La giustizia normativa rappresenta l’idea che la società debba essere governata da leggi giuste, che garantiscano l’equità e l’ordine sociale. Il perdono, invece, introduce un elemento di umanità che va oltre la punizione, permettendo il superamento del conflitto. Infine, la giustizia relazionale si concentra sulle interconnessioni tra gli individui e le dinamiche di potere che influenzano le loro scelte e azioni. Il nostro obiettivo è indagare come queste tre dimensioni interagiscono, come possano integrarsi in un modello di giustizia e come possano coesistere nelle società moderne, caratterizzate da una crescente attenzione ai diritti individuali e alla solidarietà sociale.

La giustizia come norma è da secoli al centro della riflessione politica e giuridica. Essa presuppone che l’ordine sociale sia mantenuto attraverso l’applicazione di leggi, che sono considerate il fondamento dell’equità e della convivenza pacifica. Il diritto si configura come un sistema di norme che definisce i diritti e i doveri dei cittadini e sancisce le modalità di risoluzione dei conflitti. In un tale contesto, la giustizia viene spesso vista come la mera applicazione di queste leggi, che devono essere giuste e imparziali, garantendo che le violazioni siano punite e che chi rispetta le regole ottenga ciò che gli è dovuto.

La concezione di giustizia come legalità è strettamente legata a quella di imparzialità. John Rawls, nella sua opera Teoria della giustizia (1971), sviluppa un modello di giustizia distributiva che si fonda sulla necessità di garantire l’equità attraverso una distribuzione imparziale delle risorse. Rawls suggerisce che le decisioni relative alla giustizia debbano essere prese dietro un “velo di ignoranza”, un principio che implica che le persone, quando devono decidere quale sistema giuridico adottare, non sappiano in quale posizione sociale si troveranno, così da essere più inclini a garantire equità a tutti. Per Rawls, la giustizia si realizza attraverso la creazione di istituzioni che rispettano i principi di equità e che trattano ogni individuo in modo imparziale.

Il principio di legalità è anche il fondamento di molte tradizioni giuridiche moderne, che concepiscono la giustizia come un sistema di norme che deve essere applicato senza eccezioni. Tuttavia, questa visione della giustizia si trova talvolta in contrasto con situazioni in cui le leggi, pur essendo formalmente giuste, non corrispondono a principi morali più profondi. Come osserva il filosofo Karl Marx nella sua critica alla legge borghese, il diritto non è mai neutrale: esso riflette le strutture di potere esistenti nella società e può essere utilizzato per legittimare le disuguaglianze sociali. Marx afferma che “la giustizia borghese è solo la giustizia della classe dominante, che utilizza le leggi per proteggere i propri interessi” (Critica della filosofia del diritto hegeliana, 1843).

Questo solleva un’importante questione sulla giustizia come norma: fino a che punto le leggi sono giuste in senso assoluto? Le leggi, pur essendo necessarie per garantire l’ordine, non possono essere considerate l’unico strumento di giustizia, poiché, come sottolineato da H.L.A. Hart nel suo Il concetto di diritto (1961), la giustizia deve andare oltre la semplice applicazione della norma e includere una riflessione etica su ciò che è veramente giusto. La giustizia normativa è quindi insufficiente se non è accompagnata da un esame critico delle leggi stesse e delle loro implicazioni per la società.

Il perdono è una dimensione che si oppone, ma al contempo completa, la giustizia normativa. Esso implica una sospensione delle conseguenze punitive che la legge prevede per chi ha commesso un’ingiustizia. Il perdono introduce un elemento di umanità, di compassione e di possibilità di riscatto, che va oltre la mera applicazione della legge. Come sostiene il teologo cristiano Søren Kierkegaard, il perdono non è solo un atto di clemenza, ma “un atto di liberazione dalla vendetta, che ridona dignità all’altro e permette la guarigione della relazione” (Il concetto dell’angoscia, 1844). Il perdono, in questa ottica, non è solo una forma di misericordia, ma un atto che crea spazio per il cambiamento e il miglioramento dell’individuo e della società.

Il perdono, tuttavia, non è sempre facile né automatico. In molte situazioni, specialmente quando il danno subito è grave o irreparabile, il perdono può sembrare un gesto difficile da compiere. Il filosofo Emmanuel Levinas, nella sua riflessione sul volto dell’altro, suggerisce che il perdono sia una risposta etica alla violenza e al conflitto, un atto che non si basa sulla giustificazione dell’offesa, ma sulla sua trasformazione. Levinas scrive: “Il perdono non annulla il male, ma lo trascende, permettendo una nuova relazione tra il colpevole e la vittima” (Totalità e Infinito, 1961). In questo senso, il perdono diventa un atto di liberazione, non solo per il colpevole, ma anche per la vittima, che si libera dalla schiavitù del rancore e della vendetta.

In psicologia, il perdono è stato studiato come un processo che implica il superamento dei sentimenti di rabbia, rancore e desiderio di vendetta. Robert Enright, psicologo e studioso del perdono, afferma che il perdono è un atto che libera non solo chi riceve il perdono, ma anche chi lo concede, poiché permette di rilasciare il peso emotivo negativo che accompagna l’offesa (Il dono del perdono, 2001). Enright sottolinea che il perdono non significa dimenticare o giustificare il torto subito, ma piuttosto adottare una nuova visione della situazione che permetta di andare oltre il danno.

Il perdono, quindi, rappresenta una forma di giustizia che va oltre la punizione, favorendo il recupero e la reintegrazione. La giustizia del perdono non elimina la necessità di giustizia normativa, ma ne costituisce una dimensione complementare, che apre a possibilità di guarigione e di ricostruzione delle relazioni.

La giustizia come relazione è un concetto che si distacca dalla visione tradizionale della giustizia come semplice applicazione di leggi, proponendo una concezione più inclusiva e contestualizzata. Essa riconosce che la giustizia non riguarda solo l’individuo isolato, ma deve essere intesa come un processo dinamico che si sviluppa nelle interazioni tra gli individui e all’interno della comunità. La giustizia relazionale implica il riconoscimento dell’altro come pari e la costruzione di legami che siano equi e solidali.

Martha Nussbaum, nel suo lavoro sulla teoria delle capacità, sottolinea che la giustizia relazionale è fondamentale per garantire che ogni individuo abbia accesso alle risorse e alle opportunità necessarie per realizzare il proprio potenziale. Secondo Nussbaum, una società giusta è quella che non solo distribuisce equamente i beni materiali, ma che promuove anche le capacità personali, permettendo a ciascuno di partecipare attivamente alla vita sociale e politica (Le capacità umane e la giustizia globale, 2011).

La giustizia relazionale si fonda sull’idea che ogni individuo è inserito in una rete di relazioni che definiscono la sua esistenza e la sua dignità. In questo senso, la giustizia non può essere pensata come un processo isolato, ma come un fenomeno che emerge dall’interazione sociale e che deve rispondere alle esigenze di inclusione, partecipazione e rispetto reciproco. Iris Marion Young, nel suo lavoro su “La giustizia sociale e la politica della differenza” (1990), argomenta che la giustizia deve essere pensata in termini di equità nelle relazioni sociali, piuttosto che come una mera distribuzione di risorse. La giustizia relazionale, secondo Young, implica il riconoscimento delle differenze e la creazione di spazi dove tutti possano esercitare i propri diritti in modo uguale e senza discriminazioni.

La giustizia relazionale si traduce, quindi, in un impegno per costruire comunità più inclusive e solidali, in cui le persone possano vivere in pace e collaborare alla realizzazione del bene comune. Essa richiede un cambiamento delle strutture sociali e politiche che favoriscano la partecipazione attiva di tutti i cittadini e garantiscano pari opportunità, indipendentemente dalle condizioni socioeconomiche.

Una delle sfide principali riguarda l’apparente conflitto tra queste diverse concezioni della giustizia. La giustizia normativa, con la sua enfasi sull’applicazione delle leggi, spesso entra in contrasto con l’idea di perdono, che implica una sospensione delle punizioni in favore della guarigione e della riconciliazione. Inoltre, la giustizia relazionale sembra mettere in discussione la neutralità della giustizia normativa, suggerendo che le leggi debbano essere interpretate tenendo conto delle condizioni sociali e dei legami che intercorrono tra le persone.

Tuttavia, è possibile risolvere questo conflitto attraverso una visione integrata della giustizia, che riconosca l’importanza di tutte e tre le dimensioni. La giustizia ideale non dovrebbe limitarsi alla semplice applicazione di leggi o alla punizione dei colpevoli, ma dovrebbe includere anche il perdono e la possibilità di riparare le relazioni. Una giustizia che sappia coniugare l’imparzialità delle leggi, l’umanità del perdono e l’inclusività delle relazioni è la base per costruire una società più equa e solidale.

La giustizia è un concetto complesso che deve essere pensato in termini di interazione tra norme, perdono e relazione. Ogni dimensione della giustizia ha un ruolo fondamentale nel creare una società più giusta, ma nessuna di esse è sufficiente da sola. La giustizia normativa assicura l’ordine e la protezione dei diritti, il perdono permette di superare il rancore e favorisce la riconciliazione, mentre la giustizia relazionale promuove l’inclusione e la partecipazione. Insieme, queste tre dimensioni possono contribuire a costruire una comunità che sia giusta, equa e capace di affrontare le sfide della contemporaneità.

 

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